Richard Linklater gira Boyhood in soli 40 giorni… dispiegati nell’arco di 12 anni.

Che cosa dire davanti a questo esperimento cinematografico? Niente. Dobbiamo restare a guardarlo immobili, in silenzio, pronti a cogliere tutto quello che ci sembra più banale e scontato, pronti a cogliere i cambiamenti fisici dei suoi protagonisti, una maturazione della carne e dello spirito lunga dodici anni. Perché Boyhood racconta la vita di una famiglia americana, le tradizioni di un popolo, ma sopratutto la crescita del piccolo Mason, dai suoi otto anni fino alla maturità raggiunta con il diploma superiore.

 

Il regista Richard Linklater compie qualcosa di grande, mai visto prima d’ora sullo schermo. Abbandona la pratica del trucco (da sempre simbolo della finzione cinematografica) e quella della sostituzione di bambini con attori più adulti. In Boyhood è importante la crescita (di Mason e della sorella), o l’invecchiamento (del padre Mason sr, un fantastico Ethan Hawke), perché lo spettatore deve immedesimarsi a pieno nella ricerca dell’identità dei due ragazzi, nei dubbi generazionali, nella scoperta del primo amore; ma anche nelle scelte sbagliate dei genitori, nell’ansia dell’invecchiare, del cambiare rotta in età avanzata, e infine nell’accettare che i figli crescono e che la solitudine sarà una compagna fedele fino alla fine del proprio cammino.

 

Il regista ha girato il film in soli quaranta giorni dispiegati nell’arco di dodici anni, riunendo la troupe di volta in volta seguendo passo passo l’evoluzione dei suoi personaggi, ma anche la crescita fisica dei due attori inizialmente bambini che sono cambiati davanti ai suoi occhi proprio come figli con i loro brufoli nella fase della pubertà, chili in più o in meno, centimetri su centimetri e sopratutto ha potuto osservare da vicino la maturazione artistica di Ethan Hawke, suo attore feticcio che lo aveva accompagnato a braccetto proprio nell’altro progetto ventennale, la trilogia che racconta la storia di Jesse e Celine nei film Prima dell’alba (1994), Prima del tramonto (2004) e Before Midnight (2013). Quindi il regista del tempo e di tutte le sue sfaccettature.
I personaggi di Boyhood sono esseri umani veri, svolgono la loro esistenza ordinaria, ma colorata di sentimenti ben visibili, senza veli, illuminati dalla macchina da presa che li accompagna nel loro cammino travagliato.

 

Richard Linklater fa parlare molto i suoi personaggi, li fa interrogare su tutto ciò che circonda la loro esistenza, li fa riflettere sulla loro condizione di ragazzi americani di oggi, e il collante di tutto è la famiglia come elemento centrale nella boyhood.
Regista indipendente che fonda una piccola casa di produzione a metà anni ’80, Linklater si confronta anche con l’animazione sfornando due buonissimi film come A Scanner Darkly e Waking Life, esordisce con un film costato circa ventitremila dollari e la presenza di Boyhood in svariate sale dimostra che non è necessario piegarsi al volere delle Major americane, che non è necessario finire un film con una vera e propria fine, ma anche con uno sguardo aperto al futuro, perché come dicono i suoi protagonisti “È l’attimo che coglie noi”.