Tristan Da Cunha come non l'avete mai vista.

Questa che mi appresto a raccontare è una storia che mio nonno di Camogli era solito narrarmi quando ero bambino. Da adulto purtroppo non ho potuto avere il piacere di ascoltarla ma la sua voce e le sue parole sono rimaste impresse nei miei timpani e credo lo saranno per sempre.

 

La vicenda, che mio nonno giurava essere vera, risale al 1684 ed arrivò alle sue orecchie per vie traverse da fonti da lui mai rese note. A distanza di molti anni, quando scoprii di essere padre, mi imposi, prima di arrogarmi il diritto di raccontarla a mia volta, di dover indagare fino a che punto la storia fosse reale: venni così a conoscenza di alcuni fatti, e non mancherò di esporli, che mi fecero ritenere almeno in parte sincero il suo giuramento.

 

Mio nonno, ogni volta esordiva con voce lenta e cavernosa “era il 1684…” e quello fu il mio punto di partenza.

 

…era il 1684 e su un’isola lontana, sperduta nell’oceano atlantico, distante oltre 2.000 km da Città del Capo ed  oltre 3.000 km da Montevideo, viveva una piccola comunità di uomini e di donne. La loro sopravvivenza si basava su quel poco cibo che l’isola donava. La loro economia era il baratto. Non c’erano medici e la lingua da loro parlata era l’inglese. Le donne erano cinque in tutto, tutte di colore e con loro stavano sempre cinque uomini, anche loro di colore. Vi erano poi 23 uomini bianchi. I “negri” come venivano chiamati dagl’uomini bianchi erano vestiti di stracci, gli altri invece, erano vestiti con uniformi ufficiali della Compagnia britannica delle Indie orientali…

 

Tristan Da Cunha

La Compagnia delle Indie orientali

 

 

In genere a questo punto del racconto domandavo sempre al nonno: “Perché erano lì? Come erano giunti fin la? Chi erano quegli individui? Dove dormivano? Cosa mangiavano? Come sono le uniformi della Compagnia britannica?” e mio nonno con molta pazienza rispondeva a tutti i miei quesiti o quasi.

 

…erano marinai, avevano lasciato la terra ferma da mesi ed il vascello navigava con l’aiuto delle stelle verso una destinazione ben precisa, l’isola più remota che l’uomo avesse mai incontrato. La loro missione era quella di approdare su quell’isola sperduta nell’oceano e scaricare i “negri” con qualche bestia e con poche sementi. A capo della spedizione c’era un capacissimo quanto determinato capitano.

Il viaggio non fu facile, le avversità furono moltissime: burrasche, onde anomale, scogli, capodogli inferociti, bonacce misteriose, piovre giganti, secche, fulmini e saette. Un giorno però, il capitano e il suo equipaggio, usciti all’improvviso da una fitta coltre di nubi, avvistarono l’isola. Più che un’isola sembrava un cono di roccia che usciva dal mare: era un vulcano le cui pendici dolcemente e lentamente s’immergevano nelle acque. Il vascello però non riuscì ad avvicinarsi a terra, colò a picco a causa dei bassi fondali a poche centinaia di metri dalla riva. Tutto l’equipaggio si salvò; stessa sorte fortunata però non toccò ne alle bestie ne alle sementi. Da quel giorno 33 uomini iniziarono un difficile percorso di sopravvivenza  in quel loro  piccolo e scomodo mondo…

 

Come ho sostenuto pocanzi, il mio punto di partenza per capire fino a che punto la storia fosse vera fu quell’anno ben preciso con cui mio nonno ogni volta iniziava la sua storia: il 1684. Cercai su internet un naufragio che potesse coincidere con quella data, ma accostando le due parole, nessun risultato sembrava sovrapponibile a quanto mi era stato raccontato. Per diversi anni pensai che fosse solo una storiella e non mi degnai di raccontarla a mio figlio che intanto cresceva. Ma poi lessi su un giornale, mi pare che si trattasse del “Corriere della sera”, tale notizia: “Tristan Da Cunha: l’isola più remota del mondo cerca insegnanti”. Incuriosito da quel ”più remota del mondo” cercai l’isola su google map e indovinate dove la trovai? Ad oltre 2.000 km da Città del Capo e ad oltre 3.000 km da Montevideo.

 

Tristan Da Cunha

Tristan Da Cunha: l’isola più remota del mondo

 

 

Era l’isola di mio nonno! Non poteva essere diversamente. Mi bastò a quel punto digitare l’anno 1684 accanto al nome dell’isola su Google per ottenere una verità che mi fece piangere dalla gioia e dalla nostalgia nonché dalla sorpresa. Riporto integralmente quello che trovai su un sito che trattava l’argomento: nel 1684 “Gli anglosassoni, già presenti a Sant’Elena, tentarono per primi di stabilire un insediamento sull’isola. In quell’anno la British East India Company chiese al Governatore di Sant’Elena di mandare a Tristan il vascello The Tonkin Merhcant agli ordini del Capitano Knox. La Compagnia, mostrando la propria determinazione nel raggiungere lo scopo, pregò il Governatore perché imbarcasse anche un intelligent-man con l’incarico di diventare il governatore dell’isola per uno stipendio annuale di 30 sterline, 5 soldati per uno stipendio di 14 scellini al mese, e quattro o cinque schiavi con le loro mogli. Essi dovevano essere poi dotati di sementi, piante, e di animali come pecore e maiali. Knox partì, e il 18 giugno sbarcò con una lancia sull’isola. Mentre il capitano era là, il suo secondo e l’equipaggio si ammutinarono, abbandonandolo proditoriamente al suo destino. Di lui e del vascello non si seppe più nulla”. Certo differiva molto, tutto ciò, dalle parole di mio nonno eppure presentava tante coincidenze. Poteva davvero non essersi verificato l’ammutinamento? Potevano quegli uomini essere sopravvissuti? E come mio nonno  poteva esserne a conoscenza? Però questo mi bastò per iniziare a raccontare la storia a mio figlio che aveva da poco compiuto cinque anni.

 

…costruirono case con legno, pietra e fango e si cibarono di aragoste, pesci e uova. La fratellanza nella disgrazia durò ben poco e presto tutti si ritrovarono a pensare a se stessi. Solo alle donne fu chiesto un po’ di altruismo e loro con riluttanza, con grande dispiacere dei loro uomini, dopo mesi di rifiuto alla fine cedettero mettendosi a disposizione, ma solo per rendere salva la vita ai loro uomini…

 

Fin tanto che ero piccolo ogni volta che chiedevo a mio nonno cosa volesse significare quel “mettersi a disposizione” non ricevevo risposta. Crescendo poi smisi di chiederglielo e comunque omisi questa parte nella versione per il mio bimbo.

 

…passarono i mesi, poi gli anni. Ognuno viveva la propria singola e spaventata vita. Non c’era fiducia, non c’era gentilezza, non c’era tempo: si doveva vivere punto e basta…

…ma è quello che accadde sull’isola qualche anno dopo il 1684 che resta un mistero. Da un giorno all’altro i “negri” e le loro donne sparirono nel nulla. Il giorno seguente la loro scomparsa tutti gli abitanti dell’isola improvvisamente, come colti da uno strano morbo, persero del tutto la sensibilità: nessuno era più in grado di percepire alcunché, il tatto non esisteva e tantomeno il dolore. C’erano persone che camminavano in strada con ferite zampillanti di sangue senza che se ne accorgessero o curassero, altri che andavano a fare il bagno in mare senza rendersi conto dell’acqua ghiacciata, addirittura qualcuno aveva preso il vizio di picchiarsi da solo; smisero totalmente ogni rapporto interpersonale. La maggior parte morì in poco tempo, del resto degl’uomini non si seppe più nulla. Inizialmente furono additati i “negri” come colpevoli della sciagura e a qualche loro fattura o sortilegio. Gli diedero la caccia, li cercarono ovunque ma poi anche di questo nessuno si preoccupò più. Le spedizioni che furono fatte in seguito non trovarono più alcun segno di vita, addirittura sembrava che sull’isola nessuno ci fosse mai vissuto…

 

E questa parte del racconto era sempre quella che mi piaceva di più, il mistero mi affascinava. Crescendo trovai delle similitudini tra quanto accaduto sull’isola e quanto raccontato da Saramago nel suo libro “Cecità”: dove all’improvviso in un non precisato luogo tutti gli abitanti diventarono cechi e preda dei loro più infimi istinti; credo che il senso fosse lo stesso. Il punto però era: come tale mistero fosse giunto alle orecchie di mio nonno se nessuno dell’isola era sopravvissuto e se nessuna spedizione trovò più tracce di vita? All’epoca, anche se poco più di un moccioso, mi piaceva tanto fare quella domanda a mio nonno e lui forse aspettando proprio ciò mi rispondeva solerte.

 

…questo è quanto riportano i libri di storia piccolo mio, non il morbo intendo, poiché di questo nessuno parla, ma delle tracce di vita. La spedizione che venne dopo, lo so per certo, capitanata da un provetto capitano Olandese, sbarcò sull’isola ben oltre dieci anni dopo. E’ questo lasso di tempo che è oscuro ai più. So per certo che in realtà di spedizioni ce ne furono altre e con scopi assai terribili. Di quelle spedizioni non ci fu nulla di scritto ma per voce venne tramandata la leggenda, di cui io e forse pochi altri ne sono a conoscenza, di quel popolo malato e disperato che fu lasciato morire o peggio ancora su quell’isola. Quella che avvenne dieci anni dopo difatti fu una spedizione puramente volta ad accertare che sull’isola fossero tutti morti. Forse così non fu e difatti si aspettarono oltre 60 anni prima di una nuova spedizione e di un nuovo sbarco e posso affermare che la storia dell’isola è dal lì che inizia ad essere registrata e di quel popolo tutto venne nascosto e mai più nessuno ne parlò…eccetto me e tu lo custodirai.

 

So che la storia di mio nonno faceva acqua da tutte le parti, termine in tale contesto quanto mai azzeccato, e che oltre le date il resto poteva essere totalmente frutto di fantasia ma era la sua storia e mi stava bene. Figuratevi però la sorpresa quando venni a sapere dell’esistenza dell’isola e soprattutto che praticamente tutto coincideva: dalla spedizione del 1684 a quella quanto mai misteriosa del 1696 e infine quella a distanza di oltre sessant’anni del 1760 dalla quale con cadenza inaspettata iniziarono una serie di spedizioni che diedero vita ad una comunità d’individui che fecero la storia di quell’isola. Dei dubbi difatti su ciò che realmente accadde sul quel cerchio di terra ancora mi rimangono.

 

Come mio nonno avesse appreso questa storia però è in realtà una storia nella storia e merita anche questa di essere raccontata. Era il 1892, trecento anni dopo le vicende del capitano Knox, e a bordo del brigantino “Italia”, nel bel mezzo dell’Atlantico, divampò un incendio; un incendio in mare in genere è un evento tragico che in pochi possono sperare di raccontare ma un incendio in mare su una nave che trasporta carbone è un evento che di speranze non ne lascia alcuna. Per sei giorni il capitano Rolando Perasso di Chiavari, sfidando la malasorte, tenne a galla la nave infuocata in mezzo all’atlantico con un’unica speranza: raggiungere quel puntino denominato Tristan Da Cunha segnato sulle sue carte nautiche. Dopo sei giorni di preghiere la nave per miracolo giunse sull’isola e lì si inabissò, ma tutto l’equipaggio fu tratto in salvo dagli abitanti dell’isola.

 

All’epoca l’isola contava 50 abitanti. Immaginatevi la gioia reciproca: da una parte sedici poveri naufraghi che per giorni si erano rassegnati alla morte, dall’altra, la piccola comunità che all’improvviso si ritrovò a salvare e ad ospitare tante persone quante forse non ne avevano mai viste tutte insieme.

 

Dopo il naufragio del brigantino Italia dell’ottobre del 1892 i membri dell’equipaggio aspettarono ben tre mesi prima che qualcuno li venisse a prendere per riportarli sulla terra ferma. Quando il 21 gennaio del 93’ la Wilde Rose si presentò al porto dell’isola presso la città di Edimburgh soltanto quattrodici dei sedici marinai ripresero rotta verso casa: due di loro, Gaetano Lavarello e Andrea Repetto restarono sull’isola nonostante i ripetuti e perentori inviti ad imbarcarsi.

 

Il giorno della partenza oltre a tutta la comunità isolana, sulla banchina c’era una ragazza, la cui bellezza anche le sirene avrebbero invidiato, sul cui volto scendevano lacrime che ingrossavano le onde: si chiamava Mary Green e si era innamorata follemente di Agostino Lavarello. Agostino, amico e compagno di avventure di quei due caparbi e ostinati marinai che avevano deciso follemente di restare, dalla Wilde Rose, mentre vedeva l’amata allontanarsi su quel mare di lacrime, promise a se stesso di tornare quanto prima perché il suo cuore apparteneva a quell’isola e a quella ragazza.

 

Le lacrime Agostino le portò fino  a Camogli. Giunto finalmente a casa poté riabbracciare l’unico motivo che lo aveva fatto realmente andare via: la sua anziana madre Maria Lavarello. Il dolore che si portava dentro però era incolmabile e l’invidia per gli amici rimasti forse più dolorosa. A differenza sua, loro, sull’isola erano rimasti e non per amore dell’isola di Tristan bensì per due ragazze dalle quali non si separarono più. Notizie da Mary Green Agostino non ne ebbe più e pian piano il suo cuore si rassegnò. Ma i sentimenti che lo fecero andare via da Tristan furono opposti a quelli che non lo fecero più tornare: l‘amore e l’odio; l’amore di Agostino per l’anziana madre e l’odio di questa donna verso quella Mary Green che mai si stancò di scrivere lettere ad Agostino che però lui mai ricevette: il postino aveva difatti l’ordine perentorio, si venne poi a sapere, di consegnare la posta solo all’anziana signora e lei, insensibile ed egoista, bruciava tutte quelle lettere che avevano come mittente la sirena Mary Green.

 

Una vicenda d’amore al pari di Romeo e Giulietta che vide come protagonisti un marinaio, la sua amata, l’anziana e perfida madre ed un postino: e mio nonno?

 

Non posso dirlo con certezza ma pare che mio nonno, all’epoca appena dodicenne, fosse sempre in compagnia di uno scapestrato ragazzino a detta di chi, rimasto aggrappato alla memoria, racconta che fosse proprio il figlio del postino di Camogli. Che il postino avesse letto di nascosto qualche lettera prima di consegnarla? Che mio nonno avesse appreso chissà quale storia dal suo amico che a sua volta l’aveva sentita raccontare da suo padre? Che l’insensibilità di quella donna, resa cieca dall’egoismo fosse la base di quel racconto di mio nonno? Nessuno me lo spiegherà mai, ma certo è, che l’uomo è a tal punto egoista, all’occorrenza, da non rendersi nemmeno conto del male che fa a se e agl’altri…

 

Andrea Repetto ebbe dal suo amore sette figli e morì sull’isola nel 1911. Gaetano Lavarello ebbe sei figli e morì nel 1952.

 

Oggi sull’isola vivono circa 290 abitanti e due degli 8 cognomi presenti nella popolazione locale sono di origine ligure (Lavarello e Repetto, originari di Camogli), gli altri sono inglesi (Swain e Patterson), statunitensi (Hagan e Rogers), inoltre c’è un cognome scozzese (Glass) e uno olandese (Green).

 

Tristan Da Cunha

Agostino Lavarello e Andrea Repetto

 

 

Agostino, simbolo del rimpianto, morì a Genova nel gennaio del 1932 e senza le sue memorie, oggi ignoreremmo la storia del brigantino Italia, del naufragio e dei suoi marinai”.