Felici & Corrotti.

A fronte dei 65mila articoli relativi alla corruzione comparsi tra le news online negli ultimi dieci mesi e delle oltre 3mila indagini aperte dalle Procure sparse per la penisola, le nostre patrie galere ospitano poco meno di una ventina di carcerati condannati in via definitiva per corruzione. Tale profonda discrasia trova le sue origini nelle contraddizioni del nostro sistema penale, nelle scappatoie legali che premiano gli imputati eccellenti e la criminalità dei colletti bianchi, nei tardivi confusi ed ottusi progetti di riforma, nella trasformazione della politica in lobby d’affari.

Chi viene trovato con le mani sporche di marmellata, continua a rimpinzarsi rimanendo commensale abituale del suo banchetto esclusivo come se nulla fosse mai accaduto. Ciò ha generato un’inevitabile interpretazione di convenienza della corruzione, condivisa tanto dalle classi dirigenti quanto da segmenti di popolazione appartenenti ai più variegati strati sociali.

Nel mondo globale dominato dai mercati finanziari ha sicuramente trovato terreno fertile: la potenza della moneta sonante accompagnata dalla morfologia utilitaristica assunta dalla società odierna, hanno favorito e alimentato le pratiche corruttive, tanto da renderle la prassi nei rapporti finanziari e di potere.

Il resto dell’Occidente d’altra parte non si è dimostrato immune ai tentacoli strangolatori del fenomeno corruttivo. Senza scomodare le tangenti al partito di Blair, i particolari rapporti tra Schroder e la Gazprom e i guai giudiziari di Chirac, basta leggere le cronache più recenti, che dalla Siemens al Banco Espirito Santo, dal DieselGate della Volkswagen al terremoto nei vertici FIFA, ci hanno regalato scandali epocali di dimensione internazionale.

 

Gli italiani lo fanno meglio.

Ma per il malaffare vige lo stesso principio che vale per la pizza, il caffè, il patrimonio artistico e la pasta: italians do it betterNel belpaese la corruzione ha seguito il principio delle valanghe, una volta partita è diventata inarrestabile.

La classifica annuale di Transparency Agency International, anche quest’anno ci ha relegato esotici ed affascinanti Paesi come Lesotho e Oman, distanti non poco dalla civilissima Namibia.

Oggi le classifiche delle ONG, duemila anni fa era Giugurta re di Numidia, nel De Bello Iugurtino di Sallustio ad affermare: “Roma, venderesti te stessa se solo trovassi un compratore.”

Dal celebre “A Roma tutto si può comprare” delle Satire di Giovenale, alle parole infuocate di Machiavelli che parlava di popolo sovrano ridotto a plebe corrotta e connivente, fino al caustico “La corruzione comincia con un piatto di pasta” di Montanelli, si può agevolmente tracciare una sottile linea rossa che partendo dalle ruberie dei proconsoli e dei Cesari e passando dallo scandalo di Giolitti e della Banca Romana, ci conduce dritta ai giorni nostri. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, ça va sans dire.

Le riflessioni sull’esistenza di una corruzione endemica alla nostra società e su una presunta legge antropologica che dimostri una predisposizione genetica a tale fenomeno, tanto quanto le suddette classifiche basate sulla “corruzione percepita”, hanno minor fortuna mediatica e spaventano meno degli studi e delle stime sul costo economico diretto della corruzione reale. Premessa la difficoltà di misurare un fenomeno illegale per sua natura di ardua quantificazione, le stime più a la page, parlano del 4% del Pil, l’equivalente di 60 miliardi di euro l’anno. Considerato che l’enorme debito pubblico italiano ammonta a circa 2.058 miliardi di euro, con un calcolo tanto grossolano quanto utopistico si afferma che 34 anni immuni da corruzione sarebbero sufficienti per cancellare la pesante zavorra.

la corruzione

 

Adeguarsi al declino morale.

Tali calcoli, tuttavia non comprovati da analisi econometriche e ricerche scientifiche, trovano supporto “morale” nell’infinita costellazione dei fatti di cronaca relativi a corruzione e malaffare, che vanta tra le sue stelle neonate e luminose il Mose, l’Expo, Mafia Capitale e il petrolio in Basilicata.

Appare però semplicistico utilizzare la moltiplicazione esponenziale dei casi di corruzione politica per far assurgere la – seppur modesta – classe politica attuale ad unico capro espiatorio del malcostume dilagante.

Il disprezzo della legalità e la disinvoltura nell’infrangere qualsivoglia regola naturalmente ha svolto una superlativa funzione pedagogica nella diffusione dell’illegalità in qualsiasi strato della società, ma il corpo sociale, piuttosto che creare degli anticorpi e delle soluzioni tese ad estirpare questa malapianta, si è adagiato in questa marea di corruzione. Corrompendo, venendo corrotto, o tacitamente approvando.

L’idea diffusa che la raccomandazione valga più del merito, le giuste conoscenze più dell’impegno, la prostituzione sociale più della competenza, è ormai una componente strutturale di un’opinione pubblica adagiata e disillusa.

A vent’anni da Tangentopoli, la mazzetta, conosciuta anche come tangente o mancia (a Roma “bustarella”), rappresenta ancora uno dei capisaldi della nostra democrazia. A fronte di una possibilità quasi nulla di incorrere in un procedimento penale e in una condanna detentiva per reati finanziari la necessità di saper stare al mondo e la prevaricazione degli egoismi individuali a discapito dell’interesse generale quasi impongono l’adesione a tale modello distorto. La mazzetta presenta poi un innegabile fascino, per chi la dà e per chi la riceve. Il primo elimina il rischio, azzera la concorrenza, assicura la rendita. Il secondo ingrassa il portafogli, fa valere la sua influenza, rimarca il suo potere. Tutto coperto da una coltre di sostanziale impunità.

la corruzione

 

Le conseguenze dell’irresistibile mazzetta.

Tale sistema distorce i mercati, creando un’economia predatoria e parassitaria che produce una selezione alla rovescia delle imprese, dove tanto l’efficienza quanto la produttività sono subalterne rispetto all’appartenenza ad un centro di potere o alla solidità dei propri legami interpersonali. In questo ambiente intriso di malaffare si muove disinvolto il mediocre – il nostro eroe moderno senz’arte ma con tanta (o tanti, dalla sua) parte – che aggira la competizione e gode di corsie preferenziali negli appalti, negli accessi al credito, nelle consulenze e nei più svariati falsi incarichi.

Mediocre e nemmeno tanto lungimirante. Non comprende che questa tassa occulta comporta l’arresto della mobilità sociale, l’aumento delle tasse per coprire gli sprechi e si ripercuote inevitabilmente anche sulla qualità delle grandi infrastrutture.

Non deve poi stupire la ritrosia dei tycoon esteri ad investire in Italia. Quale folle rischierebbe il suo capitale in un paese a doppia tassazione, l’una legale e l’altra occulta? Quale capitano di ventura traghetterebbe i suoi affari in un oceano di corruzione e sistemi clientelari radicati e barricati su se stessi?

Questa tragedia all’italiana umilia quotidianamente il merito e calpesta sogni e ambizioni delle nuove generazioni. E trova i punti più alti di drammaticità nell’influenza dei flussi migratori in uscita e nel fenomeno della fuga dei cervelli, che neppur cosi lentamente, sta mangiando il nostro futuro.

Dalla combinazione tra i dati sui flussi migratori e quelli sull’indice di corruzione è dimostrato che i paesi con bassi livelli di corruzione beneficiano di flussi netti in entrata di lavoratori qualificati stranieri, mentre quelli altamente corrotti registrano flussi netti in uscita. Tale fenomeno da un lato provoca il collasso del sistema istruzione italiano, che vede pregiudicate le risorse investite nella formazione di cittadini che decidono poi di trasferirsi in un altro paese, dall’altro genera un deficit di capitale umano qualificato, con inevitabili ripercussioni sui livelli produttivi e sulle condizioni economiche.

 

Il figliol prodigo.

Quest’impietoso ritratto non offre spunti che alimentino l’idea di un deciso e repentino cambiamento. Il sogno italiano sembra consumarsi con la mazzetta, e le prospettive di rilancio e d’inversione di rotta sono ridotte al lumicino. A flebili lucciole a intermittenza nel buio sommerso dell’illegalità e del malaffare.

Risulta estremamente arduo farsi illusioni sulla moralità dei politici e ancora più arduo farsene sulla nostra. Il marcio della politica è il marcio della società, una società la nostra storicamente più impegnata a sollazzarsi nell’euforia dei primi bagni estivi che ad adempiere agli spiacevoli doveri civici da cabina elettorale. Salvo poi chiedere condoni stravaganti, appalti truccati, pensioni finte, permessi indebiti, indulti e scudi fiscali.

Come ogni tragedia che si rispetti ed in sintonia con la nostra tradizione romano- cattolica, anche quella della corruzione conosce la sua personalissima parabola del figliol prodigo. E’ la storia di Marcos Beanavent, potente dirigente pubblico autodefinitosi drogato di dinero, che folgorato sulla via di Damasco, si è trasformato in un hippy denuncia-corrotti. Con un orologio registratore ha incastrato centinaia di politici, e ora in tenuta da santone – barba e capelli lunghissimi, orecchini, tatuaggi e anelli – vaga per i Tribunali della Spagna a denunciare le malefatte degli impostores.

Riuscirà a convertire la società? Difficile. Tra stagione estiva, minacce di terrorismo ed Europei di calcio c’è da restar tranquilli. Anzi, felici e corrotti.