Com’è bello classificare, etichettare, giudicare, disporre secondo ordini di grandezza o scale di proporzione. Non c’è niente da fare, una classifica ci rassicura e ci dà la misura delle cose dandoci uno sguardo dall’alto omni comprensivo, totale. In qualche modo siamo abituati sin da piccoli al concetto di classifica: il più bravo della classe ed i voti in pagella, il ranking della propria squadra del cuore e così via. Classificare le cose secondo un punteggio oggettivo è naturale, se vinci più partite sei il primo in campionato, se bevi più birre sei il campione del tuo pub preferito, se conquisti più ragazze sei l’idolo dei tuoi amici (occhio a dire la verità però). I problemi con le classifiche arrivano quando si cerca di ordinare delle cose la cui valutazione risponde solo ed esclusivamente a giudizi soggettivi, come per le opere d’arte: il mese di Dicembre è da sempre il magic moment delle classifiche musicali, Dio ce ne scampi. Faccio una piccola premessa. Anni fa lessi un’intervista a Sua Maestà Dio In Terra Little Richard il quale, con la spocchia e la beata arroganza che lo contraddisguono (roba da far impallidire Keith Richards) sentenziò:

– Le classifiche rock non hanno senso. Io dovrei sempre stare davanti a Hendrix o ai Beatles. Ho insegnato io a Paul McCartney come si fa “uuu-uuh” –

Parole sante. Difatti il divino Richard non fa altro che sottolineare come nulla ci sia di oggettivo in una classifica musicale e, con non poco istrionismo, per dimostrarlo cita un mago delle sei corde, che per lui era un semplice turnista, e un immortale della musica rock e pop che sui ruvidi vocalizzi di Little R ha modellato i propri virtuosisimi da corda vocale.

Le chiacchiere stanno a zero.

Con questo spirito entusiasta e ben disposto verso la categoria delle classifiche, ho digitato su Google “Best New Album 2014”. Come spesso succede con delle ricerche generaliste, i motori di ricerca ci sommergono di risultati, ho quindi deciso di prendere due esempi di mala classifica e bona classifica per esporveli, attingendo a due nomi storici del giornalismo musicale posti sulle due diverse sponde dell’Oceano Atlantico; Rolling Stone ed il New Musical Express, in rappresentanza rispettivamente di Stati Uniti d’America e Regno Unito. N.B. ho limitato la mia ricerca ai siti web delle due testate, sebbene le rispettive versioni cartacee non cambino la sostanza delle cose.

Partiamo dagl’inferi: ROLLING STONE.

La prestigiosa testata americana dal nome altisonante ama storicamente prodursi in ogni genere di classifica. La più assurda risale al 2005, quando in occasione della ricorrenza del 50esimo compleanno del rock and roll, si cercava di stabilire quale fosse il più grande album di tutti i tempi. Sicuramente il piccolo tomo che la rivista dedico a tale classifica vinse il premio di più grande assurdità di tutti i tempi, cercando di trovare un metro di giudizio per opere complesse e diversissime come Sgt. Pepper’s o Kind Of Blue, per altro senza stabilire un intento programmatico che spiegasse ai lettori come interpretare una classifica che incorporava Beach Boys, Outkast e Manu Chao, un po’ come se una rivista di cucina mettesse a confronto il  sushi con la bistecca alla fiorentina o se la Gazzetta cercasse di confrontare Facchetti con Van Basten. Sono cose diverse, da apprezzare per quello che sono e basta. Poi de gustibus non est disputandum…..

Ecco quindi che mi accingo ad aprire la famigerata classifica dei migliori album del 2014: sorta di girone dantesco dove in un sadico gioco degli opposti si premia la banalità e si minimizza la sperimentazione e la qualità. Se quindi troviamo Tinariwen e Tweedy & Son agli utlimi posti, non stupitevi se Flying Lotus è fuori dalla top ten, proponendo un disco che solo per il singolo estratto poteva benissimo stare in Top5. Ovviamente Caribou e Aphex Twin sono relegati ai bassifondi, dei Jungle nessuna traccia, mentre per un non meglio precisato motivo ci si ritrova a celebrare Bruce Springsteen mettendolo al secondo posto. Ma, come diceva Frank Sinatra, The Best Is Yet To Come, e con mia grande, grandissima sorpresa trovo “Songs Of Innocence” degli U2 posto sul gradino più alto del podio.

Io non sono nessuno per poter in qualche modo criticare le opere di musicisti come Springsteen o il quartetto irlandese, da più di trent’anni ai vertici della scena rock mondiale. Mi dà però enormemente fastidio il solo concetto che dei musicisti continuino imperterriti a fare la stessa musica che fanno da decadi senza provare nessun tipo di sperimentazione, rinnovamento o deviazione dalle strade già battute. Neanche Paul McCartney o Bob Dylan si sono salvati da questo peccato. Ancora peggio, non capisco perchè testate potenti ed autorevoli come Rolling Stone non provino a preferirgli cose nuove, giovani, che possano dare nuova linfa alla musica e ridare fiato al mercato discografico, coinvolgendo le fasce di età più basse affascindandole, magari inducendole ad abbandonare il download per glorificare mezzi di riproduzione più consoni. Certo è che se al nuovo pubbico che si affaccia alla musica vengono proposti gli stessi artisti che ascoltavano i loro padri, ma privi della sfrontatezza e della freschezza degli esordi, il risultato non può che essere deludente. Tutt’al più si acquisteranno le vecchie copie di “The Joshue Tree” o “Born In The U.S.A.”, ma la sostanza non cambia.

Ben diversa l’aria che si respira in casa NME dove si chiede ai lettori di decidere quali siano gli album più belli dell’anno, operando una scelta saggia, dato che solo il pubblico può decretare il successo di un artista, e allo stesso tempo coinvolgente. Spiccano i redivivi Death From Above 1979, viene confermato l’enorme successo di Jack White e St. Vincent (la seconda capace davvero di un album notevole), si premia l’hip hop dei Run The Jewels, si santifica il nome del padre mettendo Damon Albarn e i suoi Robot Quotidiani al terzo posto, mentre con mia grande soddisfazione troviamo Todd Terje ad un passo dall’alloro, con il suo ottimo “It’s Album Time”. Vincono, aggiundicandosi il gradino più alto del podio, i Royal Blood con il loro album omonimo, capace di vendere 70.000 copie in una sola settimana dalla sua uscita. Non male. Per di più l’album sfoggia una bellissima quanto surreale copertina ad opera dell’artista Dan Hillier, al quale viene chiesto di elencare quegli album che secondo lui presentavano i concept grafici più interessanti dell’anno appena trascorso.

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Si da quindi il giusto spazio a Thom Yorke, Dean Blunt, Azelia Banks ed Alt-J, senza imporre un ordine gerarchico alle opere. Ancora, i redattori del New Musical Express compilano per i loro lettori una lista dei 30 album d’esordio del 2014 da non perdere, che include Adult Jazz, Dream Police, Glass Animals e molti altri ancora. L’effetto suscitato è stato quello della curiosità, stimolandomi a prendere nota ed infoltire la lista di album da ascoltare, cosa che mi farà scoprire tanta musica nuova che non ho mai sentito prima. Bingo. Credo che il compito delle classifiche sia questo, operare come dei compendi che possano riuscire nella difficilissima impresa di riassumere il mare magnum delle uscite discografiche pop di dodici, lunghi mesi. A mio avviso è anche un modo per nobilitare il lavoro del critico musicale, non chiamato al mero giudizio – opinabile, discutibile, soggettivo – ma chiamato a svolgere più un lavoro di ricerca e quindi di selezione secondo un principio, che sia quello della novità o della copertina più bella.

Vi chiedo però scusa, rileggendo queste righe mi rendo conto del mio errore di fondo, del peccato originale che mi ha condotto in un terribile paradosso: per criticare il concetto di classifica ho dovuto ricorrere io stesso ad una classificazione. Little Richard mi perdonerà, l’ho fatto a fin di bene.

Ps ieri ho bevuto 35 birre rosse medie doppio malto e ho conquistato 72 ragazze ognuna di nazionalità diversa 😉