Il nostro articolo di settimana scorsa su Interstellar ha dato vita ad un’accesa polemica. Per saperne di più.

Essendo il dibattito ben vivo anche all’interno della Redazione de il cARTEllo, oggi ci dice la sua Daniele Castellani, un nostro autore con una opinione del film diametralmente opposta a quella di Lorenzo Borghini. 

Ferro3, uno dei film più belli di Kim Ki Duk (ed uno di quelli che più ho amato nel recente passato), sviluppava un profondo ed interessante discorso (in immagini, perché talvolta le parole non servono) sull’amore, inteso quest’ultimo come forza capace di trascendere il tempo e (soprattutto) lo spazio. 

La cura, uno dei testi più belli e profondi del grande cantautore Franco Battiato, descriveva un amore in grado di superare le correnti gravitazionali. 

Anche Christopher Nolan, nel suo Interstellar, celebra l’amore capace di vincere ogni avversità, le tre dimensioni, il tempo, la gravità. Il semplice fatto che lo faccia spendendo molto (molto denaro, ma anche molte parole) e costellando il suo film di effetti speciali e di scene grandiose che fanno un po’ Hollywood style non significa di per sé che il risultato sia da buttare. Se si accetta l’assunto secondo il quale il fine non giustifica i mezzi, allora bisogna ammettere anche che sono i mezzi che denunciano il fine.

Di conseguenza, è l’abito che fa il monaco?

Sicuramente Interstellar non è un capolavoro (assurdo il paragone con 2001: Odissea nello spazio). Molto probabilmente non raggiunge l’estatica contemplazione di Gravity (che comunque non era un capolavoro). Ritengo tuttavia che, al netto di qualche vuoto di sceneggiatura (inevitabile se si vuole riassumere in poco meno di tre ore, poco più di ottanta anni; e non venite a dirmi che a Stanley Kubrick è bastata un’ellissi per riassumere milioni di anni), e di qualche concessione enfatica di troppo, Interstellar possa essere considerato un buon film. Riuscendo a far coesistere le due anime contrapposte del film, quella più razionale e scientifica (tra equazioni incomplete, dimensioni e gravità) e quella irrazionale e passionale (amore, coraggio, riscatto), Nolan dà il meglio di sé nell’incontro/scontro tra elementi: Terra (arida, polverosa e finita) e Cielo (plumbeo, silenzioso e apparentemente infinito), ma anche Fuoco e Ghiaccio (emozionante il montaggio che ci mostra, alternandoli, l’agguato a Cooper, il protagonista, nel pianeta ghiacciato e la piantagione di mais data alle fiamme dalla figlia di Cooper, Murphy, rimasta sulla Terra).

Se alla fine è l’amore che salva il mondo e riscatta la fallacia umana, non ci viene comunque offerto l’eroe da santificare quale salvatore della Patria (rectius: della Terra), Interstellar non è Independence Day, e non è nemmeno The day after Tomorrow, e Nolan non è Roland Emmerich. Se Cooper accetta di partire per lo spazio per portare a termine una missione disperata non lo fa perché sente su di sé il peso di una responsabilità (non è Batman, o Spider Man) ma, più “egoisticamente”, per regalare un futuro ai propri figli. E, perché no, anche per sé stesso perché l’astronauta è la vita che è nato per vivere. Non è un agricoltore, ma un esploratore. Ancora l’amore quindi. Stavolta verso sé stessi.

Nolan non è snob, non strizza l’occhio ai soloni dell’arte critica, non fa cinema di nicchia per una ristretta cerchia di eletti; nel suo modo di fare cinema, tra alti (l’uso del montaggio alternato) e bassi (una certa ridondanza espressiva), non rinuncia al piacere del racconto, non rinuncia allo stupore dell’immagine, non rinuncia nemmeno all’idea che l’arte tutta, anche quella “bassa” e popolare, sia innanzitutto veicolo per comunicare emozioni.

E se del domani non c’è certezza, godiamoci intanto ciò che ci regala il presente. E, tra improbabili natali in giro per il mondo, commediole romantiche in salsa “volemose bene”, supereroi come se piovesse e insulsi thriller che tradiscono velleità autoriali, io mi tengo stretto questo Interstellar.

Infine qualche precisazione, in ordine sparso (con riferimento al primo articolo su Interstellar):

– Cooper non si butta nel buco nero per salvare l’umanità ma perché a quell’umanità non può far ritorno;

– La collega di Cooper non è da qualche parte nel cosmo, ma nell’unico pianeta che non avevano visitato, quello di Edmonds;

– Cooper non si imbatte per caso nella NASA, invierà lui le coordinate;

– Se in The prestige, ambientato nel mondo della magia, gli effetti speciali erano funzionali alla storia, perché in Interstellar, ambientato nello spazio, non lo dovrebbero essere?;

– La “canzone enfatica American style”, come la colonna sonora tutta, è di Hans Zimmer, grande compositore tedesco che, tra le altre cose, vanta nove nomination agli Oscar.