Una pellicola che fa dimenticare la differenza fra cinema e vita.

La storia è la più vecchia del mondo: madre sola, incapace di gestire la propria vita e figlio problematico, tendente a scatti di violenza incontrollati. Sembrerebbe un cocktail perfetto di cliché, ma Xavier Dolan la rende unica.
All’inizio del film si ride. Steve Deprés torna a casa dopo una lunga degenza in un istituto e le sue parole, le sue follie e i suoi sguardi ci fanno sorridere, per tutta la loro sfacciataggine adolescenziale. Anche la madre Diane è simile a lui: arrogante ed esuberante, ma non a livello patologico come il figlio. Ma se inizialmente ridiamo delle loro stranezze, col passare dei minuti, iniziamo a conoscerli meglio, e da estranei diventano vicini di casa, amici, parte della nostra famiglia e quei sorrisi iniziali scompaiono tramutandosi in preoccupazione, tristezza e angoscia per la loro situazione disperata.
Il disordine del loro microcosmo viene scombussolato dalla vicina Kyle, insegnante in congedo con un problema di balbuzie, che sembra ritrovare un po’ di equilibrio grazie alle due comete di casa Deprés.

 

Xavier Dolan sceglie di girare in un non convenzionale 1:1, un formato che racchiude tutto all’interno di un quadrato, che esclude il fuori campo per dare risalto ai volti e alla sofferenza. Tutto succede lì, dentro una cornice che non dà spazio all’immaginazione, che carcera i personaggi quasi stritolandoli, soffocandoli nei loro problemi. A momenti manca l’aria da quanto è azzeccata la scelta dell’1:1. Verrebbe voglia di aprire quello schermo per dare un po’ di respiro al povero Steve e…e Dolan ci accontenta. L’apertura dello schermo è quanto di più audace si sia mai visto nel cinema contemporaneo, è una rottura degli schemi che Dolan non compie solo come puro esercizio di stile; anzi, è carica di un significato profondo, intrisa di emozioni forti legate all’apertura di una finestra di felicità momentanea. Uno spiraglio, quindi, che non può che durare pochi minuti, per poi richiudersi rappresentando l’impossibilità di una felicità permanente.
Steve è una meteora come lo era stato Antoine Doinel nel 1959. Due ragazzi incompresi da seguire passo dopo passo, sguardo dopo sguardo, cercando di capirli e di proteggerli da una società che li respinge con dolore.

 

Mommy è un film su un amore materno molto forte, su un legame indissolubile, che neanche la malattia di Steve sembra poter scalfire.
Xavier Dolan al quinto film centra un colpo da fenomeno. Vince il premio della giuria al Festival Cannes e per 135 minuti ci fa dimenticare la differenza fra cinema e vita.
Ha 25 anni e in cinque film ha detto più di molti registi in una lunga carriera.