Il regista giapponese Hirokazu Kore-eda ci pone di fronte ad un interrogativo a cui è forse impossibile dare risposta.

La storia che Hirokazu Kore-eda racconta in questo film presentato al Festival di Cannes 2013 (dove ha vinto il Premio della Giuria presieduta da Steven Spielberg) non spicca certo per originalità, essendo tante le pellicole che hanno affrontato il tema, sempre delicato, dello scambio di neonati alla nascita. Uno degli ultimi fu, un paio d’anni fa, Il figlio dell’altra, dove per la verità l’accento era posato su questioni principalmente politiche essendo i ragazzi scambiati uno israeliano e l’altro palestinese. Tuttavia Father and son si smarca dai suoi predecessori e, sin dal titolo (Like father, like son, il titolo internazionale), testimonia l’intento di svolgere una riflessione diversa spostando l’ago della bilancia verso il rapporto tra un padre ed il proprio figlio.
Ryota Nonomiya è un architetto di successo molto stimato dal titolare dell’azienda per cui lavora, guida una Lexus di lusso, vive in un bellissimo appartamento insieme alla moglie Midori ed al loro figlio di sei anni Keita, che il padre cresce cercando di forgiargli un carattere ambizioso, scontrandosi però con la naturale indifferenza di un bambino che, perdendo una competizione al piano (al quale viene istruito, così come nello studio delle lingue straniere), riconosce la bravura della ragazzina che lo ha battuto. Il quieto trascorrere della quotidianità viene tuttavia interrotto da una chiamata dall’ospedale (quello in cui Keita è nato) che informa i coniugi Nonomiya che loro figlio è stato scambiato alla nascita con quello di un’altra famiglia e adesso, a distanza di sei anni propongono di far conoscere le due famiglie suggerendo la possibilità di procedere allo scambio. Le due famiglie opteranno per cominciare con dei fine settimana, per concedere a loro ma soprattutto ai bambini il tempo per familiarizzare con la nuova situazione; che comunque decideranno inizialmente di non rivelare loro.
 
Hirokazu Kore-eda - Father and son_1
Il regista giapponese Hirokazu Kore-eda ci pone (per mezzo dei suoi protagonisti) di fronte ad un interrogativo a cui è forse impossibile dare risposta: chi è un figlio? Quello che ha il tuo stesso sangue o quello che per sei anni è stato cresciuto come tale? L’incontro con l’altra famiglia (definita forse troppo in opposizione all’altra, tale da sfiorare un po’ lo stereotipo nell’incontro-scontro di classe) e con il figlio di sangue costringerà i Nonomiya a prendere una decisione difficilissima. Il padre, in particolare, con evidente arroganza borghese, arriverà anche a proporre all’altra famiglia di tenere con sé entrambi i figli (per intenderci, pagando il secondo).
 
Il padre, dicevamo. È attraverso le sue scelte che la storia procede, in una direzione e nell’altra. I dubbi si sostituiranno alle certezze nel momento in cui dovrà capire cosa significhi realmente essere padre. Fino all’attimo in cui, quando sembra aver già preso la sua decisione, si ritroverà immortalato, dormiente e ignaro, in alcune foto scattate dal figlio: scoprirà così con le lacrime l’autentico legame fortificato in sei anni di affetto e amore. E nel momento più bello del film il padre, al termine della siepe che separava il loro incedere, otterrà il perdono del figlio – solo per un attimo perso – e potrà finalmente riabbracciarlo.