Le crisi di ansia e gli attacchi di panico sono tra i nemici maggiori della nostra generazione. Ma impariamo a conoscerli meglio.

Non è semplice definire un attacco di panico

Le sole parole di cui è composto evidenziano la presenza di un pericolo che incombe nell’immediatezza, un’entità con un sapore angoscioso, aspecifico, che neutralizza la ragione e rende debole qualunque forma di aiuto e spiegazione.

I vocaboli attacco e panico, scelti per descrivere questo particolare disturbo dell’affettività, hanno una risonanza retorica che rimanda a una situazione estrema, circostanza di cui l’uomo è soggetto e oggetto al tempo stesso.

Oggetto di un pericolo imminente la cui causa sembra ignota ma presente e inevitabile, in grado di palesarsi sotto forma di forti sintomatologie psico-fisiche.

 

Per definire l’attacco di panico è necessario chiarire la sua dimensione e specificare la sua appartenenza situata tra i domini delle manifestazioni psicosomatiche delle emozioni e delle valutazioni cognitive che categorizzano le varie sensazioni e percezioni.

Il primo dominio è quello delle emozioni, denotate come reazioni ad insorgenza improvvisa e di variabile intensità provocate da condizioni ambientali.

L’etimologia della parola emozione stessa, riconducibile al latino emovère (ex + movere), letteralmente portare fuori, smuovere, in senso più lato scuotere, agitare, evidenzia la natura turbolenta dell’esperienza psicofisica sconvolgente.

Ma parlare delle emozioni solo come reazioni che si manifestano con pattern comportamentali osservabili non è esaustivo; sì, perché le emozioni constano di un secondo dominio di natura cognitiva, mediato da molti aspetti come la cultura, l’educazione, la socializzazione, ecc… in particolare valutativa (Appraisal) che giudica lo stimolo cui siamo sottoposti ed attiva una manifestazione complementare (Arousal).

 

Ma come si passa da Emozione ad Attacco di Panico?

La strada che collega questi poli percorre i campi dell’affettività, o clima emozionale.

L’affettività può essere considerata la condizione o la capacità soggettiva variabile, che permette all’individuo di provare emozioni-sentimenti in condizioni ambientali e relazionali, mutevoli per significato. Ma affinché la valenza degli affetti sia riconosciuta come normale e sana è necessario che rispetti il principio di congruenza con lo stimolo causale.

 

Cosa significa?

 

L’emozione può essere spiacevole, può trasformarsi in un sentimento di penosa aspettativa e allarme di fronte a un pericolo reale o potenziale, immediato o imminente, può anche essere associata a sintomi fisici di iperattività neurovegetativa e a un comportamento di evitamento, tuttavia rientra sempre nei parametri di normalità.

Il suo nome muta in Ansia ma rimane pur sempre una normale emozione di difesa che ogni essere umano sperimenta in situazioni che rappresentano un pericolo oggettivo purché tenga conto di tre requisiti fondamentali:

  1. Comprensibile reattività: la reazione è adeguata allo stimolo ansiogeno;
  2. Transitorietà: la reazione termina alla sospensione dello stimolo ansiogeno;
  3. Funzione adattativa: mette a disposizione dell’individuo, una volta percepito l’allarme, le risposte psicologiche, somatiche, e comportamentali funzionali al superamento dell’ostacolo.

 

 Perciò è importante capire che l’Ansia è un’emozione normale, composta dall’ aspettativa di un pericolo potenziale, non sempre riconoscibile, ma che scorge sempre una via di fuga.

Data la terminologia sempre più specializzata e specifica per descrivere i fenomeni sottesi e conseguenti a questo fenomeno, la semantica tende a risentire degli studi interculturali che partoriscono neologismi con significati non sempre complementari.

 

In particolare la diatriba tra Arousal e Grado di Attivazione ha suscitato l’interesse degli studiosi Yerks e Dodson, i quali sono stati in grado di ipotizzare che un grado medio di attivazione è correlato con un alto incremento della performance.

 

Crisi di ansia 1

 

Questo riflette che l’ansia non è sinonimo di patologia.

Addirittura secondo le visioni della psicologia Umanistica-Positiva, il cui principio fondante risiede nella demitizzazione della salute come assenza di malattia, nell’ansia si trova l’energia di attivazione che incrementa l’attenzione e ha una forte influenza sulla formazione e calcificazione delle risorse personali, risolute dopo i conflitti e challenge quotidiani.

Perciò l’Ansia Normale, potenzialmente supportata dal costrutto dell’Intelligenza Emotiva, nei momenti di sfida esistenziale per l’uomo, è prodromica del potenziamento cognitivo e della promozione di un contagio emotivo relazionale, funzionale all’adattamento.

Ma Se l’Ansia non rispetta gli spunti sopracitati e presenta le seguenti caratteristiche di:

  1. Incomprensibile reattività: l’intensità e la durata della reazione d’ansia sono inappropriate allo stimolo;
  2. Polarizzazione dell’attenzione sulla preoccupazione per sé stessi: lo stimolo ansiogeno è percepito come minaccia alla propria integrità;
  3. Compromissione della performance del soggetto: anziché ottimizzare le risorse, ne determina un blocco paralizzante, allora l’emozione si trasforma in disadattiva e poi assume i tratti di patologia.

l’emozione patologica è l’esito di un disequilibrio tra più istanze che negoziano l’armonia e mirano a incanalare l’energia al fine di promuovere la coscienza, mediatrice di processi di volontà e intenzione.

Secondo la Teoria dei tre cervelli di Paul MacLean esistono tre istanze del nostro cervello, separate ma finalizzate a operare in modo olistico per regolare i processi umani:

 

Il cervello rettiliano, il più antico, è la sede degli istinti primari, delle funzioni corporee autonome, del territorio, della conquista e della difesa, dei comportamenti che riguardano l’accoppiamento, la risposta attacco-fuga, ed anche quelli che avvengono in un gruppo e che formano le gerarchie sociali (l’area in verde).

Il sistema limbico (mammifero) è l’evoluzione della parte rettiliana che rappresenta un progresso del sistema nervoso, aumentando le capacità di affrontare l’ambiente. Parti di esso sono correlate al nutrimento, altre ai sentimenti e alle emozioni, altre ancora collegano i messaggi esterni con quelli endogeni. Essendo la sede delle emozioni è quella parte di cervello che ci permette anche di prenderci cura; non a caso i mammiferi sono gli unici animali che si prendono cura della prole, che si proteggono nel branco con la vicinanza ecc. Questo cervello può essere considerato la nostra parte più calda, quella parte che si emoziona di fronte alle cose, la nostra parte bambina, IL CUORE. Con questo cervello si è sviluppato il senso di attaccamento (teoria che è alla base della psicoterapia moderna), che permette la sopravvivenza anche fisica degli esseri viventi attraverso il legame affettivo-emotivo e la coesione sociale (l’area rossa).

La neocorteccia (più recente) è quella parte del cervello che è sede del linguaggio, e di quei comportamenti basati sul problem solving che ci permettono di affrontare situazioni nuove e di prevedere il futuro: le funzioni cognitive e razionali; crea le connessioni tra i fenomeni che ci accadono determinandone delle cause in funzione delle conoscenze soggettive; quest’istanza può esser considerata come la nostra parte adulta, quella che dovrebbe comprendere e filtrare gli altri due cervelli per decidere.  Riassumendo racchiude tutte le funzioni cognitive e razionali (l’area blu).

 

Crisi di ansia 2

 

A causa delle nostre esperienze passate, spesso i tre cervelli non sono in equilibrio; talvolta si assiste ad una specie di colpo di stato da parte di uno dei tre, che tende a soffocare gli altri. Una sorta di ipertrofia di una funzione (sentimento, pensiero, azione) che inibisce i sottosistemi limitrofi degli altri due cervelli e determina un dissesto nel sistema.

Questo disequilibrio sconvolge il normale processo stimolo-risposta, ed è un antecedente focale degli attacchi di panico.

 

Ma cos’è di preciso un attacco di panico?

L’attacco di panico è una crisi improvvisa, di difficile previsione, che consiste in uno stato di intensa Paura.

L’attacco di panico raggiunge il suo picco nel giro di circa 10 minuti, arco temporale durante il quale il soggetto sperimenta almeno 4 dei 13 seguenti sintomi elencati nel DSM-IV-TR e DSM V:

palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, sensazione di asfissia, dolore al petto, nausea, sensazione di instabilità e sbandamento, derealizzazione, depersonalizzazione, sensazione di perdere il controllo, parestesie, brividi o vampate di calore (nel caso in cui si sperimentino un numero minore di 4 sintomi su 13 si parla di Attacchi di Panico Paucisintomatici, non meno importanti dal punto di vista clinico ma che si riferiscono con preponderanza a vertigini isolate, sentimenti di irrealtà o difficoltà respiratoria).

Va precisato che a chiunque, in una situazione di pericolo, può capitare di provare panico e che un singolo attacco di panico non è sufficiente per fare una diagnosi di Disturbo di Panico.

 

Per quest’ultimo è necessario che si soddisfino i seguenti criteri:

  1. presenza di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti (un solo attacco non è dunque sufficiente), dei quali almeno uno seguito da un mese (o più) di preoccupazione persistente di avere altri attacchi e/o di preoccupazione relativa alle implicazioni o alle conseguenze dell’attacco (ad esempio, perdere il controllo, avere un infarto cardiaco, impazzire), e seguiti da una significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi di panico.
  2. presenza o assenza di Agorafobia (il disturbo di panico può infatti presentarsi anche in assenza dei timori agorafobici descritti nella sezione precedente).
  3. gli attacchi di panico non devono essere causati dagli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per esempio, da abuso di una droga) o di una condizione medica generale (ad esempio, ipertiroidismo).
  4. gli attacchi di panico non devono essere meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come ad esempio la Fobia Sociale.

 

Mi sembra giusto soffermarmi su più particolari possibili per cercare di acclarare le incomprensioni e le mistificazioni dietro questi fenomeni; soprattutto per evidenziare le specificità dei veri disturbi rispetto a situazioni isolate Normali che tendono a essere sovrastimate e diventare oggetto di speculazioni sia da parte delle vittime colpite che da parte di terapeuti mangia guadagni.

 

Un importante fattore che incide su questo fenomeno è che la nosologia psichiatrica che categorizza, nel rispetto della nomotetica, tutti i sintomi delle malattie per riconoscere un fenomeno rispetto a un altro, manca di esaustività in questi casi.

Purtroppo, gli attacchi di panico hanno una conformazione particolare che supera le similitudini specie-specifiche e si presenta ad ogni individuo in modo diverso.

La capacità di intervenire risulta perciò difficile in quanto la diagnosi del disturbo stesso è difficoltosa, e spesso viene ostacolata e ritardata dall’aspecificità di sintomi osservabili che determinano assidui controlli medici generali, risultanti solitamente negativi.

Le inferenze statistiche dicono che quasi un 70% dei casi che vengono ospedalizzati come potenziali infarti sono in realtà forti attacchi di panico.

 

C’è chi si percepisce distaccato dal corpo, chi improvvisamente viene colpito da nausea al contatto con gli altri, chi avverte gli stessi sintomi di una crisi ipoglicemica… eppure, malgrado le diversità, tutti i pazienti sono accomunati da un elemento: la paura dei propri sintomi fisici e l’impossibilità di trovare una spiegazione valida al fenomeno.

 

 

Crisi di ansia

 

 

Questa impossibilità di reagire inibisce completamente le risorse di gestione situazionale e comporta l’evoluzione di manifestazioni psicosomatiche, che si sommano ai normali sintomi, fino a un picco di grave intensità, che lascia il corpo spossato anche al termine della crisi.

Ma il problema fondamentale che trasforma l’Attacco di Panico in un Disturbo da Attacchi di Panico è quella transitoria tranquillità post-attacco che lascia il posto repentinamente all’ansia anticipatoria.

 

Le persone con Disturbo di Panico vedono la propria esistenza pesantemente condizionata dall’ansia anticipatoria, relativa alla comparsa di nuovi attacchi, così mettono in atto evitamenti e comportamenti protettivi per fronteggiare la propria condizione. Spesso la persona reagisce mettendo in atto una serie di strategie (ad esempio, aumentando di proposito il ritmo della respirazione) o cercando di agire sulla prevenzione (ad esempio, evitando certi luoghi o facendosi sempre accompagnare da un familiare). Queste manovre, tecnicamente conosciute con i nomi di evitamenti e comportamenti di sicurezza, non di rado peggiorano la situazione favorendo l’inasprimento delle sensazioni del panico e un deterioramento globale della qualità della vita del soggetto: l’iperventilazione, ad esempio, può aggravare le sensazioni di vertigine e disorientamento, mentre la dipendenza da figure protettive, o la rinuncia ad importanti opportunità lavorative a causa degli evitamenti, possono incidere negativamente sull’umore e sull’autostima della persona.

 

Le cause?

Non è possibile indicare un’unica causa del disturbo di panico. Esistono, tuttavia, numerosi studi scientifici secondo cui uno specifico determinante psicologico renderebbe vulnerabili al disturbo. Tale fattore (che può a sua volta derivare da esperienze di vita sensibilizzanti e da una predisposizione biologica) è noto in letteratura con il nome di anxiety sensitivity e consiste in una speciale attitudine psicologica a considerare pericolosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali dell’attivazione neurovegetativa. A causa di tale sensibilità individuale, la comparsa (spesso del tutto occasionale e fisiologica) dell’ansia e dei suoi correlati psico-fisici è interpretata dal soggetto come grave minaccia incombente producendo un naturale incremento dell’ansia stessa e l’innesco di un circolo vizioso fatto di sensazioni legate all’attivazione neurovegetativa e interpretazioni catastrofiche delle stesse. Circolo vizioso che, in breve tempo, può esitare nel panico. Al ripetersi degli episodi di panico, la sensibilità all’ansia si rafforzerà rendendo sempre più probabile l’innesco del circolo vizioso sopra descritto e, con esso, la comparsa di nuovi attacchi, spianando la strada a tutte quelle fobie che si fortificano nelle debolezze.

 

 

Trattamenti

 

Nel trattamento del disturbo di panico con (o senza) agorafobia, la psicoterapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato ampiamente e scientificamente la propria efficacia. Si tratta di un tipo di psicoterapia in cui paziente e terapeuta sono attivamente impegnati nella comprensione del problema e nella condivisione di obiettivi terapeutici concreti e verificabili.

Nel corso del trattamento la persona portatrice del disagio è aiutata a prendere consapevolezza dei circoli viziosi del panico e a liberarsene gradualmente attraverso l’acquisizione di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali.

La terapia farmacologia del disturbo di panico, qualora necessaria, prevede solitamente l’uso di due classi di farmaci: le benzodiazepine e gli antidepressivi. Le benzodiazepine (alprazolam, clonazepam, diazepam, lorazepam) producono solitamente un effetto ansiolitico immediato ma, per il loro potenziale additivo, sono solitamente prescritte nella fasi iniziali della cura in associazione agli antidepressivi per essere gradualmente sospese quando interviene l’effetto di questi ultimi.

 

Tra gli antidepressivi, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) quali ad esempio, paroxetina, citalopram, fluoxetina, fluvoxamina e sertralina rappresentano, ad oggi, una buona soluzione farmacologica per il panico perché abbastanza efficaci e solitamente ben tollerati. Gli antidepressivi triciclici (imipramina, clomipramina, desipramina, trimipramina e dotiepina) sono solitamente prescritti a coloro che non hanno risposto agli SSRI perché spesso provocano fastidiosi effetti collaterali.

Infine, gli antidepressivi noti con il nome di inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO), pur essendosi dimostrati estremamente efficaci, vengono prescritti solo a pazienti che non abbiano risposto in modo soddisfacente alle altre cure, perché comportano fastidiose limitazioni dietetiche e risultano incompatibili con l’assunzione di taluni altri farmaci.

 

“Malgrado tutto: non siamo soli”.