Il racconto dei racconti mette in scena un carnevale umano spaventoso e fantastico, un valzer degli addii che sembra ripetersi all'infinito.

Matteo Garrone ci porta nel mondo di tre fiabe. Una regina (un’ottima Salma Hayek) con lo sguardo perso nel vuoto osserva i giullari di corte impassibile. Non riesce a ridere, i suoi occhi vedono soltanto il turbamento del non potere avere figli. Due anziane sorelle dall’aspetto piuttosto raccapricciante riescono ad attirare le attenzioni di un re lascivo (Vincent Cassel) grazie al solo uso della voce apparentemente giovanile. Un sovrano sempliciotto, sicuro che nessun uomo sia in grado di risolvere il quesito da lui ideato, mette in palio la mano della figlia senza pensarci troppo.

 

Queste sono tre delle cinquanta fiabe presenti nella raccolta Lo cunto de li cunti del napoletano Giambattista Basile, edita intorno al 1600, da cui Matteo Garrone attinge liberamente per creare Il racconto dei racconti – il suo ottavo film – in concorso a Cannes 2015.
Il gioco è l’elemento cardine di questo film. Un gioco spensierato che si tramuta lentamente in orrore. Nella prima storia, la regina, annoiata e insoddisfatta, manda il marito (John C. Reilly) in cerca del cuore di un drago marino, che se cucinato da una vergine, renderà gravida qualsiasi donna riesca a mangiarlo. Da qui nasce tutto, un’avventura in pieno stile cavalleresco che si intinge subito di sangue e morte. Morte da cui verrà la nascita del figlio morbosamente desiderato.
Nella seconda storia, il gioco è ancor più presente. Tutta la vicenda nasce per un equivoco, che si tramuta subito in gioco delle parti. Il re, bramoso di carne e sesso, accecato dalla lussuria, inizia un tête-à-tête con due vecchie, credendole una giovane fanciulla indifesa, così timida da non volersi nemmeno mostrare in pubblico.
Nella terza storia il gioco è onnipresente. Fin dall’inizio, il re gioca con una pulce, la alleva per ammazzare la noia. Un bel giorno la pulce se ne va, e il re deve trovare qualcosa che possa allietargli le giornate; per questo decide di mettere in gioco la mano della figlia. Le sue sicurezze si sgretolano insieme alla verginità della figlia, che viene data in sposa ad un orco dai modi poco raffinati.

 

Quindi un film sul gioco, ma anche sul trasformismo, il trasformismo della carne, che spesso, come nel nostro affezionatissimo Cronenberg (autore di Maps to The Star), diventa macerazione, scorticamento necessario per diventare parte di questo mondo, per calare la maschera, che sia fatta di pelle o di cera ha poca importanza. Il gioco e il trasformismo, ma anche la bellezza, così ricercata da apparire quasi un miraggio, un incanto degno della magia di una fata. E infine l’amore, che è una costante imprescindibile della vita, sia quando è amore per un figlio come nella prima storia, sia quando è amore per se stessi, come nella storia del re narciso schiavo del desiderio, e infine, perfino quando diventa amore per una pulce, come nella terza storia.
Garrone mette in scena un carnevale umano spaventoso e fantastico, un valzer degli addii che sembra destinato a ripetersi all’infinito. La ciclicità dell’amore, della nascita, della morte, e delle aberrazioni umane, ma anche del desiderio, un desiderio incessante che ci fa desiderare sempre ciò che non abbiamo.

Matteo Garrone riesce a spazzare con un colpo di coda i due anni piuttosto miseri trascorsi dall’ultimo grande film italiano. Un colpo di coda così potente da non lasciare niente alle sue spalle. Rimane solo lo spettatore e il film, tutto il resto non conta.
Dopo aver visionato diverse pellicole in concorso a Cannes riteniamo che Il racconto dei racconti possa portare a casa l’ambita Palma d’oro che manca all’Italia dal lontano 2001. Ma l’unica certezza che abbiamo, è che da oggi Garrone potrà essere finalmente chiamato Maestro.