Un giornalista è incaricato di fare un sondaggio a proposito del cambiamento.

Non potei fare a meno di accettare quell’incarico. Mai fatta un’intervista in vita mia: lo devo premettere per onestà. Compito arduo e quantomai paradossale, soprattutto per me che d’abitudine scrivevo e non parlavo e tantomeno domandavo. Il tema doveva essere “Il cambiamento”. Il mio datore di lavoro, un quotidiano di basso profilo a livello provinciale, voleva che intervistassi circa cento persone, sul suddetto tema, e redigessi e catalogassi cosa nella vita di questi ignoti soggetti fosse cambiato (o potesse cambiare) e perché. Altro non mi fu detto e altro non chiesi. Non volevo fare domande idiote mostrandomi un novello-pivello dell’intervista.

Accettato l’incarico iniziai a pormi tutta una serie di domande che riguardavano perlopiù cosa intendessi io per “cambiamento”. Per farlo in modo oggettivo non potei fare altro che partire “in modo oggettivo”: computer-google-treccani-“cambiare”:5. Diventare diverso da quello di prima, trasformarsi, passare da uno stato a un altro…

Trovata la definizione, volevo sviscerare la mia proiezione mentale di cosa potesse davvero significare tale parola. Mi rivolsi un centinaio di volte la stessa domanda “cosa significa per te cambiare?” (le prime dieci volte mi posi quella domanda poi, dalla decima, ho iniziato ad intervallarla con: “cosa diamine significa per te cambiare?”; “brutto idiota dimmi che significa cambiare”; ecc.), poi, come Siddharta, dopo innumerevoli sofferenze, umiliazioni fisiche e verbali ebbi l’illuminazione: “cambiare non significava nulla e l’imbecille che mi aveva dato quella puttanata di lavoro doveva essere condannato a dolori reumatici per il resto della vita”.

La definizione oggettiva divenne allora la pietra angolare, la chiave di volta. Faceva perfettamente scopa con la mia proiezione mentale, morale e fisica di cosa potesse davvero significare per me tale parola. Era magnifica.

Ora dovevo organizzare il lavoro e portarlo a termine.

Mi vestii da intervistatore…beh, indossai quello che avevo il giorno prima a parte le mutande (unica differenza, mi dimenticai la cinta) afferrai una penna e un block notes e alle 8:30 in punto uscii di casa.

Mi occorrevano cento persone: disponibili, educate, intelligenti, di sesso misto, di classi sociali miste e di età compresa tra i venti e i novant’anni.

Era una missione impossibile. Nemmeno Ethan Hunt (protagonisa di Mission Impossible) avrebbe trovato un luogo simile.

Mi ritrovai così, con lo sguardo inebetito e vitreo, piantato davanti al portone dal quale ero uscito un minuto prima, con la mano destra che reggeva i pantaloni e la sinistra stesa lungo il fianco che saldamente teneva gli strumenti per l’intervista.

Avevo però la soluzione sotto gli occhi: il capolinea della metro B di Roma, situato a un chilometro da casa.

Durante il tragitto che mi separava dalla meta meditai sul perché tanto astio aveva generato in me questo lavoro. La prima risposta che mi diedi fu semplicemente che mi faceva ribrezzo dover interrompere la quotidianità delle persone con domande che riguardavano una sfera strettamente personale; la seconda, più ragionata, aveva le sue fondamenta sul mio pregiudizio innato verso tutti coloro che dei fatti degli altri ne fanno un lavoro per trarne un profitto; la terza riguardava invece la sterilità di tutto questo tempo speso, il mio, per venire a conoscenza di fatti che in nessun modo, anche se riportati, avrebbero contribuito al miglioramento, anche minimo, della vita su questo pianeta; la quarta era che stavo senza cinta e che ogni due passi dovevo tirarmi su il pantalone e questa, fra tutte, era quella che stava contribuendo in modo esponenziale a farmi stare sulle palle questo lavoro.

Arrivai alla stazione in dieci minuti.

Decisi di appostarmi prima dell’uscita: avrei fermato così sia persone uscenti che mentalmente e fisicamente non erano ancora fuori dal luogo “metropolitana”, sia persone entranti che mentalmente e fisicamente si sentivano già dentro al luogo “metropolitana”.

Così iniziai.

PRIMA INTERVISTA

“Salve le posso fare una domanda?”

….

SECONDA TERZA E QUARTA INTERVISTA UGUALI ALLA PRIMA

QUINTA INTERVISTA

“Salve se non le dispiace le vorrei chiedere cosa è cambiato nella sua vita e perché?”

“Come scusi?”

“Le ho chiesto cosa è cambiato nella sua vita e perché, se anche brevemente mi può rispondere mi farebbe un grande piacere?”

“mi faccia pensare…sa, su due piedi non mi viene nulla…si ecco, ho cambiato due volte lavoro”.

“mi può dare una ragione?”

“coinvolto due volte in drammatiche riorganizzazioni aziendali. Adesso, mi scusi ma devo andare altrimenti rischio di essere coinvolta anche da una terza, arrivederci”.

SESTA, SETTIMA, OTTAVA, NONA E DECIMA INTERVISTA UGUALI ALLA PRIMA

UNDICESIMA INTERVISTA

“Salve se non le dispiace le vorrei chiedere cosa è cambiato nella sua vita e perché?”

“ahahahah…il pusher…ahahahaha”.

“Come?”

“lo spacciatore a ricoglionitoooo”.

“Grazie…”

DODICESIMA INTERVISTA

“No la ringrazio non mi interessa”.

“Ma a dire il vero neanche sa che cosa le volevo chiedere”.

“Ciao”.

“Ciao”.

TREDICESIMA INTERVISTA

“Salve, stiamo facendo un sondaggio nazionale, se non le dispiace le vorrei chiedere cosa è cambiato nella sua vita e perché?”

“Ho avuto un figlio due giorni fa”.

“E perché?”

….

QUATTORDICESIMA, QUINDICESIMA, SEDICESIMA, DICIASETTESIMA, DICIOTTESIMA, VENTESIMA, VENTUNESIMA UGUALI ALLA PRIMA

VENTIDUESIMA INTERVISTA

“Salve, stiamo facendo un sondaggio nazionale, se non le dispiace le vorrei chiedere cosa è cambiato nella sua vita e perché?”

“Salve, si è accorto di avere le mutande di fuori”.

“Ocazz… scusi, allor…Signoreeee…Signoreeee”.

VENTITREESIMA, VENTIQUATTRESIMA E VENTICINQUESIMA UGUALI ALLA PRIMA

VENTISEIESIMA

“Salve, stiamo facendo un sondaggio nazionale per conto dell’istat, se non le dispiace le vorrei chiedere cosa è cambiato nella sua vita e perché?”

“nazionale? Istat? Mi fai vedere un documento?”

….

“dove scappi tossico, delinquenteeeee, se ti ribecco te corcooooooo”.

FINE PRIMA PARTE INTERVISTE

Mi ritrovai così, dopo circa due ore, con nulla in mano.

Come avevo preventivato fare le domande non era il mio forte e ottenere delle risposte se possibile ancora meno.

Rinunciare?

Al lavoro subito, ai soldi mai. Quindi lungo la strada che mi riportava a casa buttai giù un piano operativo.

  • 1) Mettermi la cinta. 
  • Questa fu la cosa più risolutiva e appagante di tutta la giornata.
  • 2) Buttare giù una lista di cambiamenti per me ritenuti rilevanti, metterli su word e fare 100 stampe.
  • Quali potevano essere i cambiamenti più rilevanti in una vita. Mi diedi un limite di massimo dieci diverse tipologie di cambiamenti inserendo tanto cambiamenti importanti quanto cambiamenti meno; questo il modulo contenente la lista:

Questionario vuoto

 

  • 3) Decidere come sottoporre a cento anonimi soggetti tale questionario.
  •  Ero consapevole che la mia fosse una scelta masochistica, ma non poteva esserci posto migliore che quello scelto in precedenza, la metropolitana; con una piccola variazione: il modulo sarebbe stato consegnato all’interno dei vagoni.
  • 4) Raccogliere i dati.
  • La giornata di raccolta avevo deciso che sarebbe iniziata alle 10:00 in punto del giorno successivo e così fu. Entrai dopo dieci minuti di attesa presso la banchina nel primo vagone che mi si fermò davanti. In tasca un set di venti penne e sotto al braccio la cartellina contenente i moduli. Come fui dentro al vagone iniziai a distribuire il modulo ripetendo meccanicamente la seguente premessa: “buongiorno sto raccogliendo dati circa i cambiamenti che in una vita si possono verificare per la mia tesi di laurea, potete essere così gentili di compilare il modulo e riconsegnarmelo? E’ del tutto anonimo. Se non ha un penna gliela posso dare io. Grazie”.  Poi non appena ripresi i moduli e le penne uscivo dalla metro, tornavo al capolinea e ricominciavo. Questo sistema, meditato durante tutta la notte, mi assicurava un lavoro preciso e veloce. Difatti non lasciai nulla al caso, era tutto progettato, dall’orario scelto al metodo, alla frase introduttiva: l’orario, mi offriva un vagone non gremito ma nemmeno deserto, con differenziazione sufficientemente ampia degli intervistati; il metodo riusciva a gestire la moltitudine umana e la confusione (dal capolinea alla fermata subito dopo o al massimo alle due fermate successive questo non sarebbe stato in grado di riempirsi); la frase introduttiva era un capolavoro, era come chiedere la carità, “sono un povero studente aiutatemi”; tra l’altro la mia età, trentatreanni portati male, non faceva che aumentare lo stato di pena nei miei confronti. Pena che tra l’altro avrebbe disincentivato il furto della penna. Tutto ciò mi garantì in meno di sessanta minuti di ottenere 143 moduli compilati di cui 121 utilizzabili. Quello che ne è uscito è stato amio avviso molto sinistro…
  • 5) Scrivere l’articolo sui cambiamenti ed inventarmi le motivazioni. 
  • Questo l’articolo che ne uscì fuori: “nella vita può cambiare davvero tutto?”. Questa è la domanda che abbiamo deciso di porci e di porvi. Ma prima di fare ciò, per onestà intellettuale non potevamo non interrogarci nel profondo su cosa significasse davvero la parola “cambiare” e questa ci è sembrata la risposta più pertinente: ”trasformarsi, passare da uno stato a un altro, diventare diverso da quello di prima…già…diventare diversi da quelli di prima”. Fatta questa premessa abbiamo sottoposto la domanda – ”nella sua vita che cosa è cambiato e perché?”- a più di cento persone ottenendo le risposte più disparate. I nostri intervistatati si sono mostrati oltre che disponibili addirittura commossi il più delle volte nel risponderci. Non possiamo raccontarvi ogni singola intervista ma possiamo brevemente narrarvi le storie che ci stanno più a cuore che come vedremo hanno tutte un unico comun divisore. Federica L., nata e battezzata come Lorenzo L., ci ha salutato abbracciando, come forse non faceva da tempo, il nostro intervistatore, dopo quasi due ore di storie che vanno al di là della penna e di quello che potremmo raccontare. Una vita che sembra un romanzo, una storia che ha del fantastico tanto che narrarle sembra svilire tutte le sue parole e le sue emozioni. Il coraggio; come si può descrivere il coraggio? Tradire tutto quello che si ha, persino se stessi, per trovare, anzi, per scoprire poi, dopo anni, di non aver tradito nessuno ma di aver semplicemente accettato quello che si era realmente. Guardarsi intorno e capire di essere amati, esattamente, quanto e come lo fu Lorenzo. Già, il coraggio, quella forza che ognuno ha dentro di noi, che fa vincere ogni paura, che spinge uomini semplici come Abdul-Ghafaar (che ringraziamo per averci consentito di mettere il suo nome e cognome) ad affrontare un viaggio di tre giorni, su una barca che sembra un alveare, solcando un mare nero come la morte e duro come il granito. Quell’ardire di scommettere tutto, persino la propria vita per fuggire da un paese assassino. Perché in fin dei conti, per cambiare, altro non serve che il coraggio. Quel comun divisore che abbiamo riscontrato in ogni vicenda: quella di Cristiana che facendosi forza ha cancellato dieci amicizie da Facebook; quella di Alberto che esausto dei bambini del piano superiore e del loro continuo ed ininterrotto giocare per casa con gli zoccoli del Dr. Scholl ha comprato una piccola ma graziosa casa in campagna; quella di Suor A., che a seguito di un viaggio missionario in Jamaica ha lasciato la sua fede e si è sposata con Khenan; o quello di Giulia, che a seguito di un drammatico incidente tra il suo pappagallino ed il suo ventilatore a pale da soffitto, ha adottato Benito, un piccolo pitbullino di sei mesi; oppure, infine, quella di Sandro, che grazie alla dieta vegana adesso ha perso ventidue chili, pur non essendo sovrappeso. Audacia, baldanza, decisione, fermezza, spavalderia, spericolatezza: sono soltanto dei sinonimi dell’ingrediente per eccellenza del “cambiamento”. Eppure…Eppure, nessuno degl’oltre cento intervistati ha avuto il “brave” come direbbero gli inglesi, di cambiare una cosa: volete sapere cosa?Sapere cosa nessuno in vita sua ha mai cambiato? Nonostante tradimenti, figuracce, umiliazioni, sputi, atti di razzismo, testate, risse, fallimenti, frodi, ecc.? Cosa è che davvero genera la paura e la negazione più profonda al cambiamento? Quale cambiamento fa sì che ci si senta dei vigliacchi anche solo per averci pensato?Perché a dire il vero abbiamo sentito storie di ogni sorta; a volte davvero si è cambiato tutto e stravolta tutta una vita anche solo per il tradimento di un principio. Allora quale mai può essere quella cosa a cui si rimane fedeli indipendentemente da tutto? A cosa si da amore incondizionato?

Solo una cosa merita di non essere mai cambiata nella vita: LA SQUADRA DI CALCIO!

Con questa risposta terminiamo e vi salutiamo”.

 I risultati del questionario

Nel mio articolo mentii su molti punti: non le considerai però, e non le considero ancora oggi, vere e proprie bugie; in fin dei conti il risultato finale era veritiero. In basso al primo posto, il risultato della raccolta dati e, in successione,  alcuni dei modelli non utilizzabili.

 

Linette

Gianluca

Croci fuoriPusher