Il Vaticano ha rimosso il segreto bancario e sembra volere maggiore trasparenza nelle sue operazioni bancarie.

Il primo aprile ha rappresentato per il nostro Paese una data molto importante: la Santa Sede e il governo italiano hanno sottoscritto un accordo sullo scambio di informazioni fiscali e sulla trasparenza finanziaria. Cancellato quindi il segreto bancario del Vaticano. Una lotta, quella all’evasione, che attraverso questa collaborazione compie un importante passo in avanti; tale Convenzione, si legge nel comunicato stampa, “consentirà il pieno adempimento, con modalità semplificate, degli obblighi fiscali relativi alle attività finanziarie detenute presso enti che svolgono attività finanziaria nella Santa Sede da alcune persone fisiche e giuridiche fiscalmente residenti in Italia”. Un traguardo reso possibile dal clima di riforma promossa da Papa Francesco, che ha trovato il beneplacito anche ai piani alti dello stesso Vaticano data la forte volontà di una maggiore presenza nel panorama delle intese internazionali. Allo stesso tempo, però, rimane ferma l’esenzione dalle imposte per gli immobili della Santa Sede, confermando l’assetto portante del Trattato del Laterano.

Gli obiettivi che si vogliono perseguire sono sostanzialmente due: il primo, come già riportato all’inizio dell’articolo, è quello dell’introduzione di una doppia imposizione fiscale, in modo che chi investe o deposita i propri denari nella città del Vaticano debba pagare le tasse anche nel paese di residenza, cioè in Italia. L’altro passo, che deriverebbe dall’adesione dello schema dei protocolli europei del G5 (ed ecco il perché il Vaticano si è dimostrato disponibile a concludere l’accordo), sarebbe quello di garantire lo scambio automatico delle informazioni bancarie su semplice richiesta dell’Agenzia delle entrate e non più affidandosi alle difficili rogatorie a caccia di capitali italiani nascosti al fisco attraverso lo IOR. Tradotto, l’Agenzia delle Entrate italiana sarà facilitata nell’avere informazioni anche su un singolo contribuente che ha conti correnti nella Santa Sede, riducendo significativamente il manifestarsi di operazioni di riciclaggio o evasione fiscale e permettendo allo stesso tempo la scoperta di capitali detenuti all’estero con il pagamento delle imposte non versate e uno sconto sulle sanzioni. La linea perseguita è stata fortemente voluta da Padoan che, attraverso la promozione della cosiddetta “voluntary disclosure”, si è attivato per porre un freno al tanto contestato segreto bancario, sancendo collaborazioni rilevanti (tra cui, per l’appunto, quella col Vaticano) con alcune delle zone considerate come paradisi fiscali. In pratica, la norma prevede che i paesi pronti a firmare un’intesa bilaterale con l’Italia per lo scambio di informazioni prima del 2017 possano essere cancellati dalla black list, l’elenco dei “cattivi” fiscali, e possano passare nella “white list”. L’occasione è stata colta al volo e, poco prima del 2 marzo, data ultima per la firma, paesi tradizionalmente riottosi come Svizzera, Monaco e Liechtenstein si sono affrettati a firmare, con l’Italia che potrà adesso contare su un incasso netto stimato di 5 miliardi.

Senza dubbio questi trattati rappresentano un autentico toccasana per il nostro bilancio statale; per intendersi, il valore dei soli depositi accesi da contribuenti italiani presso istituti svizzeri è stimato a circa 130 miliardi dalle autorità bancarie italiane, mentre quelli del Liechtenstein sono stimati intorno ai 100 miliardi. Dati che ben ci fanno capire la portata del fenomeno ma, come giustamente sottolineato da Giovanni Pontiggia, presidente della Bcc di Alzate Brianza, “l’emersione da un punto di vista fiscale è già un ottimo risultato. Da questo a dire che i capitali torneranno in Italia, ne passa. Se uno tiene il suo denaro in una banca svizzera, a prescindere dalla regolarizzazione, non è detto intenda farlo rientrare in Italia”. Pontiggia ha qui colto il vero nocciolo della questione; esiste pur sempre la possibilità per chi possiede capitali all’estero di optare per altri paradisi fiscali, in primis Panama, una importante piazza finanziaria che tuttora si sta dimostrando riluttante a siglare una qualsivoglia collaborazione con il nostro Paese.

È quindi utopistico pensare che solamente attraverso queste manovre si possa giungere a una definitiva risoluzione del problema. I paradisi fiscali esistono e continueranno ad esistere, a prescindere dagli sforzi che si possono compiere; pertanto a Svizzera, Liechtenstein, ma anche Austria, Lussemburgo, Montecarlo, Singapore, molto semplicemente si sostituiranno altri paesi o città-stato, come Dubai, Londra, le Mauritius, la Serbia, le Seychelles, la Slovacchia, la Slovenia, la Tunisia. Allo stesso modo cambieranno le modalità con cui si assisterà agli illeciti finanziari: assisteremo sempre più di rado a coloro che oltrepasseranno la frontiera con denaro nascosto in una valigetta, mentre saranno sempre di più coloro che avranno una maggiore mobilità della propria residenza (sia di vita che fiscale).

Attenzione, non sto affermando che gli accordi bilaterali siano inutili, anzi; il mio parere è che essi possano essere un eccellente apripista per la creazione di una forte Autorità sovranazionale che possa concretamente portare a rigidi ed effettivi controlli sul denaro circolante. Una prospettiva ambiziosa (forse anche eccessivamente, ne convengo), ma che è assolutamente da ricercarsi se vogliamo combattere in maniera seria il fenomeno dell’evasione fiscale, un fenomeno che non è assolutamente pensabile combattere solamente attraverso accordi tra sole due controparti. Non ho però alcun dubbio, limitandomi ad una analisi dell’accordo tra Stato italiano e Vaticano, che tale intesa possa solo essere accolta con viva soddisfazione per lo Stato Italiano che, come già sottolineato in precedenza, vedrà aumentare il proprio gettito in maniera significativa; e per il Vaticano stesso che, per una volta, mostra al mondo intero una concreta volontà di mostrare una maggiore trasparenza – anche grazie al lavoro di Papa Bergoglio, il cui mandato si sta dimostrando senz’altro benefico per tutta l’organizzazione ecclesiastica. Tutto ciò è da considerarsi solo un punto di partenza e non di arrivo; sicuramente la strada intrapresa dal nostro Paese pare essere quella giusta, e la promozione di manovre concrete e coerenti con lo scopo che si vuole raggiungere pare un deciso segnale in questa direzione. L’importante è proseguire su questa strada e non interrompere il lavoro a metà strada, come invece sovente è accaduto; altrimenti il Paradiso per chi evade ci sarà sempre, alla faccia di chi paga regolarmente e onestamente i contributi.