Walked the streets of love And they are full of fears

“And I, I, I, I, I, I, I
Walk the streets of love
And they’re full of tears

And I, I, I, I, I, I, I
Walked the streets of love
And they are full of fears”

 

 

Il suo cappello aveva fatto la differenza durante quell’uggioso pomeriggio in tram. Sobrio, ricordava
la ripresa dopo una crisi profonda, come gli anni Trenta. Lei era salita con la grazia di chi si muove
in punta di piedi per non sporcarsi le scarpe, per limitare al minimo il contatto con la terra ferma pur
tenendosi stretta al palo giallo al centro del bus e, come una ballerina, ruotava per scansare gli
ombrelli e le giacche bagnate. Nella mia bocca il succo della caramella non era mai stato tanto
saporito e la musica, oh la musica…
Adesso risuonava nella nostra stanza e lei era lì, ma sollevata come quella volta ed il pacco regalo
nelle sue mani non avrebbe sicuramente reso giustizia al suo sorriso, accennato eppure estremo.
Assurdo quanto nulla in me fosse cambiato dopo tanti anni di convivenza.
Lo scartò, delicata come la neve. Era un orologio. Un orologio svizzero.
Tra di noi io ero quello reale. No, non realista, proprio reale, il palo giallo del bus, mentre a lei
piaceva credersi inesistente. C’erano delle volte in cui spariva davvero, ed ero arrivato al punto di
pagarmi uno psicoterapeuta. Quando le chiedevo dove fosse stata, lei indicava un angolo e
rispondeva “Lì!”. Ed era così bella al suo ritorno, che anche lo psicoterapeuta più affermato della
città non seppe trovare una cura migliore.
Ma torniamo all’orologio.
Lo avevo intravisto dalla vetrina di un negozio del centro. Un piccolo negozio in cui ci trovi tutto,
un bazar dal buon odore. Ecco, stava lì, appeso e di un tondo perfetto, ciclico. Mi ero sentito spinto
verso e da quelle lancette precise, soldati inesorabili del confine, numeri e quadrante come pareti di
una teca ove avevo pensato di poterla ‘tenere’. Reale quanto me e per sempre.
Quando lo ebbe tra le mani, i suoi occhi brillarono di un brillìo accecante, un attimo che non avevo
mai visto prima e che non avrei rivisto mai più e poi si riempirono di acqua. Le sgorgava dagli
occhi, raggiungendo le labbra fini e lei beveva, come rigenerata. Si lasciò cadere tra la carta ed i
fiocchi e con l’aria di una bambina mi invitava a sdraiarmi. Mi accoccolai, imbarazzato e fermo.
Occhi negli occhi, lanciò l’orologio sul muro e lo fece in frantumi.
“Il tuo tentativo di rendermi Tua, qui ed ora, legandomi al tuo tempo per sempre, è il regalo più
bello che si possa desiderare, l’unico regalo al quale non serve biglietto… Eppure caro, io non ho
tempo e la mia natura è di per sé eterna ed infinita. Le tue lancette non possono definire il nostro
tempo, così come i tuoi occhi non possono stabilire i nostri orizzonti. Dovrai essere disposto a
perdermi, per ritrovarmi di nuovo. Dovrai rallentare al mio ritardo e correre se sarò in anticipo.
Come quel giorno sul tram, se le nostre lancette avessero segnato la stessa ora, avrei preso quello
giusto, quello che mi avrebbe portato in tempo all’audizione”.
Consumammo l’amore bellissimo sul Lago delle Lacrime, così al mattino non ebbi più paura, né
rabbia, né rancore e lasciai che se ne andasse per tutti gli angoli del suo universo, come tenendomi
per mano, come se altro non fossimo che gli angoli di una stanza vuota dove sto solo, o gli spigoli
di questo cofanetto che se lo apri, suona.