Ovvero una storia di diamanti, cocaina e prostituzione.

Incontro Igor (nome di fantasia) sulla prua di una piccola barchetta-bar, in uno dei tanti moli di Amsterdam. Igor è nato in Russia, ma si è trasferito in Olanda quando aveva dodici anni. Sarà per le sue origini che, vestito solamente con una t-shirt, non trema come una foglia al vento del Nord. Lavorando come facchino in un hotel nel bel mezzo della night-life di Amsterdam (lo chiameremo De Appel) ha visto il meglio e il peggio che questa città, con tutte le sue contraddizioni, è in grado di offrire, tra droga, spaccio e prostitute. Ci stappiamo una birra belga e iniziamo a parlare.

il cARTEllo: Ciao Igor. È stato morbido l’atterraggio in Olanda?

Igor: Per niente. Sono venuto qua per via di mio padre, che è ingegnere. Lingua nuova, alfabeto nuovo, amici nuovi, una merda insomma. È stata dura, ma adesso me la godo. Per fortuna c’era la boxe.

Ti ha aiutato ad integrarti?

Beh conosci un sacco di gente, ma soprattutto ti dà molta disciplina. Ti dà struttura, capisci?

Una roba tipo “impari a colpire e ad incassare”. 

Sì, anche se a dir la verità non incassavo granché, ero bravo. Alto ma leggero, molto rapido. Avevo un gran sinistro.

Meglio non farti arrabbiare… 

Beh in questa città ti capita spesso di fare a botte. A me sempre coi turchi, vai a capire perché (ride). Una volta mi ritrovai da solo contro sette turchi e mi beccai una sigaretta spenta in un occhio.

Com’è che sei finito a fare il facchino, con tutte le opportunità della ricca Olanda?

Ero giovanissimo e volevo più soldi. Alcuni miei amici favoleggiavano di guadagni incredibili, pur essendo semplici facchini. Quindi mi sono detto: perché no?

 

Parlami del De Appel. È un posto di classe?

In realtà le camere sono abbastanza schifose, però ha quattro stelle e la posizione è incredibile. Sta tra il mercato dei fiori e Rembrandtplein, il meglio di Amsterdam. Però pagavano una miseria. 

Quindi quale era l’attività che ti rendeva più soldi?

I taxi. Non puoi capire quanto ci puoi guadagnare, se ti fai il tuo giro. Dovevo solo chiamare un tassista piuttosto che un altro, e mi beccavo dieci euro. Dovevi vedere le risse tra i tassisti per accaparrarsi i posti davanti all’albergo, indecenti. Spesso erano in là con gli anni, assurdo.

Quanto tiravi su?

Chiamavamo una media di cinquanta, sessanta taxi al giorno. 

Sono una valanga di soldi!

Già. Anche se poi dividevamo sempre tutto, tra facchini. Anche quando facevo meno soldi, era comunque interessante. Devi considerare che l’hotel è nel quartiere gay, succedevano sempre un sacco di cose assurde. Una volta mi chiama su un tipo e mi fa ‘la doccia non funziona’. Arrivo su e mi aspettava completamente nudo, puoi immaginare i dettagli (ride). Gli dissi solo: non la so aggiustare. E me ne andai. 

Ovviamente questo giochino coi Taxi era illegale.

Certo, ma tutti sapevano. Servizio di sicurezza, proprietari, chiunque. E sapevano anche del resto. 

Quale resto?

Droga. Puttane. Diamanti.

Andiamo con ordine. C’era un giro di prostitute nell’hotel?

Diciamo che se arrivava un cliente arrapato e mi chiedeva una ragazza, io gliela rimediavo. Un’ora, centocinquanta euro. Cinquanta la puttana, cinquanta il pappone e cinquanta io. E non dovevo fare altro che alzare la cornetta!

Ti chiedevano spesso di procurare prostitute?

Durante i turni di notte si. Avevo anche un paio di maschi tra i contatti, ma li richiedevano solamente i gay, le donne mai. Di solito erano piccoletti asiatici a chiederli (ride). Ma io non seguivo molto la cosa, ci pensava il mio collega italiano Alessio. Adesso ha 55 anni e ha l’AIDS.

 

Ti sei mai trovato in situazioni poco piacevoli?

Non molte volte, a dire la verità. Una volta, un inglese si rifiutò di pagare perché la ragazza era troppo brutta. Però succedevano anche cose sorprendenti: una volta una ragazza rimase col cliente un’ora e mezzo, io non mi ero accorto di niente. Mi dette i 25 euro extra di sua spontanea volontà. Ed era pure bellissima!

Facevi più soldi con la prostituzione o con la droga?

Con le puttane. Avevo più occasioni. Di solito ti chiedevano piccole dosi, soprattutto cocaina, tipo 2-3 grammi per volta. Però a volte si facevano grandi affari anche con quella. Ad esempio, qualche anno fa la Juventus venne a giocare qua ad Amsterdam contro l’Ajax…

Sì, era il 2010, una doppietta di Amauri non me la posso scordare…

Esatto. Gli ultras della Juve vennero al De Appel, e chiesero puttane e coca in gran quantità. Andai a prenderla a Zuid-Oost con un mio amico, un posto di merda. Andò tutto bene, anche se avevo un po’ di paura. Quella è gente con cui non si scherza.

Gli spacciatori?

No, gli ultras! (ride) Avevo paura che mi avessero venduto roba di merda, che finissimo nei guai. Il mio amico fortunatamente era un tossico, assaggiò lui e filò tutto per il verso giusto. Tirammo su duemila euro a testa.

Non avevi paura della polizia?

Naaa, di solito spacciavamo piccole quantità, e solo sotto richiesta. Se mantieni un profilo basso e non uccidi nessuno, ti lasciano fare. La droga qua è molto tollerata, tutta quanta.

Mai passato alcun tipo di “guaio”?

Oh sì, una sera mi spaventai a morte. Era la notte di capodanno, una ragazza alloggiava al De Appel e si era fatta veramente di brutto. La ritrovammo sul cornicione di camera sua, al settimo piano, voleva lanciarsi. Io stavo lì a urlarle: ‘Non saltare!’, mentre per strada si era radunata una certa folla che urlava: ‘Salta! Salta! Salta!’. Fu piuttosto scioccante.

Sembra uscito da un film, questo De Appel.

C’erano un sacco di personaggi assurdi. Al settimo piano viveva un signore di ottant’anni. Si era rifiutato di vendere l’appartamento quando il palazzo fu fatto diventare un hotel. Mi stava simpatico, mi dava sempre cinquanta euro a Natale. Una volta mi dissero di andare a controllare se fosse vivo, non rispondeva al telefono. Lo trovai disteso sul letto, quindi lo toccai con un bastone. Fortunatamente si svegliò, stava solo dormendo.

 

Dimmi di più sui diamanti. Come funzionava il meccanismo?

Semplice. Se qualcuno voleva un diamante (ed erano in tantissimi) chiamavi la Gassan e li informavi di avere un cliente. Quelli arrivavano dopo dieci minuti con una limousine superlusso per portare il cliente alla fabbrica. Dopo un po’ tornavano e un tipo in completo Dolce&Gabbana veniva a darti la tua parte.

Che ammontava a…?

A noi spettava il 20 percento su ogni diamante comprato.

Accidenti, è davvero tanto. Questo 20 percento immagino venisse ricaricato sul consumatore.

Non mi sorprenderebbe. Anche se fanno talmente tanti soldi coi diamanti, che si potrebbero permettere pure di buttare il 20%. Ma non saprei con esattezza, non ci sono mai entrato.

Lo faceva solo la Gassan? È una fabbrica molto famosa, non si preoccupano della loro reputazione?

Oh no, lo facevano tutti. Comunque non so, non credo gli importi niente. Alla fine puoi metterli a bilancio sotto qualche vaga voce di costo. Adesso credo che le cose siano un po’ cambiate, con Internet.

Ti sarai fatto un sacco di soldi, in questi anni. Te lo ricordi come un bel periodo?

Sì, è stato divertente. Della scuola non me ne fregava niente, ero giovane e avevo un sacco di soldi. Ma avrei potuto farne di più. Karl, un mio collega, se vedeva tre cinesi per strada con una busta della Gassan, chiamava la fabbrica per dirgli: “Vi ho appena mandato tre cinesi, spero li abbiate trattati bene!”. Così si beccava la commissione. Girava in Porsche.

Com’è che hai smesso?

La catena NH comprò l’hotel. Dissero che non eravamo facchini a 4 stelle, e ci licenziarono. Ne approfittai per andare all’università.

Torneresti a farlo di nuovo?

Droga e prostitute non credo. Ma taxi e diamanti…. easy money, no? Ho imparato un sacco di cose, è stata una bella palestra.

Meglio della boxe?

Oh sì, alla grande.