Il volto magico di una terra antica ci svela le origini delle nostre più intime incertezze.

Mi trovavo davanti ad una libreria illuminata dal sole romano di un pomeriggio di ottobre, quando i miei occhi furono catturati dalla copertina di quel libro dal titolo originale: Accabadora di Michela Murgia. Le mie origini sicule mi aiutarono approssimativamente a decifrare il sardo e a capire che quel titolo aveva un significato piuttosto particolare, così quel libro adesso è sul comodino di casa e non mi lascia più.

 

Accabadora è, molto semplicemente, la storia di Maria Listru, che da bambina viene adottata da un’anziana sarta, Bonaria Urrai. Molto semplicemente, dicevo.

 

Volendo dare a questa storia la giusta interpretazione, necessaria per riconoscerle l’importanza che meritatamente ha, la nostra trama deve essere arricchita.

 

Maria Listru è la figlia di una madre che ama più accarezzare le proprie tasche che le testoline delle sue quattro figlie. Bonaria Urrai è un’anziana donna ricca, vedova di un marito che non l’ha mai sposata. Di professione fa la sarta, nel tempo libero è un’accabadora. La vicenda si svolge in un tempo non specificamente definito, che potrebbe ricondursi alla prima metà del ‘900 ed è ambientata in un paesino, Soreni. Questo squarcio di terra inserito nel paradisiaco paesaggio sardo, fa da palcoscenico ad un variegatissimo cast di protagonisti di una vita scandita da tradizioni, credenze, culti pagano-popolari e pettegolezzi. Così accanto alla figura della sarta-accabadora si inserisce quella dell’attittadora, che ai funerali degli sconosciuti piange lacrime prezzolate. Con lo stesso stupore scopriamo le fatture realizzate dai contadini a danno di altri contadini per maledire il raccolto o spostare i confini del terreno; udiamo il chiacchiericcio della gente di paese raccolta sull’uscio di casa al crepuscolo e sentiamo i loro sguardi pesanti posarsi su di noi, che insieme a Maria e Tzia Bonaria passeggiamo per le strade.

 

Maria trascorre le sue giornate nell’enorme casa di Tzia Bonaria, la aiuta nel suo lavoro di sarta, fa i compiti, va a scuola e gioca con il suo amichetto del cuore, Andrìa Bastiu. È una vita normalissima la sua, ma Maria ha due madri: una che l’ha generata e una che poi l’ha comprata, ridandole la vita. Maria è una “fillus de anima”, figlia dell’anima, cioè. E per questo vive una vita familiare doppia, deve districarsi tra due diversi modelli di madre e deve abituarsi ad essere l’unico centro di pensieri di una sola donna, dopo aver trascorso anni ad essere considerata semplicemente l’ultima dei figli. Come sua figlia dell’anima Maria ha dei doveri verso Bonaria Urrai ma sono di quei doveri che non necessitano di domande, ma di sole risposte fattuali. La bambina cresce e diventa donna senza mai chiedere cosa si nasconda dietro tutto quel chiacchiericcio di paese, senza mai sapere perché Tzia Bonaria la notte scompare. Maria cresce ignara di tutto quello che in realtà è davanti ai suoi occhi. Quando la verità viene a galla, la ragazza emerge dalla staticità che l’ha caratterizzata per tutte quelle pagine e finalmente agisce: fugge. Inizia una nuova vita a Torino, prende coscienza di sé e, come ogni giovane donna, commette degli errori. La sua vita sembra essere rientrata nella normalità fin quando una lettera la riporta indietro nel tempo. È una di quelle lettere che sa di ricordo, di rimpianto e di pentimento: è la lettera che la riporterà nella sua terra e la priverà di ogni nuova certezza acquisita.

 

Accabadora (1)

 

Ma qual è la verità che terrorizza Maria? La risposta è nel titolo del libro: ACCABADORA. Questo termine ha una certa assonanza col verbo siciliano “Accapare, cioè finire. L’accabadora, dunque, è colei che finisce, colei che pone fine a qualcosa. Dalla lettura del libro non è difficile immaginare a cosa vada a porre fine di notte Tzia Bonaria, con il capo coperto da uno scialle nero.

 

Accabadora è questo: la storia di un macabro segreto, inserito nelle fitte maglie delle credenze popolari che si trovano a scontrarsi con la realtà di un mondo che cambia. Tradizione, morte, amor patrio, famiglia, adozione, adolescenza, istruzione, rapporto madre-figlia, crescita ed eutanasia. Sono tutte queste le tematiche che passano sotto la lente di ingrandimento della gente di Soreni. La Murgia ci regala una prospettiva nuova e originale e lo fa con una maestria tale che il lettore si sente coinvolto in questo processo di giustizia popolare fatta di magie e malocchi, di frasi lasciate a metà e sguardi più eloquenti di chissà quanti discorsi. I dettagli descrittivi, i giochi di parole, gli ossimori e le perifrasi magistralmente costruite, rendono questo libro di 167 pagine un’opera incredibile, magica e travolgente; uno di quei libri che non si finisce mai di leggere, che dà spunti di riflessione in ogni sua pagina. Un’opera che tratta tematiche attuali, soffiando su queste un alito di moderna antichità che riporta indietro nel tempo per poi catapultarci nell’antica modernità delle conclusioni cui oggi si è giunti su temi come l’eutanasia e l’adozione, ecco cosa è Accabadora.

 

L’intera narrazione è strutturata secondo un climax geografico-spaziale affascinante e al contempo impercettibile. Si passa dalla casa di Bonaria, in cui una bambina ritrova la propria individualità, alla grandezza del paese di Soreni, la cui riscoperta si accompagna alla crescita di Maria adolescente, per poi giungere alla enorme vastità della città di Torino in cui la fill’e anima diventa donna. Questo climax ascendente rende plasticamente il complesso meccanismo che si innesta in ogni essere umano posto ad agire in determinati e condizionanti luoghi. Le opinioni di Maria e la sua percezione delle cose cambiano col cambiare dei luoghi e delle età. Il suo moto intraprendente che la porterà via da Soreni sembra essere più adatto ai luoghi torinesi, ma ad un certo punto la scrittrice insinua il dubbio: il ritorno a casa di Maria è anche un ritorno alle tradizioni? La fill’e anima di Bonaria Urrai ha raccolto tutta la sua eredità materiale e spirituale o ha mantenuto salve le sue convinzioni?

 

La risposta è rimessa al lettore, alla connaturata voglia di ciascuno di restare ancorato alle proprie origini o di saltare nel vuoto.

 

Al lettore che voglia pienamente cogliere il significato di questo libro è sconsigliata la ricerca “wikipediana” dei termini sardi inseriti nell’opera così come è consigliato placare la continua e spasmodica voglia di risposte. Lasciate che il libro parli da sé e avrete la risposta ad ogni domanda, anche a quelle che non vi siete posti. Accabadora è uno di quei libri dai mille volti, non decifrabile immediatamente ma vi promette sorrisi e riscoperte. Lasciatelo fare.