“Immagino che in questo momento ti sentirai un po’ come Alice che ruzzola nella tana del Bianconiglio…”Queste le parole di Morpheus poco prima di aprire i palmi delle sue mani.

“Pillola azzurra: fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio”

Impossibile non riconoscere da queste parole il film in questione: The Matrix. Leggermente più complesso può essere il constatare come la sua trama sia una proiezione eccezionalmente moderna del plurisecolare mito della caverna di Platone.

Un’umanità completamente soggiogata al dominio di intelligenze artificiali è ridotta inconsapevolmente al ruolo di una enorme fonte di energia, ad una vera e propria pila. Ciascun individuo dorme un sonno profondo da cui è praticamente impossibile svegliarsi, ed egli vive “un sogno tanto realistico da sembrare vero”. Ed è qui che Platone comincia a fare capolino.

Difatti, nella grotta platonica, uomini incatenati braccia e gambe ad una roccia sono costretti a fissare solamente il fondo della loro “prigione”. All’esterno, nascosti da un muretto, altri individui portano sulle proprie spalle delle statue rappresentanti tutte le cose esistenti al mondo, le cui ombre sono proiettate sul fondo della caverna da un fuoco che arde dietro le stesse. Come è facile intuire, queste immagini fittizie osservate dai prigionieri sono del tutto analoghe a quelle proiettate nella mente dei soggetti-pila della pellicola dei fratelli Wachowski dalla cosiddetta matrice. Una percezione del reale assolutamente fasulla ma che trova la sua forza mistificatrice nel fatto di essere l’unica realtà ritenuta possibile da ciascun soggetto.

Le analogie col mito del filosofo greco non si esauriscono qui però. Continua infatti Platone a narrare come il pensatore, del tutto analogo all’ “eletto” del film, dirigendo verso l’uscita della grotta il suo sguardo, riesce a vedere le “cose vere” di cui prima conosceva solo le ombre, assieme ai “burattinai” che le maneggiano. Ma a tale vista egli rimane inizialmente come abbagliato, confuso, incredulo e stordito. “Se egli fosse costretto a guardare la luce direttamente, non proverebbe forse un dolore agli occhi che gli farebbe distogliere lo sguardo per guardare gli oggetti che è abituato a vedere senza provare alcun dolore?”. Ed anche questa immagine può essere ben accostata al momento del risveglio del protagonista della pellicola che, completamente spaesato, si affaccia ad osservare attonito quei campi sterminati dove gli esseri umani sono “coltivati”.

L’uomo platonico poi, libero dalle catene dell’ignoranza, vuole condividere la sua scoperta del mondo reale con coloro ancora intrappolati nella caverna; li vuole liberare. Ciononostante “le persone direbbero di lui che è andato in superficie e vi è tornato senza occhi; e che sarebbe stato meglio non pensare di salire nemmeno”. E se costui tentasse di liberare qualcun altro per condurlo verso la luce, egli meriterebbe certo la morte.

I prigionieri ucciderebbero, piuttosto di permettere a qualcuno di portarli all’esterno della caverna. Lotterebbero per poter stare all’interno di essa perché è l’unico mondo che conoscono, quello dove si sentono veramente sicuri (incarnati nel film dal personaggio di Cypher).

Termino però con una riflessione tratta dall’ “Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam: “Che differenza pensate vi sia tra coloro che nella caverna di Platone contemplano le ombre e le immagini delle varie cose, senza desideri, paghi della propria condizione, e il sapiente che, uscito dalla caverna, vede le cose vere?”. Che differenza c’è realmente?