Ore italiane 17:03, 12 Novembre 2014: dopo un viaggio di dieci anni, Philae, il lander della sonda spaziale Rosetta, è atterrato sulla cometa 67P. All’Agenzia Spaziale Europea volano i tappi di spumante, è un grande giorno. Non c’era mai riuscito nessuno, ad andare su una cometa. Ora, se vi state immaginando una folla di occhialuti scienziati in camice bianco che non sanno bene come maneggiare una birra, provate a zoomare su uno di loro: si chiama Matt Taylor, e indossa una camicia che fa veramente cacare. Matt è un omone con tanta barba e tanti tatuaggi, ma il caso vuole che abbia anche un Dottorato in Space Plasma Physics. Adesso immaginatevi una musichetta tipo Psycho, di quelle che vi fanno venire tanta ansia, e zoomate sulla camicia: tendente al viola, decorata con sobrissime pin-up tettone che imbracciano dei revolver. Inquietante il pendant coi calzini.

Matt non lo sa, ma quella camicia (che gli è stata regalata da una sua amica, artista) sta per rovinargli la giornata. E dire che a guastargli l’umore sarebbe bastato il servizio del TG4 sulla missione. No non vi dico niente, guardatelo e basta. Cercate solo di non tagliarvi le vene.

 

Poi qualcuno fa notare che quella camicia, oltre ad essere veramente brutta, potrebbe offendere un sacco di donne. Ora, un astrofisico hipster pieno di tatuaggi, con moglie e due figlie, che ha appena parcheggiato un proiettile su un altro proiettile non dovrebbe essere particolarmente incline ad offendere il prossimo a suon di luoghi comuni. E dire che avrebbe un mondo di battute sui parcheggi a disposizione. Ma non c’è niente da fare, scoppia la polemica: la camicia è sessista, e il guardaroba di Matt diventa simbolo di ogni disparità di genere nel mondo scientifico (che è una triste realtà). Immaginatevi pure la voce fuori campo di Enzo Miccio: “Ma come ti vesti?!”.

Matt Taylor

L’abbigliamento sobrio di Matt

Toni Servillo ne La grande bellezza diceva che “su donna con le palle crollerebbe qualsiasi gentiluomo”. Il nostro Matt, invece, è assalito dal dubbio: “Sono io un cazzone insensibile che urta la sensibilità altrui, o sono gli altri un attimino esagerati se si sentono offesi da una camicia, e scambiano il cazzeggio per qualcosa di più serio e grave?”. Matt ha optato per la prima ed è andato in tv a chiedere scusa, piangendo. Siete riusciti a far piangere un Nerd perché si veste male, contenti?

Matt Taylor

Prima: Matt annuncia la sua impresa.

Dico io, questo atterra su una cometa, forse forse trova molecole organiche e scopre da dove è arrivata la vita sulla Terra e magari il miracolo dell’immacolata concezione… e vi incacchiate per delle pin-up col revolver?

Matt Taylor

Dopo: Avete fatto piangere Matt.

Per un attimo ho provato ad immaginarmi cosa succederebbe se davvero in ogni parte del globo (tranne Arcore) la gente iniziasse a convertirsi al politicamente corretto, bandita ogni civetteria o guasconeria in nome del diritto di tutti a non essere mai offesi da niente e da nessuno. Cindy Lauper dovrebbe bruciare in pubblico rogo i vinili di Girls Just Wanna Have Fun, e cantare un più sobrio ‘Le ragazze vogliono solo diventare appropriate vicepresidenti di rispettabili compagnie assicurative’. Uno spasso. Se litigaste con la vostra fidanzata, in nome della parità di genere, dovreste provare ad infamarla tentando con uscite tipo: “Hai il pisello minuscolo”. Non ce l’ho fatta.

Che dopo un’impresa simile l’umanità si affanni a determinare il grado di inappropriatezza di una certa camicia rasenta la schizofrenia. Ridurre le lotte per la parità di genere a sterili e seriosi formalismi da politically correct mi fa una tristezza che nemmeno Matteo Salvini. Soprattutto quando c’è gente come Miley Cyrus e Alfonso Signorini ancora in giro a piede libero, impunita.

La verità è che quando la smetteremo di giudicare statura e capacità delle persone per luoghi comuni, dal sesso che hanno, così da come si vestono, la disparità di genere diventerà il ricordo di un passato puzzolente, come quando si fumava nei cinema e nei ristoranti. Un mondo senza TG4, con Signorini e Miley Cyrus disoccupati.

Mi viene in mente la scena finale di Amici Miei, dove il leggendario gruppo di cazzoni fiorentini scherzava anche al funerale del loro compagno, pur di non prendersi troppo sul serio. E le parole del Perozzi: “Io restai a chiedermi se l’imbecille ero io, che la vita la pigliavo tutta come un gioco, o se invece era lui che la pigliava come una condanna ai lavori forzati. O se lo eravamo tutti e due”.