Ancora una volta Fellini ci suggerisce che la ragione serve a poco o a nulla.

Con La dolce vita Federico Fellini ha un successo impensabile. La sua fama è tale che oscura quella dei divi che prendono parte ai suoi film. Ha inventato parole nuove come ‘paparazzo’, ha diviso la Chiesa, ha incassato al botteghino una cifra esorbitante. Qualsiasi produttore cinematografico avrebbe fatto qualsiasi cosa per finanziare il suo film successivo.
Fellini entra così in una crisi profonda, esistenziale e creativa. Eguagliare un film come La dolce vita è pressoché impossibile. Inizia a fare sedute, forse per bisogno, forse per curiosità, con Ernst Bernhard. Entra talmente in empatia con lo psicoanalista junghiano che arriva a sognarne la morte, che si rivelerà esattamente come nella premonizione.

Fellini qui ha un’intuizione per il nuovo film: vuole filmare il pensiero di un uomo, i suoi sogni, senza un’idea precisa, ma mescolando varie sensazioni. L’amico Ennio Flaiano non è convinto, per lui l’operazione è impossibile.
La scrittura della sceneggiatura non procede, Fellini non ha in mente un progetto ben definito e non sa neanche che titolo dare: decide, quasi per gioco, 8 e mezzo, solo perché sarebbe il suo ottavo film e mezzo. Il produttore Angelo Rizzoli inizia a mettere in piedi il film, la preparazione comincia, ma sorge un problema: il regista di Rimini si scorda l’idea del film. Non essendoci niente di scritto il film scompare dalla sua mente.
Avviatosi a Cinecittà per comunicare la disfatta a Rizzoli, si imbatte nella festa di compleanno di un membro storico della sua troupe, che brinda al suo compleanno ed al nuovo capolavoro del maestro. Fellini ha finalmente l’intuizione geniale: farà un film su un regista che non sa che film fare.

 

 

8 e mezzo è il primo film che parla di se stesso e parlando di se stesso parla proprio del regista, ma non della storia del regista, ma dei suoi pensieri. È il film su un regista che sta facendo un film che parla di un regista che sta facendo un film… ci si potrebbe divertire all’infinito. Si sviluppa sostanzialmente in 4 parti: il rapporto con la sua infanzia, il rapporto con Dio, il rapporto con le donne, il rapporto con il suo lavoro (il cinema). È facile notare subito la grande influenza della psicoanalisi nella costruzione dell’opera poiché vengono affrontati molti degli elementi che la fondano.
È un film perfetto e la prima prima scena descrive alla perfezione lo stato d’animo di Guido Anselmi, il protagonista del film: chiuso nella sua macchina, fermo sotto un viadotto nel traffico, in una situazione surreale, dove nessuno parla, ma tutti lo guardano, immobili come manichini. Ansia, soffocamento, afa. La voglia di fuggire dallo stress della quotidianità che si fa sempre più invadente conduce tutte le situazioni di crisi relazionali del regista, che vive sempre circondato da persone che vogliono da lui qualcosa che non è capace di dare: chi la fedeltà, chi la nuova idea per un film, chi la devozione. Se non fosse per Claudia Cardinale, la donna/angelo, la speranza che lui immagina e che porta sprazzi di luce in questo grigiore, sarebbe totalmente solo. È proprio lei che appare nel momento in cui Guido capisce l’unica possibile soluzione alla confusione: accettare tutto quello che ci succede. La vita di ognuno di noi è ciò che ci circonda. Non esiste bene e male, semplicemente la vita è fatta di persone, tutte quelle che ci ruotano intorno. Ed ecco che inizia un girotondo gigante a cui prendono parte tutti i personaggi del film, nessuno escluso, al quale non potrà sottrarsi neanche il regista, come tutti gli altri personaggi. Nessuno di noi è il centro del mondo, casomai ognuno di noi ha un centro intorno al quale non può fare altro che girare.
Cercare di mettere ordine non serve a niente, anzi alimenta solo l’ansia e l’inadeguatezza. È il trionfo della Vita: né l’amore, né gli amici, né il lavoro, né la propria passione possono dare la soluzione ai problemi. Semplicemente i problemi non esistono, ce li creiamo noi. È geniale quanto sia semplice trovare la felicità e quanto sia repentino il passaggio dal subire la vita a goderne tutta la bellezza e meraviglia. Come nelle più serie analisi psicoanalitiche, il centro delle turbe mentali del personaggio principale, sono le relazioni, per le quali non prova nessun sentimento sano: sottomissione per i preti, fastidio per l’amante, senso di colpa per la moglie, paura del produttore, intolleranza per il critico cinematografico… poi d’improvviso, accogliendoli veramente nella propria esistenza riesce a fare pace con tutti, vuole bene ad ognuno di loro.

È importante fare un parallelismo tra la figura di Steiner ne La dolce vita e del critico in 8 e mezzo: entrambi simboleggiano la ragione, l’intelletto freddo che crede di poter dare una risposta a tutto. Il primo muore suicida uccidendo i figli, il secondo muore in modo figurato, in quanto Guido non lo ascolta più e sogna che muoia davvero. Per la seconda volta di fila, per giunta nei film più importanti della sua cinematografia, Fellini ci suggerisce che la ragione serve a poco o a nulla. Mai la ragione potrà dare tutte le risposte e trovare soluzione ai dubbi dell’esistenza e, soprattutto, è proprio l’obiettivo che si dà alla ragione che non ha un grosso senso. Trovare più risposte crea soltanto più domande, in un vortice di caos infinito, dal quale è impossibile uscire. Non è un caso che il delirio, in tutta la poetica felliniana, sia l’unico momento in cui l’individuo è realmente se stesso, lontano dalle regole e dal giudizio della società.

 

 

“Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com’è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire… Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l’unico modo per tentare di trovarci”.