Gli occhi sono davvero lo specchio dell'anima?

Guardati, vile belva.
Sei riuscito con destrezza ad ingannarli. Hai relegato come ostaggio quello che eri per diventar quello che volevano.
Sento i sospiri soffocati di un animale ferito che, senza saperlo, va a morire lontano: non c’è spazio per respirare dietro la tua maschera.
Se non fossi chi sono, avresti illuso anche me.
Dov’è il tuo ritratto nascosto? Dove, dimmi, dove hai relegato la tua coscienza?
Come un prigioniero infisso all’albero centrale della nave capitana, sento le grida sibilanti della morte che hai negl’occhi. Una morte incantevole che si vede e non si vede. Una morte che sta per vita, come un’ostrica indebolita, marcia e rinsecchita, che preferisce esser perla piuttosto che viva.
Tremo solo a saper che sei qui davanti, ed è difficile non immaginarti come un mostro che di tentacoli abbraccia e scatena il mare solo per diletto e magari per respirare.
Ti ricordo piccolo, nel periodo del grano, nei campi, d’orato.
Seppur passando, di me non ti accorgevi, forse perché troppo impegnato a viver senza voler vedere il cambiamento o di statura mancante per arrivarmi e principiare il turbamento.
Eppure, le stanze di casa mormoravano storie della tua presenza ancora prima della tua esistenza, e, nell’irrefutabile attesa, giocavo a immaginare come sarebbe stato prender la tua vita.
Ma oggi non sei quello che mi aspettavo. Non siamo gli stessi.
Voltato alle ombre. Immerso in un’immagine sfocata e languido nella forma.
Guardati.
Non sei niente e Non sei nulla.
Per quanto tempo hai attraversato questo sentiero pavimentato, senza soffermarti,
imperlato di paure e angosciato di non saper come rispondermi?
Per quanto tempo hai mosso gli occhi verso quei quadri?
Dipinti sospesi, inchiodati di piacere e posizionati su una linea precisa, come a illuminare la tua vita, come a elucubrare una storia che doveva esser seguita.
Ti ho visto affogare nei colori scuri dell’umanità di Brueghel, ti ho sentito lamentare negli inferi popolati di Bosch, ti ho salvato dalle impervie fantasie naturali di Rousseau.
Ogni volta, in prima linea, ti ho tutelato da medici camminanti di wagneriane sirene, minacciatrici di incendi epidemie e omicidi, ti ho trattenuto dal perderti dando modo al tuo colorito di riflettersi.
Ogni volta, che fatica, curarti da una malsana ipodermica visione per poi, con contrizione, adularti, abbellirti, sanarti per qualcuno in grado di ucciderti ma per cui avrei voluto tanto scambiarmi.
Dimmi, come posso tacere?
Io, che senza brame ti ho mostrato chi tu fossi prima degli altri, senza mai giudicarti.
E adesso che mi fissi e e ti soffermi, ho come l’impressione che ti accorgi, ma nello sguardo ferisci e mi lasci alla sorte.
Come se mi contemplassi da una vita intera, senza però saggiarmi per quello che sono,
come aria che fa sbadigliare,
come acqua che si ritira,
come se spodestato dal tuo ego
non vedessi più che, oltre il muro del vetro, si risveglia la vita:
e non sapori più nessun amore, che nell’ansia di perdersi,
ha avuto in un giorno la certezza di aversi.
E allora mi abituo ad abituarmi, mi consumo di non avere più abitudini
e non mi addolora sapere di non aver più manie,
come tu, prima, eri di lei.
Oh! Sai bene a chi riferisco le mie parole.
Lei non è una donna d’un mancato amore,
ma un canto sirenico da potervi ingannare,
un tumulto nel cielo che vi prende sprovveduto,
come acqua che che non si aspetta,
nera di malasorte che ammazza e passa oltre,
nera come la strega che si fa tana dove non c’è la luna
e fugge dal fuoco senza salutare il suo vero amore.
Sei solo frutto di una scopata di eventi,
sei un ricordo di te stesso che avanza in un ricordo,
una scultura, estrusa dal presente, che trova nel futuro una forza limitante.
Ma il tuo tempo, senza di me, rintocca forte e molto presto anche ad occhi spenti non potrai più vederti…

 

Dopo essermi visto, spensi la luce e mi allontanai dallo specchio.
E nello sgomento d’esser acciecato dal sole già alto e di dover cominciare il nuovo giorno,
mi vestii di stracci e mi ributtai nel letto,
cercando di scordare di viver la vita come un sogno dentro un sogno.