Renè Ferretti in Boris si interroga sull’opportunità o meno di creare una serie di qualità in Italia. Arrivando alla conclusione che un’altra televisione non è possibile, coniando così il motto: “La qualità c’ha rotto er cazzo, viva la merda!”. Arthur Schopenauer invece distingue le categorie estetiche in Bello e Sublime. Descrivendo la prima come il piacere che si ottiene guardando un oggetto gradevole, bello; mentre la categoria del Sublime individua il piacere che si prova trovandosi davanti alla potenza ed alla vastità di un oggetto che potrebbe distruggere chi lo osserva. Lory Del Santo ha fatto molto di più. È riuscita a fondere mirabilmente la merda ferrettiana con la categoria schopenaueriana del Sublime. Tutto ciò in una web serie di 10 puntate. Sto parlando ovviamente di The Lady.

Prendete una serie sconclusionata di dialoghi rubati dal backstage di un melodramma porno di serie Z, aggiungete l’estetica muscolare e tamarra dei provini di Uomini e Donne e infine agitate tutto e lasciatevi guidare da Lory Del Santo: regista, montatore, music producer, direttore della fotografia, sceneggiatore. Come nei softcore di Ed Wood. E il risultato è strabiliante. Squassante. 

The Lady non ha trama. La rifugge per precisa scelta artistica. The Lady è una passerella di personaggi, un piccolo mondo antico: la sfilata di quel sottobosco coatto e plastificato dell’era berlusconiana più crepuscolare, di una Milano di grattacieli e tapis-roulant, di champagne e lustrini, di escort e steroidi, di razzismo strisciante e avidità edonista. The Lady procede spedita a colpi di telefonate sui balconi di Milano, sul lungo Senna di Parigi e sui boulevard di Miami insieme a bagagliai che non si chiudono. Non esiste sviluppo narrativo, l’importante è essere indaffarati. O meglio, dichiararsi busy. The Lady rivoluziona così il concetto stesso di scrittura, fottendosene di ogni regola che lo scibile umano abbia prodotto.

Ma The Lady è molto di più. È soprattutto un melodramma contemporaneo à-la Almodovar con virate thriller – spesso oniriche e sfuggevoli – che sembrano partorite dalla mente del David Lynch di Velluto Blu. Condite da una gamma fotografica che vira dal bianco latte al blu cianuro nel lasso di un sospiro. Manca solo il rosso pompeiano e poi anche Fantozzi è citato.

Così se un tempo ci interrogavamo su chi fosse Laura Palmer, oggi il dubbio ci divora al solo pensare a Lona: ovvero The Lady. Chi è Lona? Impersonificazione dell’Io delsantiano o Giovanna d’Arco malata di smartphone e Costantino Vitagliano? Probabilmente non lo sapremo mai. Ed è giusto così. Ma se tutta la serie è impostata in maniera lonacentrica, i satelliti che le girano intorno non sono da meno. Anzi. In una continua carrellata frenetica degna di Altman si susseguono figure mitologiche e tragiche, come quella di Natalia Bush. Che racchiude in 30 sillabe una delle battute clou dell’intera poetica delsantiana: “Ma perchè siamo sempre in ritardo?” “Oggi mi sento allegra, adrenalina al top.”

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O ancora: “Tu uno estallone puro sangue, un bastardo su misura“. Non basta. Perchè la serie è ricca di citazioni e omaggi più o meno criptici, come l’inquietante e minaccioso figuro dal volto sfregiato, che segue in disparte ogni spostamento della protagonista. Evidente omaggio al Bob di Twin Peaks. O come il filosofico personal trainer: un inarrivabile mix tra Zangief di Street Fighter e un tronista ospite a Pomeriggio 5 che si è fatto prendere un po’ troppo la mano con gli steroidi e la creatina.

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Poi ci sono i comprimari, quelli che un tempo avremmo chiamato caratteristi. È qui che spicca il duo cingalese di domestici al servizio di Lona. C’è Samhir, che in ogni puntata continua a pulire vetri sfoggiando un’uniforme da navigato nostromo; poi c’è Chang, figura pivotale del maschio schiavizzato dal potere soffocante della Lady, domestico dall’orecchino di pirla che persegue pedissequamente il suo scopo: aprire una porta e rispondere “Sono arrivati uomini! Sì signora!”.

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Impossibile riassumere e descrivere tutte le figure che costellano quest’avventura vagamente noir in salsa privée dell’Hollywood. Inutile anche dilungarsi sulla regia della Lory nazionale: un capolavoro di scavalcamenti di campo, bruciature e bilanciamenti inesistenti, audio sovraimpresso attraverso un citofono e bilanciamento del bianco che ricorda il peggior Brazzers. Ovviamente voluto. Insomma, in mezzo a silicone, steroidi, depilazioni da guinness, sopracciglia drammatiche e doppiaggio in globish, siamo di fronte al primo porno senza porno di sempre. Il resto, poco importa. Come recita un vecchio detto siciliano: il vestito nulla è, tutto sta come lo si porta”. E The Lady non lo porta proprio. Mai come stavolta si può dire: Lory ha sfornato un vero capolavoro.