L'amore e le sue dinamiche: cosa si cela dietro le relazioni di coppia?

Il contemporaneo decadimento occidentale ha portato a modalità d’intervento che si pongono come unico fine di salvare il salvabile. Ecco l’amore secondo la scienza.

 

Resta il fatto: non si può bloccare il cambiamento.
Il suo impatto è il prodotto inesorabile di tanti preavvisi che vengono comunemente sottovalutati.
Così le difese, claudicanti, periscono e le certezze che prima cementificavano le nostre fondamenta vengono estirpate come veleno da una ferita.
Tutto invecchia inesorabilmente e anche l’uomo fatica. Arranca, perde il passo, inciampa. Ma non si arrende.
Si aggrappa alla vita come la testa di una zecca strappata con forza e ferisce il mondo genitore, senza ucciderlo.
No, il mondo non muore, non può, è disposto a spostarsi e cambiare per sopravvivere.
Si fa teatro, e allo stesso tempo attore; simula di essere uomo tra gli uomini pur di difendere il motivo della sua esistenza.
Allora l’uomo è costretto a correre; corre, si oppone al vento contrario che lo artiglia, lo indebolisce e lo inginocchia. E corre per fruire del momento, per evitare che l’istante diventi passato prima di essere presente.

 

La corsa non è la soluzione, ma rappresenta l’unico palliativo in grado di rallentare questa quiescente distrofia temporale.
Così la morte, da falce mannaia e cessazione inevitabile, si trasforma in un’allusione che richiama alla vita ed enfatizza la frivolezza dell’esistenza orientando gli sforzi umani sul “qui ed ora”.
Allo stesso tempo funge da sorgente per la procreazione di un collante sociale (l’amore) che acceca il pensiero di mera fine con l’illusione e il ricordo.
Ecco come l’uomo pecca di presunzione e si fa Dio: dalle costole della morte crea l’amore, presentandolo come un artefatto che sta tra sé e gli oggetti al di fuori.
In particolare prendiamo in considerazione la teoria freudiana del narcisismo e la corrispondente concezione dell’amore. Esse hanno come premessa la contrapposizione ma anche l’indissolubilità tra libido dell’Io (narcisistica) e libido d’oggetto.
È nell’amore di sé che ha origine l’amore per l’altro, per essere precisi nella fascinazione per l’immagine infantile, perfetta di noi stessi. Dell’originario investimento libidico da parte dell’Io sull’Io stesso, a un certo punto, uno sguardo è ceduto agli oggetti ed ha con la prima “la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboide ha con gli pseudopodi che emette”. Il travaso libidico sugli oggetti segna la traumatica rinuncia all’originario narcisismo infantile di quando eravamo his majesty the baby, perfetti e completi, “oggetti del nostro proprio amore”.
Il passaggio di libido dall’Io agli oggetti e viceversa è un movimento che non si esaurisce con l’infanzia ma procede per tutta la durata dell’esistenza.

 

Ossia non è un movimento evolutivo, progressivo, ma logico. La condizione in cui l’Io è massimamente impoverito dal punto di vista libidico, poiché massimo è l’investimento libidico sull’oggetto, è lo stato di innamoramento. Quella che Freud, sfatando ogni concezione romantica o religiosa dell’amore, considera la sopravvalutazione sessuale dell’oggetto prescelto non può che originare dal narcisismo infantile: le preziose qualità originariamente attribuite all’Io vengono trasferite sull’oggetto d’amore, e con esse la libido. Ecco che puntualmente le teorie si intrecciano e altalenano la visione dell’amore in base all’accezione di uomo come essere individuale oppure psicosociale e gregario. L’investimento dell’oggetto avvilisce, dunque, il sentimento di sé e crea un legame, una dipendenza, una dipendenza affettiva.
“…L’innamorato è umile” perché ha rinunciato a una parte consistente del proprio narcisismo. Secondo Freud l’unico modo per recuperarlo è quello di essere amato a sua volta. L’oggetto a cui è rivolta la scelta d’amore si costituisce come oggetto ideale, ossia come quell’oggetto a cui l’Io indirizza l’amore di cui è stato oggetto nell’infanzia. Dall’insulto che è stata per l’Io la rinuncia al narcisismo infantile nasce il tentativo di riconquistarlo in una nuova forma che è quella di Ideale dell’Io: il sostituto del narcisismo perduto dell’infanzia, l’epoca in cui l’Io stesso era “il proprio ideale”.

 

È a questo oggetto scelto e idealizzato a cui il soggetto affida l’impossibile compito di ripristinare l’immagine narcisistica infantile, chiedendogli la restituzione della completezza e della bellezza originale. Il sentimento di sé, il proprio narcisismo dipenderanno dalle vicissitudini del rapporto tra il soggetto e il proprio Ideale dell’Io costituito come oggetto, con tutti gli inconvenienti del caso. L’oggetto sopravvalutato, l’oggetto d’amore, dunque, è un oggetto sul quale per definizione “cade l’ombra del soggetto”, nella forma dell’immagine idealizzata di sé. Anche nella migliore delle ipotesi la concezione freudiana dell’amore, vista dal lato del narcisismo, non prevede la possibilità di amare un oggetto che non sia almeno un po’ un riflesso dell’amore per un sé stesso idealizzato. Un “oggetto in sé”, amato “in quanto tale” in Freud non è previsto.
Ecco come gli schemi e le logiche del linguaggio permettono di dare un senso e intrappolare il significato dei nostri vissuti, tanto da restringere l’universo emotivo in un intreccio teorico in grado di mostrarci nudi e crudi.
Siamo davvero specchi smussati dalle aspettative in grado di gioire per un’immagine riflessa che alla fine non è altro che la nostra?