Parigi è la culla della cultura europea, un concentrato di arte e vita da centinaia di anni. Ma non tutto è bello come sembra. Cercare casa a Parigi è un vero e proprio inferno.

www.pap.fr è uno dei migliori siti di annunci immobiliari a Parigi. Ma trovare una casa che possa fare al caso vostro potrebbe non risultare facile, anzi, potrebbe diventare una vera e propria caccia all’appartamento.

I proprietari spesso non vogliono affittare per soggiorni brevi, né a persone senza un lavoro, o senza garanti che possano assicurare per loro.

Esistono alcuni gruppi privati su Facebook, in cui pochi eletti si scambiano annunci o cercano di affittare la propria casa, ma accedervi diventa quasi una missione impossibile se non si conosce nessun membro del gruppo. Quindi l’unico consiglio utile è armarsi di telefono e tanto coraggio – se non conoscete bene la lingua – e chiamare senza sosta tutti i numeri che trovate sulle pagine degli annunci. Ed è proprio questo quello che feci quando arrivai Parigi in cerca di un alloggio mentre cercavo di scrivere il mio romanzo.

Uscendo dall’ostello mi fermai a comprare Le Monde, imboccai la strada per il parco dove avevo conosciuto Rebecca e non appena arrivato mi misi a sedere proprio sulla stessa panchina di qualche giorno prima.

Usai i siti consigliati da Luca e segnai su un foglio diversi numeri. Quel sito era come una caccia al ladro, dovevi essere velocissimo, se l’articolo usciva alle dieci, alle dieci e qualche minuto partivano una sfilza di telefonate imbizzarrite per accaparrarsi l’appartamento. Trovare casa a Parigi era come affrontare una crociata verso il Sacro Graal; ma non mi sarei arreso davanti a quattro mura. Chiamai il primo numero.

“Pronto!”.

“Chiamo per l’appartamento accanto alla fermata della metro Arts et Métiers”.

“Per quanto tempo lo vuole?”.

“Tre mesi”.

“Minimo sei”.

“Non so se rimarrò così tanto…”.

“Mi dispiace signore, ma non affitto a nessuno per meno di sei mesi”.

“Ok, grazie lo stesso”.

Tuuuuuuu.

“Pronto!”.

“Chiamo per il monolocale in Place des Abbesses”.

“Lavoratore o studente?”.

“Fino a poco fa lavoravo, sono arrivato a Parigi da poco…”.

“Mestiere?”.

“Scrittore”.

Tuuuuuuuuu.

Pazzesco. Nella vita di tutti i giorni quando rivelavo a qualcuno la mia professione rimaneva colpito, mi tempestava di domande su come fosse la vita dello scrittore, molte ragazze andavano in brodo di giuggiole soltanto sentendo quella parola, ma qui no, qui era diverso. Quando si parla di soldi, essere uno scrittore o un artista non aiuta per niente. Zero credibilità. Ma non potevo scoraggiarmi. Continuai quel sabba di chiamate.

“Pronto”.

“Chiamo per l’appartamento in Rue de Clignancourt”.

“Per quanto tempo pensa di soggiornarvi?”.

“Tre mesi, per cominciare”.

“Ok”.

Sorrisi. Il primo tassello era stato montato.

“Lavora o studia?”

“Sono un libero professionista”.

“Che lavoro?”.

“Lo scrittore”.

“Ha un contratto o un editore che possa garantire per lei?”.

“Al momento no”.

“Genitori che possano garantire?”.

“Si figuri…”.

“Si figuri cosa?”.

“Si figuri se li chiamo”.

“Perché?”.

“Sono un uomo, ho trent’anni e ho delle banconote in tasca”.

“Non posso affittarle casa senza garanzie”.

“Ma ho diversi bigliettoni”.

“Mi dispiace signore”.

“Ma ho…”.

Tuuuuuu.

Mannaggia, mannaggia, mannaggia, mannaggia. Ero imbestialito. I miei genitori diceva. Con che faccia avrei telefonato ai miei per chiedere una stupida garanzia? Impossibile. Avevo circa quattromila euro, il mondo degli affitti non poteva dirmi di no in eterno.

Continuai il giro di telefonate. In due ore non avevo trovato nemmeno un metro quadro di casa. Dovevo pensare a una soluzione, a un discorso che avrebbe potuto impietosire chiunque, ma non mi venne in mente niente.

“Pronto”.

“Vorrei vedere l’appartamento in Rue Delambre”.

“Lavoro?”.

“Per ora nessuno, ma ho dei soldi da parte”.

“Mi dispiace signore”.

“Ma ho quattromila euro”.

“Mi dispiace”.

“Quattromila, cazzo quattromil…”.

Tuuuuuuu.

Avevo perso le speranze. Trentaquattro chiamate. Nessun segnale positivo e la mattina era corsa dritta fino all’ora di pranzo. Mi alzai.

Iniziai a passeggiare per cercare di farmi venire in mente qualche buona idea.

Camminando pensai che forse Parigi non era la città giusta per la mia rinascita. Mi sentii un insetto respinto da quel grosso insetticida luccicante. Guardavo le facce che mi sfrecciavano accanto, passavano come se niente fosse, e io le guardavo indifferente. Non conoscevo praticamente nessuno, ma i miei occhi, la mia bocca avrebbero voluto urlare una richiesta d’aiuto. Mi sentivo come l’ultimo terrestre, un superstite in un mare di solitudine.

Continuavo a vedere bambini felici dappertutto, non riuscivo più a capire se fossero figure reali o se si trattasse solo di suggestione. Risate a destra, urla di gioia a sinistra, piedi che sgambettavano da ogni parte. Parigi mi sembrò improvvisamente un enorme parco giochi pieno di bambini ridenti intorno a me, a quell’unico pagliaccio che girava per le strade in cerca di una casa.

Camminando finii davanti a Canal Saint-Martin, mi sedetti a guardare l’acqua che mi sembrò così calma, scorreva lentamente come se avesse tutto il tempo del mondo.

Chiamai un altro numero. La proprietaria si chiamava Roberta. C’era scritto che parlava anche italiano. Forse nella mia lingua avrei avuto qualche chance di strappare un sì.

“Pronto!”.

“Rebecca?”.

“Sì. Sei italiano?”.

“Sì. Di Firenze. Tu?”.

“Mezza francese e mezza italiana”.

“Stupendo”.

“Per quanto ti servirebbe la casa?”.

“Tre mesi”.

“Non posso”.

“Immaginavo. Troppo poco tempo, vero?”.

“No affatto. Troppo semmai”.

“Troppo?” chiesi incredulo.

“Sì…sai parto per il Portogallo per un mese, quindi sto cercando un inquilino che prenda la casa per un mese. Tanto per non buttar via i soldi dell’affitto. Sai, Parigi è carissima…”.

“Lo so, lo so. Quanto mi costa?”.

“Un mese settecentocinquanta bollette comprese”.

“È a Belleville, giusto?”.

“A cinquecento metri”.

“Perfetto”.

“Sei qui per lavoro o studio?”.

Eccoci, lo sapevo, era troppo bello per essere vero. Risposi sfiduciato come non mai.

“Disoccupato. Sono uno scrittore”.

“Davvero?”.

“Sì, ma sembra che gli affittuari non amino chi scrive…”.

“Io sì, adoro leggere”.

“E non ti importa se non ho un lavoro fisso?”.

“No, che importa. Se hai i soldi per l’affitto più la cauzione la casa è tua”.

La casa è tua” quelle quattro parole trapassarono i chilometri che ci distanziavano infilandosi dal mio orecchio destro e trasalendo fino al cervello in un’arrampicata istantanea.

“Per caso sei a casa?”.

“Sì. Perché?”.

“Si da il caso che sia qui in zona, potrei passare a dare un’occhiata alla casa, se ti va”.

“Ok”.

Mi diede l’indirizzo, era vicino alla fermata Colonel Fabien. Ero davvero a due passi dalla casa. Forse ero stato attratto da una forza misteriosa. Perché ero andato proprio lungo Canal Saint-Martin? Continuai a farmi di queste domande finché non mi trovai davanti alla mia futura abitazione.

Digitai il codice per aprire il portone, salendo le scale sentii salire in me delle sensazioni che non provavo da tempo: un bollore improvvisò mi fece boccheggiare scalino dopo scalino. Era l’agitazione che precede un primo appuntamento, l’impaccio del primo giorno di scuola. Finalmente tornai a sentirmi come i bambini che vedevo di giorno in giorno divertirsi spensierati, che vedevo stupirsi di continuo davanti a tutto, davanti alla vita. Era bastato così poco per farmi provare di nuovo quelle emozioni imbalsamate. Capii che il problema era stato l’aver avuto sempre tutto. Ora stavo lottando per qualcosa, anche se era solo un appartamento rimaneva pur sempre qualcosa che avevo sudato, qualcosa di incerto per cui dovevo sputare sangue.