Rosemary's Baby è un terrificante ritratto della società americana degli anni '60. Una violenza carnale e psicologica metafora della catabasi senza ritorno della società.

Rosemary’s Baby si qualifica indubbiamente come uno dei film horror più emblematici della storia del cinema, un capolavoro tratto dall’omonimo romanzo di Ira Levin, vero e proprio successo editoriale pubblicato nel 1967. Tensione e angoscia sono sentimenti palpabili all’interno di tutta la pellicola: a spaventare non sono scene forti, terrificanti o disgustose allo sguardo, quanto la costante ambiguità tra sogno e realtà che rende incapaci di comprendere fino in fondo quale sia il confine tra verità e deliro.

 

“Nel sogno qualcuno mi violentava, ma non un uomo, un essere non umano”

“Ah ti ringrazio…Ma che ti prende?”
“Nulla”
“Dovevamo farlo assolutamente stanotte”
“Ma perché proprio stanotte…”

 

Rosemary’s Baby: la trama

Eppure l’inizio del film sembra quasi idilliaco nel presentare una giovane coppia innamorata, Guy e Rosemary Woodhouse, alla ricerca di un posto in cui cominciare la loro nuova vita insieme.
I due, infatti, trasferitisi in uno degli edifici più lussuosi di New York, il Bradford, fanno subito conoscenza con i nuovi vicini, Roman e Minnie Castevet, una coppia di anziani ficcanaso che non perde occasione per invitarli subito a cena.
Sarà proprio questo incontro a gettare le basi del cambiamento che si abbatterà implacabile sulla povera Rosemary, apparentemente vittima della sua fragile mente, in realtà oggetto di manipolazione di chi la circonda.
Eppure lo spettatore, che affronta insieme alla giovane una lenta, ma inesorabile catabasi, una vera e propria discesa negli inferi, non può non farsi cogliere, almeno momentaneamente, dal dubbio di ritrovarsi dinnanzi al frutto della debole mente della donna.
Difficile, tuttavia, restare impassibili di fronte all’invadenza dei vicini e all’incredibile colpo di fortuna grazie al quale a Guy viene finalmente affidato un ruolo importante; anche l’improvviso desiderio di paternità non riesce a essere percepito fino in fondo come un gesto naturale, soprattutto per le modalità inconsuete e primordiali con il quale si consuma l’atto sessuale.
La povera Rosemary sognava una romantica cena seguita da una notte d’amore, ma quello che le riserva il suo insaziabile marito non può fare altro che sembrare una violenza carnale, mitigata e allo stesso tempo amplificata, da un’atmosfera onirica in cui si palesa per la prima e unica volta la presenza di Satana.
La gravidanza, che fa di Rosemary una sorta di Madonna Nera, contribuisce a peggiorare il suo stato di salute mentale e fisica: colta da continui malori e crolli nervosi, nonostante le premure di Minnie e dei suoi intrugli malefici, la donna non riesce a smettere di pensare che qualcosa non vada, soprattutto in seguito alla morte dell’amico, colpevole di aver trovato un libro che racconta delle stregonerie dei Castevet.
È a questo punto che Rosemary, nel disperato intento di risalire dall’inferno in cui è finita, tenta invano la fuga: ormai è tardi il nascituro non vuole attendere oltre e viene alla luce circondato da tutti i membri di quella congrega demoniaca.
Nonostante tutti questi indizi e l’empatia nei confronti della fragile e stremata protagonista femminile, lo spettatore nutre ancora qualche dubbio: forse tutto è frutto della debole mente della povera Rosemary. Poco importa, perché non appena riprende conoscenza il signor Woodhouse le annuncia che il bambino è morto!

 

Il finale di Rosemary’s Baby

A consacrare questo magistrale capolavoro per regia, sceneggiatura e interpretazioni, un finale davvero incisivo e allo stesso tempo sconcertante: nell’appartamento dei Castevet sono tutti riuniti a celebrare la nascita del pargolo, del figlio di Satana. Questa realtà si manifesta potente di fronte agli occhi di un’incredula Rosemary, la quale letteralmente sconvolta agita il coltello che ha tra le mani ed esprime tutto il suo disgusto sputando in faccia a Guy, l’uomo che ha venduto il suo ventre e l’ha resa madre del demonio pur di ottenere la fama tanto ambita.
Ciò che lascia letteralmente senza parole, però, è l’istinto materno che sembra prevalere su tutto: se dapprima, infatti, la giovane resta allibita e spaventata dall’aspetto mostruoso del figlio, alla fine non resiste all’impulso irrefrenabile di cullarlo non appena lo sente piangere.
Un interrogativo difficilmente risolvibile che regala una conclusione degna di un film che ha fatto la storia del cinema e che non può essere qualificato come un semplice horror, quanto più come la rappresentazione della società americana della fine degli anni ’60, densa di idealismo, speranza e ingenuità tale da poter persino credere alla nascita di un Anti Cristo.
E probabilmente è proprio questa la chiave di lettura dell’accettazione della maternità di Rosemary, metafora della presa di coscienza della contaminazione di una società che ha subito una violenza ancor peggiore della sua.