Un'Odissea nella miseria e nello sconforto, un magma denso di sangue e vita.

Esistono registi prolifici, capaci di sfornare un film all’anno per decine e decine di anni consecutivi. Esistono registi meno prolifici, che si mettono dietro alla macchina da presa ogni tre, cinque, dieci anni. E poi ci sono quelli come Claudio Caligari, autore di Non Essere Cattivo, quelli che fanno un film ogni quindici anni. Registi che restano nell’ombra, si muovono nell’ombra, amanti del silenzio tombale di un’eco che risuona per anni.

Dovremmo chiederci più spesso cosa faccia di un regista un grande regista. Le risposte sono molteplici, ma si finisce sempre con lo schierarsi con una tra le due principali scuole di pensiero: utilizzo della macchina da presa e direzione degli attori. C’è chi, poi, – giustamente e furbamente – asserisce che il Grande Regista svolge entrambe le mansioni in modo eccellente, ed è a ciò che si deve la sua grandezza. Ma al giorno d’oggi parliamo noi, i giovani, i rappresentanti di una nuova evoluzione (o involuzione, chissà): non siamo più così metodici e precisi, non ci ostiniamo più a schematizzare ciò che sappiamo essere Arte. Ecco perché mi piace pensare che un Grande Regista sia innanzitutto colui che nei suoi film è visibile e perfettamente riconoscibile. In parole spicciole, è meraviglioso essere in grado di capire di chi sia un determinato film (solo guardandolo) senza averlo saputo prima. E non sono solo le nostre doti intuitive a mappare il tragitto; è il film stesso ad autodefinirsi. I film parlano una lingua chiarissima, se sono fatti bene ci dicono tutto della mente di chi li ha creati.

 

Caligari nei suoi film non è solo riconoscibile, è trasparente. Una Roma che nelle sue pellicole attraversa il tempo (anni 70, anni 90) ma che rimane sempre putrida, marcia, corrotta, tossica. Una Roma che è pur sempre casa, che nessuno potrà mai davvero abbandonare, una Roma immutabile (una sorta di antiRoma de La grande bellezza, splendore contro marciume, ma entrambe perfettamente e meravigliosamente immobili). Una Roma che accoglie e rigurgita, sputa e mastica orde di miserabili emarginati sociali, pasoliniani eroi distrutti e disfatti in partenza, perdenti sognatori e peccatori. Esseri inutili che della futilità fanno la loro più grande forza, convincendoci addirittura ad amarla, trascinandoci nel loro vorticoso miscuglio di follia, disperazione ed emozioni che nemmeno sapevamo di poter provare. Magico, questo è il potere del cinema di Caligari.

 Non essere cattivo_Claudio Cagliari

 

Dopo Amore tossico (1983), L’Odore della notte (1998) e il poco conosciuto Anni rapaci (2005) arriva nelle sale l’atteso Non essere cattivo (2015). Atteso perché acclamato a Venezia, dove si è stato presentato come opera fuori concorso.
Ostia, 1995. Un quartiere degradato, popolato da straccioni drogati, scansafatiche e mezzi malviventi. Cesare e Vittorio, ragazzacci allo sbando come tutti i loro compagni, hanno però qualcosa che li fa andare avanti: un’inossidabile amicizia. Compagni di disavventure e scorribande fin dalla tenera infanzia, i due sono ormai più fratelli che amici.
Cesare (un Luca Marinelli di eccezionale bravura) è la testa matta, quello che si mette sempre nei guai, quello che ai vizi non sa proprio dire di no. Vittorio (Alessandro Borghi, attualmente nelle sale italiane in Suburra) è un po’ più pacato; quando la situazione si mette male usa la testa e cerca di salvare il salvabile.
Le loro vite non sono tra le più invidiabili. Cesare a casa ha una mamma triste e ormai sola, e una nipotina da accudire; la povera bambina è malata di AIDS ed è prossima alla morte. Vittorio è solo. Oltre a Cesare, non ha nessuno. Fino a quando non si innamora di una ragazza semplice e con una vita tranquilla. Nel frattempo anche Cesare perde la testa per Viviana, una sbandata ingenua e sognatrice.
Mentre Vittorio decide di provare una nuova strada, all’insegna della legalità e dell’amore per la sua nuova famiglia, Cesare continua le sue scorribande imperterrito, con nuovi guai, nuovi nemici e nuove assurde idee fuori di testa. Vittorio trova lavoro in un cantiere. Il salario è minimo, ma per lui va bene così. Cesare, convinto dall’amico, tenta per un giorno di fare l’onesto lavoratore e viene introdotto da Vittorio nel cantiere. Inutile dire che Cesare si dimostrerà un cavallo (pazzo) di razza, indomabile e fedelissimo alla sua natura. Due amici, una lunga strada che improvvisamente si biforca, due stradine parallele che portano (forse) a destinazioni diverse.

 

Luca Marinelli è un autentico portento. La sua recitazione, così come i suoi occhi, è penetrante, ti entra nelle ossa e non se ne va, nemmeno se ti scrolli, nemmeno all’uscita dalla sala. Questo è quello che accade quando l’attore raggiunge un livello davvero alto di fusione con il suo personaggio. Evento bellissimo, molto raro. Senza nulla togliere all’interpretazione di Borghi, è in realtà Martinelli a far arrivare il film allo spettatore, in un modo davvero unico e speciale. Per un attimo, più di una volta, ho visto nel personaggio di Cesare, nei suoi occhi, quelli di un altro celebre teppista del cinema, il solo ed unico Alex DeLarge. Sensazione imprevista, lo ammetto.

Non essere cattivo è uno di quei film destinati ad essere ricordati nel tempo. Innanzitutto, il film è davvero valido e solido (sceneggiatura e dialoghi ottimi; regia sapiente, calibrata, attori molto bravi; il ritmo è giusto e il montaggio ben organizzato).
Inoltre – seconda ragione – rappresenterà l’Italia agli Oscar (candidatura a miglior film straniero). Terza ragione: Caligari è deceduto pochi mesi fa, in seguito ad una grave malattia. Aveva da poco terminato le riprese del film. Ragione che, sospetto, farà impennare la popolarità di Non essere cattivo e del suo regista.