Un apologo politico di incredibile lucidità vincitore di 10 premi Goya.

A giudicare da volti ed atmosfere potremmo quasi essere dentro un film di Nuri Bilge Ceylan; l’ambientazione e la storia rimandano invece a Le paludi della morte, seconda prova alla regia per Ami Canaan Mann, figlia del grande Michael Mann. Ma qui non siamo né nella vasta e desolata Anatolia né in Texas; è invece il profondo sud della penisola iberica, zona paludosa e rurale, a fare da sfondo a questo avvincente film del regista spagnolo Alberto Rodrìguez. La isla minima sfugge ad una precisa collocazione di genere e si candida per diventare uno dei migliori film spagnoli degli ultimi anni.

 

Spagna, 1980. In un paesino del territorio andaluso, alla foce del fiume Guadalquivir, vengono inviati due detective ad indagare sulla misteriosa scomparsa di giovani ragazze. Pedro e Juan, diversi per formazione ed approccio metodologico, dovranno scontrarsi con reticenze, omertà e traffici illeciti per riuscire a venire a capo della scabrosa vicenda. Un convincente intreccio narrativo che si snoda in quel teatro di squallore e povertà che era la provincia spagnola di quegli anni, periodo storico che registrò il problematico passaggio dalla dittatura franchista alla democrazia. La isla minima svela ben presto la duplice anima che la sorregge, dimostrandosi all’altezza tanto sul piano del pathos (grazie ad un incedere costante, sempre sul filo del rasoio) quanto su quello della ricostruzione storica, sociale e politica di una fase cruciale della nuova realtà democratica spagnola.
Il film di Alberto Rodriguez (che firma anche la sceneggiatura) si fa dunque apprezzare sia in veste di poliziesco, offrendo diverse sequenze memorabili (due su tutte: l’inseguimento in auto sotto il diluvio e la resa dei conti finale sulla Isla minima) sia come apologo politico di incredibile lucidità.

 

La isla minima uno dei migliori film spagnoli degli ultimi anni (2)

 

Come già in Le paludi della morte, e in maniera più marcata nella prima stagione dell’acclamata serie televisiva statunitense True Detective, anche in La isla minima centrale è il rapporto tra due modi di intendere la professione investigativa. Pedro e Juan hanno vissuti diversi, per certi versi opposti; Pedro viene dalla Capitale dove ad attenderlo c’è la compagna che a breve gli darà in dono una figlia, Juan invece ha un passato oscuro nelle milizie franchiste, forse macchiato col sangue.
Passato da rimuovere e futuro da costruire, morte e (ri)nascita, dittatura e democrazia, c’è tutto questo, e molto di più, nel film di Alberto Rodriguez che eleva a vero e proprio terzo protagonista il paesaggio fluviale e paludoso della remota provincia andalusa (oggetto delle suggestive riprese aeree che aprono e chiudono il film). Un paesaggio che è allo stesso tempo migliore alleato degli assassini seriali e metafora politica di una Nazione (e di un Popolo) con un rimosso storico e diversi scheletri nell’armadio, e che faticosamente ha cercato di portare i piedi fuori dalla melma paludosa di una odiosa dittatura. Ma inevitabilmente alto è il prezzo da pagare.