Un Pasolini a 360°.

Officina Pasolini è una mostra dedicata all’universo poetico, estetico e culturale di Pier Paolo Pasolini nel 40° anniversario della morte, avvenuta il 2 novembre 1975, promossa dalla Fondazione Cineteca di Bologna in collaborazione con l’Istituzione Bologna Musei | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e la Scuola di Lettere e Beni Culturali dell’Università di Bologna, visitabile fino al 28 marzo 2016.

 

Officina Pasolini (4)

Manifesto della mostra

Dai primi anni (Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922 e qui avviene la sua formazione intellettuale, prima al Liceo Classico Galvani e poi alla Facoltà di Lettere dell’Università) fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma e Petrolio, l’opera di Pasolini è organizzata all’interno dell’imponente Sala delle Ciminiere del MAMbo – trasfigurata per l’occasione nella navata di una cattedrale romanica richiamando così alcune scene del Decameron – dove dialogano tra loro vicende biografiche ed opere di un artista che ha abilmente travalicato i confini della letteratura, della pittura, della fotografia e del cinema.

 

Varcando la porta del salone ed entrando nell’antistanza dove comincia la retrospettiva, l’atto di nascita originale dell’artista simboleggia l’inizio di un vero e proprio viaggio all’interno della produzione pasoliniana. Questa prima sala è dedicata alla formazione di Pasolini e all’influenza sul suo gusto estetico delle lezioni del critico d’arte Roberto Longhi durante i primi ferventi anni universitari a Bologna. È in questa occasione infatti che il poeta verrà a conoscenza del realismo corporeo di Masaccio, poi trasposto nella sua prima opera cinematografica intitolata Accattone.

 

Si fa quindi il proprio ingresso nella sala dei miti, spazio maestoso decorato a guisa di navata, con sei cappelle laiche che racchiudono i simboli che hanno maggiormente influenzato l’attività artistica del maestro bolognese. C’è il Friuli e il suo dialetto dei componimenti poetici giovanili. C’è la madre, ricordata in quest’occasione attraverso poesie e frammenti di scritti originali a lei dedicati. Come disse Laura Betti in un’intervista rilasciata a Repubblica, il rapporto tra Pasolini e la madre era qualcosa di intimo, simbiotico. Non è un caso quindi che l’artista abbia scelto proprio lei come interprete per il ruolo di Maria nel toccante film Il vangelo secondo Matteo. E proprio in questa pellicola troviamo poi, trasfigurato, un altro importante mito pasoliniano: Cristo. Cristo che nel vangelo di Pasolini perde tutte le sue fattezze divine diventando più umano di un essere umano nell’interpretazione dell’attore spagnolo Enrique Irazoqui. Cristo che ritorna in una delle scene finali di Mamma Roma in cui il giovane Ettore, detenuto per furto, muore su di un letto di contenzione ed è ripreso da Pasolini in una posa simile al Cristo Morto del Mantegna. C’è poi il mito della tragedia classica e le immagini di Edipo Re proiettate sulle pareti laterali della navata. C’è la borgata, uno dei protagonisti indiscussi di tutta la produzione intellettuale dell’artista, che rivive qui al MAMbo attraverso il manoscritto originale di Ragazzi di vita ed una copia della locandina di Accattone, con un Franco Citti a mani in tasca ed espressione a fio de ‘na mignotta, fiero e sottoproletario. Ci sono infine i popoli lontani, custodi per Pasolini dei caratteri del sottoproletariato borgataro condannato all’estinzione dall’avvento del capitalismo in un’Italia in pieno boom economico. Al centro della navata dei miti, decine di manichini con addosso i costumi originali de Il Vangelo secondo Matteo e Il fiore delle mille e una notte sono immobili compagni dello spettatore e ricordano nelle loro pose dei fedeli in silente attesa di una funzione che non avrà mai inizio.

 

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Interno della mostra

 

 

La mostra continua con la sezione dedicata alle icone dove troviamo immagini di Anna Magnani, Maria Callas assieme a Pasolini sul set di Medea e la dolente sequenza dedicata a Marilyn Monroe della Rabbia. Immancabili poi Ninetto Davoli e Totò, protagonisti incredibilmente affiatati di Uccellacci e Uccellini e Cosa sono le nuvole, con un principe De Curtis non più mascalzone e pulcinella ma nelle inusitate vesti di personaggio profondo e complesso.
La ‘cripta’ alle spalle della navata è poi dedicata a Petrolio, opera incompiuta di Pasolini che, come egli stesso affermò, lo avrebbe impegnato probabilmente per il resto dei suoi giorni rappresentando così il suo testamento intellettuale, il suo Satyricon. I frammenti dell’opera sono affiancati da un altro testo molto controverso: Questo è Cefis, libro inchiesta su Eugenio Cefis, presidente dell’ENI succeduto a Enrico Mattei, sospettato di essere il mandante della morte di quest’ultimo. Pare che Pasolini abbia riportato questa versione dei fatti in un capitolo ‘scomparso’ di Petrolio di cui rimane solo il titolo – Lampi sull’Eni – e che per questo sia stato ucciso. Pasolini come personaggio scomodo quindi, dissidente e critico come il suo j’accuse ai fautori delle stragi durante gli anni di piombo apparso sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974 (del quale lo spettatore è invitato a prendere una copia):
“Io so tutti questi nomi e so questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”.


Gli spazi finali della retrospettiva ruotano attorno alla gonna dell’abito indossato da Hélène Surgère in Salò o le 120 giornate di Sodoma: tre sale-gironi che toccano con rapidità il tema della violenza, l’ossessione pasoliniana per la borghesia e il suo rifiuto per la logica anti-democratica della televisione. Tre, come tre sono i gironi del film: il girone delle manie, il girone della merda, il girone del sangue. E come a uscire dalla natural burella, il viaggio nell’universo pasolinano arriva a conclusione ma con una parentesi aperta, citando la frase finale che avrebbe dovuto pronunciare Eduardo De Filippo nel mai realizzato Porno-Teo-Kolossal («nun esiste la fine») riferimento all’onnipresenza della figura e del mito di Pasolini nella cultura di oggi e alla sua importanza per molte generazioni di artisti e registi.