L’autunno è notturno.

Nel cuore del pomeriggio irrompono il buio e la notte. Mi imbarco in un  mare di nebbia ed oscurità,  macinando chilometri a bordo della mia scassatissima automobile. Parto da una grande ed intasata  provincia metropolitana, passando attraverso le campagne arrivo in un  paesino di 18.000 anime per poi ripartire alla volta di un’altra città, attraversando in un paio d’ore diverse realtà del nostro paese, accedendo ad una sorta di surrogato della nazione: grandi città al collasso, campagne abbandonate a loro stesse, racconti di depressione da piccolo centro urbano e  strade statali in via di trasformazione, piegate dal cinico volere capitalista che, con la benedizione di chi amministra il potere, le renderà percorribili solo a pagamento. Osservo così un paese che arretra, che non migliora. Penso a queste cose mentre punto verso il futuro, almeno musicale. In Italia c’è sempre più un fermento che suona, che produce, che mixa, in Italia c’è sempre più musica nuova che si affaccia in superficie partendo da sottoterra. Proprio sottoterra, nella bellissima dance-floor del Cacio&Pere, in un quadro simbolico che unisce una cantina di tufo medioevale col clubbing, incontro Lorenzo Nada, aka Godblesscomputers. Parliamo a lungo; di periferie, di paesi lontani, delle scuole medie e di musica.

ilcARTEllo: Partiamo dalle tue origini. Sei di Ravenna ma hai vissuto a Berlino, riconosciuta al momento come la capitale mondiale dell’elettronica e un po’ come la città-termine-di-paragone per tutto quello che succede nell’universo musicale sintetico. La capitale tedesca ha avuto un peso ed un’influenza su Godblessbomputers?

Godblesscomputers: Si. Ho vissuto tre anni e mezzo a Berlino e sicuramente come città ha avuto una grande influenza su di me, non tanto come stile musicale, dato che è una città molto legata alla techno, quanto a livello umano attraverso le persone che vi ho conosciuto ed incontrato. Anche se non riconosco nella mia musica un’influenza diretta ed esplicita della capitale tedesca, devo dire che tutte le esperienze di vita hanno avuto un riflesso sulla mia produzione, dato che fondamentalmente i miei pezzi sono delle storie, dei viaggi che riprendono immagini di vita vissuta. Proprio come l’esperienza a  Berlino.

ilcARTEllo: il nostro giornale ha un pezzo del proprio cuore a Firenze e ovviamente conosciamo bene Fresh Yo! Label ed i suoi artisti. Come nasce la vostra collaborazione? Ci racconti qualcosa su “Lost In Downtown”, il tuo progetto di re-work di brani dei Beastie Boys edito per la label fiorentina?

Gbc: Contattai Simone di Fresh Yo! nel 2011 proprio mentre abitavo a Berlino e avevo appena finito il mio primo Ep, una collezione di pezzi completati lavorando nella mia camera. Cercavo un’ etichetta per quel prodotto che avevo già curato in tutte le sue parti, dal mixaggio alle grafiche e lui ne è stato da subito entusiasta. Quindi è nato “Swanism”, legato all’idea del cigno, della bellezza e del decadimento, fino ad arrivare a “Lost In Downtown”, re-work dei Beastie Boys, uno dei miei gruppi preferiti in assoluto.

ilcARTEllo: La tua pagina Tumblr è ricca di foto e filmati che in qualche maniera vanno a comporre l’immaginario che sta dietro a Godblesscomputers. Vi si trovano foto di tutti i giorni, filmati di backstage e immagini di scenari aulici, di natura selvaggia o di installazioni umane su cui la flora circostante ha oramai preso il sopravvento. Tali scenari sono per te una fonte ispirazione? C’è una correlazione fra quell’immaginario ed il tuo utilizzo di molti campioni presi dalla natura?

Gbc: I luoghi che ho fotografato spesso sono gli stessi in cui sono andato a registrare i rumori ed i suoni che senti nel disco. A me piace molto viaggiare  e porto sempre con me un registratore portatile col quale registrare i suoni della natura. Per esempio in “Veleno” ci sono il bosco, le foglie, il vento ed il legno, tutti colori che mi piace mettere nella mia musica, attraverso l’inseriremento, durante la composizione, di rumori derivati da momenti, così che in ogni pezzo ci siano dei suoni che nella mia testa sono legati ad un istante ben preciso. In questo modo unisco il mondo dell’elettronica a questi suoni organici che mi aiutano a dare ai pezzi un senso, una profondità, creando una storia. Quando scrivo un pezzo parto da una suggestione, da una sensazione, da qualcosa che ho vissuto e che voglio trasporre in musica; questo è il mio modo per dargli un significato. Voglio immaginare di essere io stesso il primo fruitore della mia musica e in essa vedo una complessità che non necessariamente gli altri colgono, ma fare musica è qualcosa che faccio anche per me e che per me ha un senso.

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ilcARTEllo: Nel tuo ultimo album, a mio avviso, spicca la traccia “Yuan”, che si apre con il campionamento del rumore della pioggia, di un arpeggio e di alcuni dialoghi infantili in lingue orientali. Tu stesso infatti la definisci con le seguenti parole: “Aprii gli occhi perché svegliato da grida di fanciulli, scendeva una fitta pioggerella primaverile che a contatto con la mia pelle si dissolveva in vapore.” Queste parole hanno una valenza autobiografica? Ci vuoi raccontare qualcosa della genesi di questo brano?

Gbc: L’arpeggio che senti è il suono di una sorta di mandolino, uno strumento tradizionale mongolo frutto delle field-recordings di un amico etnomusicologo che è andato a compiere degli studi in Mongolia. Al contrario le voci dei bambini vengono da un parco di Bologna: io abito al Pilastro, una zona popolare al di fuori dalla cerchia dei viali cittadini, nel nord-est della città. Vi si trova un parco gigante dove puoi trovare famiglie di varie etnie e nazionalità, lì ho registrato le voci dei bambini mentre giocavano. Il pezzo è nato l’anno scorso e ora a distanza di un anno sto pensando al prossimo disco, rielaborando idee che avevo buttato giù questa estate in un periodo in cui non ero molto….concentrato, perchè dall’uscita di Veleno – grazie agli ottimi feedback che ha ricevuto e che mi hanno sinceramente stupito – ho girato tantissimo, fatto un sacco di live, mentre io ho bisogno del mio tempo per scrivere musica, ho bisogno di chiudermi in studio e prendermi tre o quattro giorni per finire un pezzo, ho bisogno di concentrarmi. Sto infatti limitando il numero dei live in questo momento per prendermi il mio tempo, per trovare l’armonia e l’equilibrio di casa mia, del mio studio, dell’alzarmi presto la mattina e bere il caffè, per poi chiudermi nel mio studio che mi piace immaginare come il laboratorio di uno scienziato: lì trovo i miei dischi, le mie cose in cui perdermi, riascolto le cose registrate nei giorni precedenti, riapro pezzi o idee abbozzate. Per quando riguarda la descrizione di Yuan, sono parole legate alle suggestioni di quel momento della mia vita e  ho cercato di condensare nel pezzo cose che mi sono successe….nei giorni. Che poi è più o meno la storia di tutti i pezzi.

ilcARTEllo: Facciamo un gioco; dividiamo la vita in tre macro periodi: l’infanzia e la gioventù, l’adolescenza e le scuole superiori e infine l’odierno. Per ciascuno di essi quali influenze musicali nomineresti?

Gbc: Se penso alla giovinezza penso alle scuole medie, che è il momento in cui inizi ad ascoltare musica autonomamente da ciò che ascoltano i tuoi genitori. Mio padre ha sempre ascoltato della bellissima musica, essendo un gran collezionista di dischi jazz, soul e funk. Le prime cose che ho ascoltato erano produzioni hip-hop dei primi anni novanta come i Sangue Misto, i primi Colle der Fomento, roba che mi prendeva benissimo. Ascoltavo anche quei gruppi che a nominarli ora ti fai una risata, come gli Articolo 31 con “Maria Maria e “Tranky Funky” (ride di gusto ndr). Crescendo mi sono spostato sull’hip hop americano: Beastie Boys, Cypress Hill, A Triple Called Quest, Public Enemy e tutti quei gruppi incredibili! Poi alla fine del liceo mi si è aperto il mondo della musica elettronica di matrice inglese, etichette come Warp e Ninja Tune che proponevano progetti musicali che mischiavano l’hip hop ad un animo elettronico. Penso a Dj Shadow che ho visto live nel 2002, quando sul palco si è presentato col giradischi, il synth e la durm machine. Oggi invece è anarchia totale, ascolto tutto quello che mi piace, che mi stimola, che mi dia delle sensazioni. Ascolto una valanga di musica. Da buon collezionista di dischi spendo un capitale di soldi in vinili e non so più dove metterli, comprando dal Jazz all’Afro Beat, dalla Samba alla musica tradizionale indiana, collezionando dischi sia per prendere campioni sia per ascoltarli lasciandomi trascinare…

ilcARTEllo: Il 15 Gennaio prossimo rappresenterai l’italia sul prestigioso palco dell’Eurosonic Festival, insieme a te anche Clap! Clap!, Niños Du Brasil e Boxerin ClubE’ sicuramente bello vedere dei nomi nostrani in una line-up di tale prestigio. Credi che la scena elettronica italiana stia conoscendo una certa fioritura? Abbiamo posto la stessa domanda a Machweo il quale ci ha confidato che fra i suoi esponenti esiste una certa amicizia o che comunque sono tutti  in contatto. Quali sono gli artisti elettronici della nostra scena che vorresti nominare?

Gbc: C’è un momento di assoluta fioritura e posso confermarti che non siamo tantissimi ma che ci conosciamo tutti. Siamo un gruppo di persone super motivate che collaborano, che hanno voglia di supportarsi a vicenda. Se ne stanno accorgendo in molti e la cosa importante è che questo arrivi anche all’estero e l’Eurosonic come festival può dare la giusta visibilità. Ho stima per le persone che hanno un rapporto autentico con la musica che fanno, che la sentono davvero, tutte le persone che ci mettono del loro e portano avanti un discorso personale. Tra gli amici sicuramente ti dico Godugong, Stèv, Machweo, Yakamoto Kotzuga, Clap Clap, Populous,  Apes on Tapes. Ma siamo devvero tutti amici e ne sto sicuramente scordando qualcuno.

ilcARTEllo: Nel tuo nuovo lavoro l’elettronica si fonde col rap creando un sound davvero originale. Come avviene nella tua musica il passaggio da hip hop ad elettronica?

Gbc: Per me il legame nasce dalla tecnologia, nel senso che da un lato ci sono le macchine che usavano i producer hip-hop come l’Akai 950, l’Akai 3000, il primo MPC o il Roland, mentre l’elettronica nasce col computer e l’avvento della tecnologia e dei software come Ableton, Reason e i campionatori digitali. Ci sono dei suoni che chi ha prodotto hip-hop fino a quel momento non conosceva e in quel momento nasce questo collante con l’elettronica. Quanto facevo le mie prime esperienze di produzione avevo un piccolo campionatore, un Atari coi dischiettoni da programmare, quelle cose che adesso dici “ma vaffanculo, ci mettevo due ore per fare una cosa che adesso con Logic impiego 6 minuti!”