Mi sento soddisfatto, forse stupito, il mio lato curioso si sente stuzzicato.

YouTube, le maggiori visualizzazioni degli utenti: gattini ed incidenti terribili. Dove sta il nesso?

 

Lo stesso big del broadcasting ci fornisce questi dati e se ne studia il motivo. Eppure non riesco a smettere di vederli, il tempo scorre, li vedo e li rivedo, così amici, parenti, tutti.

 

Questi sono solo alcuni dei grandi enigmi di YouTube, la piattaforma che ovviamente chiunque conosce e sulla quale chiunque gratuitamente può mettere i propri video. Qualcuno ha pensato pure di usare questa piattaforma per divulgare le proprie ‘opere’, il proprio talento, credendo che il mercato della creatività e dell’arte sul web fosse davvero libero e che qualche broadcast potesse davvero notarlo. In effetti c’è chi ci vive con YouTube ed il social, ma non sono certo artisti. YouTube è la prova vivente che dell’autorialità, a meno di quelle (forse) 30 persone sulla faccia della Terra che hanno davvero sviluppato un così personale e piacevole senso estetico che chiunque riconosce le immagini da loro prodotte (penso ai più popolari registi Tarantino, Martin Scorsese, Wes Anderson o ai fotografi Lachapelle e Richardson), non frega proprio più un cazzo a nessuno. Il pensiero mio è che si stia assistendo inesorabilmente alla morte dell’arte. L’unica cosa che conta è il marketing.

 

Ce lo confermano pertanto i maggiori youtuber, chiaramente un neologismo per specificare questo nascente tipo di professione, che vantano fino a 35 milioni di follower nei loro canali trattando argomentazioni di poco spessore. Pewdiepie, il più seguito youtuber di sempre, circa 35 milioni di followers, ha sviluppato la sua fortuna da milioni di euro annui filmandosi mentre gioca ai vari videogame commentandoli spesso in maniera ironica e stupida. Innegabile un forte contatto umano nei confronti dei propri followers che si appoggiano a lui come ad un amico aspettando giorno dopo giorno il nuovo video, stesso format stesse argomentazioni, ma che in qualche modo delineano una forte necessità di connessione umana e sicurezza da parte dei viewers. L’accensione del cervello o un senso critico non è richiesta per seguire il tuo amico virtuale che ti fa ridere da anni ormai con versi, gemiti ed offese ai vari personaggi dei videogame.

 

Cos’hanno in comune i gattini con gli incidenti quindi? Io credo una superficiale ripetitività che manda a farsi fottere ogni tipo di funzionalità cerebrale, minore è l’energia utilizzata per assimilare immagini tutte uguali, a parte il colore dell’auto o del gatto, percependone tuttavia un senso di umanità inconscia che per qualche istante ci fa innegabilmente sentire bene e parte di una enorme comunità leggera e svolazzante. La morte dell’arte, la morte del pensiero critico, la morte della curiosità costruttiva, la rinascita di mezzi che possono ancora portarci sulla strada giusta per un miglioramento personale e sociale.

 

È l’apoteosi di quella che si potrebbe definire “l’estetismo della superficialità”. La domanda è: ma tutto questa merda che gira sul web, è veramente così superficiale e priva di profondità? Io credo che il sistema web abbia un’equazione ben precisa: è l’unione tra il dilatarsi dello spazio e del tempo digitale, che appunto si muove in orizzontale, si espande all’infinito, con il marketing appunto. Tutte queste views, tutto questo business è chiaro che sia indotto. Tanti pensavano che internet sarebbe stato un trionfo del socialismo: se fai un video che vale ha visualizzazioni, se fai un video che non vale non ha visualizzazioni. I meccanismi sappiamo tutti quanto siano complessi.

 

Eppure, non riesco a non pensare a Cesare Zavattini, al padre del Neorealismo, il movimento cinematografico più rivoluzionario della storia, per giunta nato in Italia. Penso a lui perché il suo sogno era che ognuno avesse a portata di mano una macchina da presa per poter riprendere la realtà e così indagarla e conoscerla veramente. Oggi questo suo sogno si sarebbe pure compiuto, ma la conoscenza della realtà è così profonda? Ho già detto sopra che oggi niente è profondo. È quasi impossibile la conoscenza in questo mare di informazioni e file e fake continui, di rumori che in realtà non dicono nulla.

 

Ogni momento storico ha avuto i suoi Dick Fosbury, quel crack inconsapevole che, con l’ingenuità dei bambini, ha spazzato via l’intero passato.

 

Anni Cinquanta, l’Italia è ancora un importante fulcro della musica classica e lirica e teatro di un altro dei nostri momenti Fosbury. Renata Tebaldi: cantante lirica considerata una delle migliori al mondo, non una nota sfuggita, non un suono poco elegante, mai un tremolio ma inspiegabilmente protagonista di questa improvvisa spaccatura che il mondo le stava per riservare. Una giovane Maria Callas, da poco arrivata in Italia la sostituisce per puro caso; il pubblico rimane estasiato dall’interpretazione sporca ma piena di vita della cantante. Tutti si aspettavano dalla Tebaldi un suono perfetto, niente era una sorpresa. Maria Callas invece con la sua interpretazione sporca diede al pubblico un ignoto mai provato. Un’interpretazione così fortemente realista che colpiva gli animi, gli entrava dentro e toccava quelle corde di vissuto emozionale che tutti inevitabilmente abbiamo. Più recente ma somigliante è un altro dei nostri momenti Fosbury. Una sedicenne Kate Moss fotografata seminuda, non truccata, in un bianco e nero veloce, potente e sopratutto vero, cambia le sorti della fotografia di moda di fine anni Novanta e a seguire. Venivamo dagli anni delle grandi top model sempre sane, formose e colorite che loro malgrado divennero dinosauri in pochissimo tempo a causa dell’avvento di questo nuovo stile che porta il nome di Kate Moss. Un realismo contorto scarno quasi brutto in certi casi coinvolge il pubblico e lo riconduce dalla pulizia nell’arte nuovamente ad un potente realismo, probabilmente figlio di una sommersa necessità del pubblico.

 

Il dualismo infinito tra realismo e finzione è in assoluto la più grande lotta interna al mondo dell’arte che sia mai esistita: Annibale Carracci da una parte e Caravaggio dall’altra, poi la macchina fotografica da una parte ed il pennello surrealista, metafisico, simbolista dall’altra, quindi Lumière da una parte e Méliès dall’altra. Tutte diatribe interne all’arte, ma era proprio da questo conflitto che l’arte si alimentava e cresceva ed evolveva.

 

Oggi il conflitto è ben diverso: c’è l’intero mondo dell’arte da una parte (in cui ovviamente vi è anche il cinema) e il web dall’altra dominato da YouTube.

 

Che YouTube sia il Dick Fosbury dell’arte? Quindi: che ne sarà dell’arte?