Finalmente Iggy è tornato. E lo fa alla grande, tra richiami bowiani e momenti di grande poesia Rock.

Post Pop Depression è il testamento/non testamento di Iggy Pop. Con questo disco, infatti, l’Iguana voleva dare un definitivo ultimo assaggio di sé, presentandosi come figura a metà tra un vecchio rocker in pensione e un veterano di guerra dimenticato dalla bene-amata società americana.
Ci è riuscito, e per farlo ha voluto chiedere aiuto ai tre musicisti rock più prestigiosi del momento: Homme, Helders, Fertita.
Questo disco infatti non ha niente a che fare con quelli passati (a tratti imbarazzanti) degli ultimi Stooges; anche solo guardando una delle ultime interviste di Iggy, affiancato dalla montagna umana Joshua Homme, si capisce facilmente perchè. In tutte le tracce si respira non solo professionalità e rigore, ma anche divertimento e libertà creativa, che sono state probabilmente le armi in più per tutto il lavoro.
Non è un caso che i musicisti si siano trovati in segreto nel deserto del Joshua Tree, lontano dalle pressioni di qualche ipotetica etichetta, e senza nessun comunicato ufficiale.
A quanto pare i due, Iggy e Joshua, hanno cominciato a parlare via messaggio, e Iggy, poi, ha lasciato alcuni scritti a Josh; non solo testi, ma anche poesie, ricordi di vita e riflessioni più o meno profonde.
E’ così che Homme si è immerso nella pelle squamosa di questo rettile immortale, e ha disegnato per lui riff di chitarra memorabili, linee melodiche ipnotiche, e chiari rimandi al mondo bowiano (American Valhalla ricorda China Girl), che rendono quello di Iggy il miglior prodotto rock del 2016.

 

 

Si comincia con “Break Into Your Heart”, che subito ci fa capire che non sono solo i tre musicisti ad essere essenziali. La voce di Iggy, baritonale e perfetta, ripete di voler “entrare nel tuo cuore”, quasi un propempticon ipnotico per il resto dell’album, mentre la chitarra di Josh segue obbediente le parole del frontman fino ad esplodere insieme a lui per il ritornello, che sa di Qotsa fino all’osso.
La seconda traccia è “Gardenia”, il mega-singolo che ha anticipato tutto il lavoro. Probabilmente è questa, insieme alla già citata “American Valhalla”, la traccia più bowiana dell’album. Con quella chitarra a metà tra “Let’s Dance” e “Some Weird Sin”, e quell’ipnotico ritornello con quella strana linea vocale che non dimentica, comunque, di fare l’occhiolino anche ai migliori Qotsa.
La traccia quattro, “In The Lobby”, è forse la più densa di significato; Iggy sembra qui voler parlare meno metaforicamente di sé, e sembra piuttosto voler schiudere i propri ricordi con la sua poesia, per confessare a se stesso e a tutti quelli che lo stanno ascoltando che la sua vita da rocker sporco e cattivo non è stata solo autodistruzione, ma una piena espressione della propria personalità che, ogni sera, sul palco, doveva lottare per non perdersi.
Naturalmente anche la musica si fa rispettare, con Matt Helders degli Artic Monkeys che pesta come un forsennato.
In “Sunday”, subito di seguito, Helders dà ancora il meglio di sé, creando con i tamburi un’atmosfera irripetibile che fa da perfetto sfondo allo schema-chitarre migliore di tutto l’album, con Dean Fertita e Joshua che si intrecciano in un riff che deve essere considerato come l’emblema dell’album.
“Vulture” e “German Days”, tracce che avviano la seconda metà dell’album, sono probabilmente le più sperimentali. In “Vulture” siamo quasi trasportati in un incubo psichedelico, in cui la chitarra acustica distorta e la voce quasi in filastrocca di Iggy non fanno che aumentare la tua paura di abbandono e sconfitta, alimentata anche da quegli avvoltoi neri e giganteschi che volano sulla tua testa.
“German Days” è forse, invece, la più melensa dell’album, l’unico errore di questi guerrieri che, in questo caso, hanno giocato un pò troppo con l’epicità e la ricerca poetica del testo. Fa piacere il chiaro richiamo al periodo berlinese di Iggy, ma la canzone è bruttina, c’è poco da fare.
I pochi dubbi che “German Days” ci ha fatto venire si dissolvono comunque subito, perché “Chocolate Drops”, penultima traccia dell’album, è una chicca pop, in cui la voce di Iggy e cori di Josh si mescolano alla perfezione in un unico calderone di sesso, rock e viaggi ipnotici nel deserto al suono di una misteriosa Lap Steel Guitar.
Infine, ecco “Paraguay” con il suo inizio a sole voci-blues, e dopo poco la chitarra che entra perfetta e ci accompagna fino alla fine di questo viaggio chiamato Post Pop Depression, mentre cantiamo felici insieme a Iggy “Paraguaaaaay…”, e ci immaginiamo, almeno per un secondo, di essere forti e squamosi come lui, con un amico alto e robusto come Joshua che si occupa di trasformare le nostre poesie in musica e ci riporta di diritto dove dobbiamo stare: al centro del rock.