Un misto di musica, movimento, parola e recitazione.

MDLSX è ordigno sonoro, inno lisergico e solitario alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria.

 

È bello avere il tempo di riflettere su ciò che si sperimenta, valutarne gli effetti, capire se ciò che si percepisce sul momento corrisponde a ciò che poi si valuta più tardi, a mente fredda. Ci sono cose che, più di altre, hanno bisogno di tempo per essere assimilate, digerite, valutate con razionalità. Oggi provo a parlarvi di una cosa così.

 

 

MDLSX è uno spettacolo dei Motus, con Silvia Calderoni e la regia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Uno spettacolo che è passato dal Teatro Era all’inizio di marzo, riuscendo a fare sold out per due sere consecutive.

 

In MDLSX c’è Kaspar Hauser, ci sono i testi di Judith Butler, A Cyborg Manifesto di Donna Haraway, il Manifesto Contra-sexual di Paul B. Preciado e c’è Middlesex di Eugenides a fare da filo conduttore di quella che è un mix tra una performance, uno spettacolo teatrale e un dj set. La colonna sonora è bellissima dall’inizio alla fine, senza neanche un pezzo fuori posto.
Silvia Calderoni è bravissima, è come una dea, che si muove e danza e canta e cambia musica e cambia vestito. Per tutto il tempo in cui siamo seduti di fronte a lei in quella stanza buia ci tiene appesi al filo di una narrazione che è tremendamente vera, finta, inquietante, ironica, divertente, straziante e tutto questo allo stesso tempo.

 

Il suo corpo si agita in una confessione, tra proiezioni, balli scatenati, primi piani chiusissimi, cambiamenti improvvisi e repentini, letture e non far mai capire se ciò che stiamo vedendo sia finzione o realtà.

 

MDLSX non si può raccontare, non si può rispondere alla domanda «Allora, com’era?» perché è qualcosa che ti si infila nello stomaco, ti si sbatte in piena faccia.
MDLSX può sembrare una provocazione, qualcosa che vi viene proposto per sfidare la vostra inibizione, i vostri tabù. Ma non è così, non si tratta di mera trasgressione, è il risultato di studi approfonditi, di raccolte pensate accuratamente, è il racconto di chi ha lottato e ha dovuto ribellarsi per poter ambire – forse senza mai riuscirci – a qualcosa di così normale come il poter accettare di dover vivere nel proprio corpo, un corpo che non obbedisce ai canoni.
MDLSX è una domanda continua, una ricerca di senso e di identità. Chi sono io oltre a ciò che il mio corpo vi dice? Chi sono io oltre al modo in cui sono stata cresciuta? Chi sono io oltre al sessismo della lingua e delle tradizioni? Chi sono io se le reazioni e lo sviluppo del mio corpo non corrispondono a ciò che vi aspettate?

 

Durante il tempo in cui sono stata seduta a guardare e ascoltare con un nodo alla gola che quasi non mi faceva respirare, milioni di domande sono passate anche nella mia testa. Mi sono chiesta chi siamo, quanto siamo ingiusti nei confronti di chi non rientra nelle unità di misura con le quali analizziamo il mondo e le persone, quale valore hanno queste unità, quanto sono effettivamente valide e utili. Perché spesso usiamo le parole senza dargli il giusto valore, o almeno senza pensare all’effetto che queste possono avere per gli altri. Non pensiamo ad esempio che parole come uomo o donna, che fanno parte della quotidianità e ci sembrano così efficaci e esaustive, in realtà non basteranno mai a descrivere l’incredibile varietà dei mondi che ognuno di noi ha in sé.

 

Abbiamo bisogno, tutti quanti, di metterci nei panni degli altri. Per questo io credo che fareste bene ad andare a vedere MDLSX.

 

Il cambiamento necessario è talmente profondo che si dice sia impossibile, talmente profondo che si dice sia inimmaginabile. Ma l’impossibile arriverà e l’inimmaginabile è inevitabile. (Manifesto Animalista, Paul B. Preciado)