Ecco i 10 migliori album del 2015. O forse no.

L’anno è giunto al termine ed è arrivato il momento di bilanci per la scena musicale. Ecco i migliori album del 2015.

 

1 – Kendrick Lamar – To Pimp A Butterfly

Mike Lamborghini

Anche se sono di Glasgow e dovrei avere un debole per le chitarre, il mio album del 2015 è “To Pimp A Butterfly” di Kendrick Lamar. Tutto in uno, Lamar è un rapper talentuoso, un raffinato arrangiatore, un vero cantastorie e da oggi possiamo aggiungere che sia anche uno straordinario commentatore sociale e politico. Il suo nuovo album è un’odissea jazz-funk-rap dal feeling e dallo spessore incredibili: sempre socialmente profondo acquista spessore letterario, il tutto accompagnato dalla produzione e dalla musica di fantastici produttori come Dr Dre, Flying Lotus, Thundercat e uno “spot guest” d’eccellenza come George Clinton sulla traccia di apertura “Wesley’s Theory”.  Tra le altre tracce che risaltano la protest-song “Alright”, il fantastico inno sexy “These Walls” e la sensazionale “How Much A Dollar Cost”, citata da un certo Barack Obama come la sua canzone no.1 dell’anno. La copertina è una franca quanto clamorosa  e controversa dichiarazione politica: un gruppo di giovani di colore che brandiscono un’arma di fronte alla Casa Bianca. Il messaggio musicale più forte dell’anno. E di una intera generazione.

 

 

2 – Alabama Shakes – Sound & Color

 Dario Russel Bracaloni

Mi ero già sbilanciato in proposito di questo album degli Alabama Shakes, che da subito mi parve essere un vero capolavoro. Banale da dire, ma i punti fori di “Sound  & Color” sono la  qualità continua espressa dalle dodici tracce e gli arrangiamenti, perfetti, capaci di unire chitarre, organi hammond e vibrafoni in una pasta deep, trascendendo dal rock, esultando nel soul, ricordando i 60’s senza mai essere citazionisti. La classe di Brittany Howard è impareggiabile, nel secondo lavoro della band ci dà la prova di essere una vocalist all’altezza delle grandi soul-sisters del passato e di non dover temere confronti. Serie TV di culto come Mr.Robot e gli spot televisivi di un colosso come Apple hanno tributano agli Alabama Shakes una notorietà mainstream ampiamente meritata.

 

 

3 – Kamasi Washington – The Epic 

 Matteo Cantelli – Digital Love

Chi ci segue sa che solitamente parlo di musica elettronica sulla pagine di questo magazine. Ero quindi intenzionato ad inserire in classifica il capolavoro di Floating Points del quale però avevo già parlato. Non volendo però perdere l’occasione di citare altri lavori degni di nota, ho considerato le alternative valide in un 2015 che non mi ha lasciato grandi emozioni digitali, così ho scelto di inserire un disco che proprio elettronico non è: The Epic è uscito su Brainfeeder (etichetta di Flying Lotus) ed è il risultato della collaborazione di Kamazi Washington con decine di artisti diversi. Di base è musica jazz, con ricami funk,soul e un pizzico di psichedelia, il tutto rielaborato in piena chiave Brainfeeder. Impossibile sintetizzare il suono di questo album destinato a rimanere nella storia, vi consiglio semplicemente di ascoltarlo il prima possibile.

 

 

 4 – Tame Impala – Currents

 Dario Russel Bracaloni

Non tanto per l’album che è, ma per l’album che sarà. “Currents” svincola i Tame Impala dalla psichedelia e dalla ossessione del vintage, li lega alla contemporaneità – seppur dal sapore retrò – e ne afferma un sound definendone gli stilemi: produzione grassa, suggestioni in stile Prince, infatuazioni elettroniche (vedi “Let It Happen”) e melodie stilosissime. Se l’album talvolta offre il fianco alla ripetitività, rappresenta comunque un esercizio di stile assoluto e fa presagire un quarto lavoro destinato ad essere il master piece di Kevin Parker e soci. La vera domanda da porsi è se il nome Tame Impala sarà ancora quello usato dal genietto australiano o se il suo coming out come artista autonomo, benedetto da Sua Maestà Mark Ronson, segnerà la fine dell’avventura dell’impala ammaestrato.

 

 

 

5 – Beach House – Depression Cherry

 Mike Lamborghini

I Beach House sembrano non fallire mai, ancora una volta ci mettono di fronte a musica semplicemente meravigliosa della quale è  obbligatorio parlare: debitori a Kevin Shields e ai My Bloody Valentine (in particolare sul singolo “Sparks”), il duo di Baltimora trasporta lo shoegaze nel mondo dei sogni; lasciate quindi che questo disco avvolga le vostre menti e le vostre anime. “Depression Cherry” suona come le cose migliori dei Cocteau Twins, MBV, Jesus and Mary Chain e Spiritualized sciacquati nelle acque di Hope Sandoval e merita di essere suonato in repeat all’infito. Nessun altro album quest’anno può vantare la stessa potenza espressiva.

 

 

Continua a leggere a pagina 2. 

 

- commenti

Commenti

Comments

comments

Ti potrebbe anche interessare