"Everybody must get stoned!".

L’esistenza di Bob Dylan non è stata ancora accertata del tutto e fluttua tra il mito e leggenda. Alcuni si chiedono, come si faceva con l’aedo greco Omero e i suoi poemi, se Bob sia stato una sola persona, oppure se siano state più personalità ad avvicendarsi nella creazione di quell’infinita Opera Summa chiamata “discografia di Bob Dylan”, in cui country, folk, americana, anti-folk, rock’n’roll, blues e psichedelia si mescolano per formare una delle storie musicali più intriganti di tutti i tempi.  

 
 
Anche il film I’m Not There pone la stessa domanda attraverso i vari super-attori che si avvicendano per rappresentare al meglio le mirabolanti avventure di Bob: prima menestrello disperso tra i carri merci americani, poi introverso cantante di protesta, infine star paparazzata e strafatta, persa tra il lieto mondo della poesia e l’avida realtà del successo. E’ proprio in quest’ultima fase che possiamo collocare Blonde On Blonde, settimo album di Zimmerman che in questi giorni compie 50 anni e da tutti considerato il disco capolavoro del Dylan post-folk, nonché cardine massimo della trilogia elettrica, iniziata con il concerto-rivoluzione di Newport del ’65 (cito ancora I’m Not There, in cui c’è una memorabile scena di Dylan/Cate Blanchett che spara sul pubblico con spietati mitra simboleggianti le odiate chitarre elettriche) e poi fissata su disco con Bringing it All Back Home e Higway 61 Revisited
 
 

 
La prima cosa da dire è che, a differenza di Highway 61 Revisited, registrato in sei giorni, Blonde On Blonde ebbe un grande periodo di gestazione, dalla fine del 65 al marzo 66, in cui Bob accumulò moltissimo materiale di cui non riusciva ad essere soddisfatto, forse perché Dylan stesso sentiva il bisogno di concludere un ciclo a cui mancava solo il perfetto passo finale, o forse perché l’alchimia tra lui e alcuni membri del suo gruppo (gli Hawks, futuri The Band) stava affievolendosi. 
 
 
Di certo c’è che il risultato è strabiliante.
 
 
Blonde On Blonde è un album di bellezza unica riconosciuta persino dai critici, con i quali il nostro ha avuto sempre un rapporto conflittuale. Forse la traccia più suggestiva, nonché simbolo dell’intero lavoro, è la conclusiva Sad-Eyed Lady Of The Lowlands, dedicata alla moglie Sara, è l’unica (o quasi) traccia scritta e registrata di getto dell’album: il testo, psichedelico e misterioso, si intreccia perfettamente con l’interminabile giro di accordi che perdura in tutta la strofa, e il ritornello, che si apre suggestivo ed epico, ti fa quasi toccare il volto di questa giovane creatura pura ed immensamente malinconica, che viene dalla terra sconosciuta dei profeti.
 
 
 
© static.independent.co.uk

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Della stessa pasta sono fatte I Want You, Just Like A Woman e Fourth Time Around che, insieme alla definitiva Visions Of Johanna, rappresentano le perle più luccicanti del disco; non solo perché qui Dylan sembra aver scavato ancora più a fondo nella sua storia di musicista folk, ma anche perché il blues e il rock’n’roll che attraversano tutto l’album, qui diventano meno tradizionali rispetto a quanto lo siano in pezzi come Pledging My Time e Leopard-Skin Pill-Box Heat. Il collante è quel folk acrilico che solo il signor Zimmerman sapeva creare grazie a quel nuovo modo di interpretare e scrivere i testi: sempre meno storie compiute, sempre più viaggi interstellari oltre i confini del mondo, tra desiderio amoroso e tristezza dirompente eppure immensamente carica di speranza. 
Come non citare le avveniristiche Rainy Day Woman #12 & 35 e Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again, che nei loro fiumi di parole e accordi spostano l’asticella verso l’estetica sconclusionata del punk.
 
 
Un casino totale? Sì, non ci nascondiamo, Blonde On Blonde è un casino totale, ma è un casino di perfezione. Fu proprio il signor Zimmerman, d’altronde, che nelle note di Bringing It All Back Home (del 1965) scrisse: “Io accetto il caos, ma non sono sicuro che lui accetti me”, praticamente una profezia. Meno di un anno dopo il caos lo avrebbe non solo accettato, ma anche consacrato per l’ennesima volta come una delle più importanti personalità artistiche della modernità.