Sesso, droga e contrabbando. No, non è la presentazione della prossima stagione di Boardwalk Empire, ma quanto accadrà da settembre al Prodotto Interno Lordo (PIL), il più conosciuto (e dibattuto) indicatore economico del nostro tempo. Al ritorno dalle vacanze estive infatti, le modalità di computo del PIL subiranno una modifica “stupefacente” in quanto contrabbando, prostituzione e droga entreranno a farvi parte.
In macroeconomia il PIL è definito come il valore totale dei beni e servizi prodotti in un paese da parte di operatori economici residenti e non, e destinati al consumo finale, alle esportazioni nette (esportazioni al netto delle importazioni) e agli investimenti pubblici e privati. Fu introdotto dal premio Nobel Simon Kuznets verso la metà degli anni ’30 con lo scopo di contabilizzare l’economia di uno Stato. Col passare del tempo il sistema di conti di Kuznets si è evoluto e raffinato, fino a diventare l’attuale indicatore economico. Molti sono gli aspetti positivi legati a questo indice, su tutti: fotografa l’economia di uno Stato e la rende confrontabile con altre. Tuttavia, molte sono anche le critiche che negli anni ha ricevuto.
 
Ciò che viene più frequentemente contestato è che il PIL sia spesso associato con la qualità della vita dei paesi, e strumentalizzato per fini politici. Della serie, “il PIL è grande, la vita è bella e tutto va bene”. E questa è una grossolana approssimazione, o una furbizia di politici e combriccola. Cioè, in generale il paradigma funziona – se si considerano Lussemburgo e Liberia, sono convinto che la qualità della vita sarà, come il PIL, ben più alto nel primo paese che nel secondo –, ma non va affidato al PIL un compito che va oltre le sue mansioni. Vi è un famoso discorso tenuto da Bobby Kennedy alla Kansas University qualche mese prima di essere assassinato che contesta, romanticamente, questo indice sulla base del fatto che “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Sulla scia di questo discorso e di altre critiche, sono state proposte varie misure alternative al PIL. Misure che fanno – o quantomeno ci provano – confluire nel calcolo di questo aggregato il benessere delle persone dello stato in considerazione. Vari economisti hanno realizzato indici come l’Indice del Progresso Reale, quello della Felicità Lorda Nazionale o l’Index of Sustainable Economic Welfare.
 
Polemiche a parte, la realtà è che un indice migliore o più informativo non è ancora stato creato –o come direbbe qualche cospirazionista: “I signori del mondo non hanno interesse a che questo venga abbandonato”. In ogni caso, questo articolo non vuole essere né un attacco al PIL né una disamina delle possibili alternative a questo. Ma solo una riflessione critica sulle nuove modalità di rilevazione. Concludo dunque la divagazione e riprendo da dove avevo iniziato. Da settembre in poi l’economia illegale verrà contabilizzata e verrà considerata come parte della ricchezza nazionale tramite metodi di stima che permetteranno di quantificarla. Il motivo principale che ha spinto le istituzioni europee in questa direzione è quello di eliminare la disomogeneità tra i paesi membri. Infatti, alcune attività sono legali solo in alcuni paesi, e questo altera la confrontabilità dei dati. Per questo Eurostat, l’ente di statistica comunitario, ha introdotto delle nuove regole – si passa dal sistema europeo dei conti nazionali e regionali Sec 95 al Sec 2010 – che richiedono che le stime comprendano, a prescindere dallo status giuridico, tutte quelle attività che producono reddito. In realtà le novità sono anche altre tra cui, a mio avviso, la più importante è la capitalizzazione delle spese in ricerca e sviluppo – che tuttavia in Italia ha un peso minore rispetto a quello delle attività illegali, ma sto ancora divagando …
 
Gli effetti di questo provvedimento, dipenderanno molto dai metodi di stima scelti. La voce.info ha calcolato l’impatto di questo intervento su due misure importanti che si ricavano dal PIL e su cui si basano alcune politiche europee e non, come ad esempio il fiscal compact. A detta del giornale economico: irapporto debito/Pil subirebbe una riduzione di 1,32 – 2,6: nell’ipotesi massima si raggiungerebbe senza alcuno sforzo economico e politico metà dell’obiettivo richiesto dal fiscal compact.  Il rapporto deficit/Pil, invece, diminuirebbe di 0,03 – 0,05 punti, con una maggiore disponibilità di risorse da spendere tra i 15 ed i 31 miliardi secondo i dati del 2013”. Stiamo dunque parlando di una riforma (contabile) con effetti reali massicci, che ci mette di fronte ad una serie di riflessioni.
 
È amaro constatare come in Italia, l’abbassamento dei rapporti sopra indicati dipenderebbe in maniera maggiore dalla contabilizzazione dell’economia illegale che dalla capitalizzazione di ricerca e sviluppo nel PIL (e le altre modifiche che non ho menzionato). Nel lungo termine, questo ci porterà a essere dei fattoni ignoranti?
 
Gli “effetti reali” individuati sopra potrebbero essere ben più grandi se, con un piccolo sforzo mentale, accettassimo l’esistenza di ciò che si continua a negare e alcune attività illegali, come la vendita di droghe leggere o la prostituzione, venissero legalizzate e regolate. Questo genererebbe un gettito fiscale e ridurrebbe le spese legate al contrasto di queste attività. Dunque mi domando, perché continuare con questo proibizionismo, che va tutto a favore dei vari Nucky Thompson e bootleggersvari, quando una sana regolamentazione avrebbe una lunga serie di effetti positivi?
In linea con quanto appena detto, un mio amico ha sinteticamente commentato dicendo: “Non torna però, perché il debito lo puoi ripagare – aldilà delle re-emissioni – solo con entrate legali, non a nero cioè (e.g. le tasse!). Non è allora il caso di iniziare a seguire, ad esempio, il percorso di legalizzazione-regolamentazione timidamente intrapreso da alcuni Stati degli States?”.
In poche parole, quando inizieremo a preferire il progresso al regresso?