Le ragioni delle diverse reazioni agli attentati di Parigi e Beirut. 

Gli attentati di Beirut e Parigi hanno portato molti a domandarsi se le vite di coloro morti negli attacchi dell’ISIS a Beirut il 12 novembre fossero vite di serie B, data la diversa copertura mediatica ricevuta rispetto agli attacchi di Parigi e alle vittime di questi.

 

Ovviamente le vite (e quindi le morti) hanno tutte la stessa dignità ma la lontananza geografico-culturale ed il contesto, tuttavia, possono attribuirgli un diverso peso e valore.

 

Il The Economist, analizzando il traffico relativo ai due attentati, ha misurato il divario dell’empatia a livello globale. La ricerca mostra che il problema non è stata la mancata copertura degli attacchi in Libano (5190 articoli pubblicati al 12 novembre e 15000 al 18 novembre) ma piuttosto che quanto avvenuto a Parigi ha rapidamente iniziato a generare un altissimo livello di attenzione (2.5 milioni di storie relative agli attentati di Parigi al 14 novembre), che ha inevitabilmente fatto passare in secondo piano la strage avvenuta in Libano.

 

In economia internazionale si usano i cosiddetti modelli gravitazionali per studiare le relazioni commerciali tra coppie di paesi. Sono due i fattori che influenzano maggiormente gli scambi: la prossimità tra due stati e la dimensione di questi (normalmente misurata attraverso il PIL). Nel tempo, il campo di utilizzo di tali modelli si è andato ampliando e, allo studio dei flussi di beni e capitali, si sono aggiunti lo studio dei flussi di servizi, persone e informazioni. Nell’ambito dei flussi di informazione, non sono più solo distanza geografica e distanza economica a influenzare la direzione di questi, ma anche la prossimità culturale, ovvero la lingua e l’insieme di norme e valori che caratterizzano una società.

 

Quanto sopra si riscontra nella ricerca del The Economist precedentemente menzionata: “L’unica nazione dove ‘Beirut’ è stato cercato in Google più che ‘Parigi’ è, come era prevedibile che fosse, il Libano”. E ancora “il divario (nelle ricerche tra Parigi e Beirut) aumenta allontanandosi dal Libano ed è più ampio nelle ex-colonie francesi e nei paesi che confinano con la Francia”.

 

L’altro elemento che incide sulla diversa copertura delle notizie è il contesto. A questo riguardo meritano menzione le parole dell’avvocato e giornalista Maxim Mayer-Cesiano che, in proposito alla diversa copertura mediatica ricevuta dai due attentati, scriveva sul Washington Post (articolo poi riproposto da il Post): “Beirut è a meno di un’ora di auto dalla Siria, un paese devastato da una guerra civile. Fronti che cambiano di continuo, ribelli contro il governo contro lo Stato Islamico cosiddetto. Il confine tra Siria e Libano è fragile e i siriani lo attraversano facilmente. […] Parigi, invece, è di solito una città sicura: è a più di tremila chilometri dalla guerra, e non è facile entrare liberamente nei confini dell’Unione Europea dal Medio Oriente, anche con i flussi dei profughi”.

 

Quando accadono fatti che nell’immaginario collettivo sono percepiti come “lontani” (sia geograficamente che culturalmente), è razionale e umano che il livello di attenzione sia più basso. Quando la distanza si riduce drasticamente come nel caso di Parigi questo ci riporta alla realtà come una doccia fredda. Il terrore bussa alla porta, e il lettore diventa un onnivoro consumatore di informazioni nel tentativo di capire la reale minaccia dietro a un evento inaspettato. Dunque si, non c’è niente di male ad essere più interessati a quanto avvenuto a Parigi piuttosto che in Libano e, dunque, attribuirgli più valore a suon di click.

 

Quello che tuttavia sorge spontaneo domandarsi è quale sia il tasso di cambio tra una morte occidentale e una non occidentale?

 

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