“Aveva (Monicelli) un cinismo di fondo che a volte non riuscivo a capire del tutto. Era un uomo battagliero, a volte troppo radicale. Ma c’era una grande umanità dietro ai suoi film, forse quella durezza era una facciata…”

(Carlo Verdone, Corriere della Sera, 30 novembre 2010)

 

Forse Mario Monicelli, uno dei grandi maestri della commedia all’italiana, era proprio così: cinico, ma di buon cuore. Lo stesso non si può certo dire dei personaggi da lui portati sullo schermo in Parenti Serpenti (1992). Apparentemente buoni, o almeno fino a che non fa capolino un problema. Ed ecco che, come per magia, i parenti di buon cuore si trasformano, o meglio si rivelano: cattivi, spietati, crudeli. Sono i parenti che nessuno vorrebbe avere.
È arrivato il Natale a Sulmona: è tempo di godersi i giorni di vacanza, di mangiare tanto, di onorare la nascita di Cristo. Ma soprattutto è tempo di riunire la famiglia! Gli anziani coniugi Saverio (un brillante Paolo Panelli) e Trieste (Pia Velsi, una vera nonnina) accolgono, come ogni anno, i loro quattro figli con le rispettive famiglie. Arriva Lina (Marina Confalone), con il marito-geometra-fedifrago Michele (Tommaso Bianco) e il figlioletto Mauro. Poi viene il turno di Milena (Monica Scattini) con il marito-maresciallo Filippo (Renato Cecchetto). Bussa poi alla porta il solare Alessandro (Eugenio Masciari) con la moglie-donna di facili costumi Gina (Cinzia Leone) e la figlia-teenager Monica (Eleonora Alberti). Ultimo è lo scapolo-insegnate Alfredo (Alessandro Haber).

La famiglia è al completo ed i festeggiamenti possono finalmente cominciare. Si parte con il cenone della veglia, tutti mangiano, bevono e sono felici. Segue l’imperdibile messa di mezzanotte, un evento socialmente importante non solo perché attira tutte le famiglie più in vista del paese; ma anche (e soprattutto) perché permette alle donne di farsi belle e di sparlare di chiunque, e agli uomini di guardare le donne degli altri. Fino a qui, tutto bene.
Il dramma arriva il giorno seguente, quando durante il pranzo di Natale (dove ancora tutti ridono e sono felici) nonna Trieste lancia un annuncio-bomba: lei e suo marito sono ormai troppo vecchi per vivere da soli in quella grande casa. Avrebbero perciò bisogno di essere ospitati, fino alla fine dei loro giorni, da uno qualsiasi dei loro quattro figli.
Dopo un iniziale stupore accompagnato da un ostentato buon viso a cattivo gioco, una ad una le maschere cadono ed i meschini figli cominciano ad aggredirsi l’un l’altro, nel (vano) tentativo di rifilare gli anziani genitori a qualcun altro.

Ed ecco che il tono cambia: non più commedia corale di stampo realistico-borghese che si srotola con calma nel fittizio tempo cinematografico, ma feroce commedia nera dai toni satirici e grotteschi che divampa con violenza in pochi istanti. Mario Monicelli ci mostra finalmente con chi abbiamo a che fare: con degli essere umani abbietti, infidi, subdoli, capaci di tutto pur di non ospitare i poveri, vecchi, amorevoli genitori. Lina, Alfredo, Milena e persino il buon Filippo ormai hanno deciso: a mali estremi, estremi rimedi. Ciò che conta è trovare una soluzione che accomodi tutti, in fondo. Così, allo scoccare della mezzanotte, mentre il Primo dell’anno si annuncia con i botti, tutti sono di nuovo felici.

Il piccolo Mauro (Riccardo Scontrini), che per l’intera durata del film è stato la guida dello spettatore come voce narrante, al rientro a scuola decide di leggere a tutti il suo ultimo tema, intitolato “Le mie feste di Natale”. Le sue parole, ignare e dolci verità pronunciate da un bambino, espongono l’amarezza dei gesti del padre, della madre, degli zii. Il candore della sua voce potrà mai, forse, stemperare l’accaduto?