Una rubrica sulle più grandi menti tormentate dell'umanità. Oggi parliamo di Robert Louis Stevenson e del doppio, di quel Dr. Jekyll e Mr. Hyde che ha cambiato il mondo.

Credo che a volte ci sia bisogno di semplicità. No, non parlo di una semplicità che si svincola dal significato letterale del termine, e nemmeno di un pletorico entimema che trascende o persuade la mente.

 

Parlo della mera semplicità che caratterizza l’uomo nella ricerca di solide soddisfazioni, appaganti per i suoi bisogni.
La semplicità di una musica sottile che si sente in lontananza.
Una musica che giova i sensi e attira le menti, lasciandole libere.
Libere di andarsene ma anche di rimanere.
Solo che semplicità e musica, come ogni parola, non hanno un significato se non vengono introdotte in un sistema sintattico e paradigmatico per cui assumono un valore unico dettato dal contesto.
Il mio contesto però è molto ampio e non voglio svelarlo, perché significherebbe attenermi ad alcuni vincoli e soprattutto non poter fare salti semantici con parole che, come in questo caso, non hanno nulla in comune.
In tutto esiste un’ambivalenza nascosta, in questo caso semplicità e musica voglio che assumano lo stesso significato. Voglio che la semplicità assuma delle regole per cui possa essere gradita, conoscendo oppure no la sua fonte.
E se raggiungo la fonte? Cosa succede?
La memoria recinge il dubbio e, con lui, anche il sentimento. Le sensazioni sbiadiscono, si confanno ad altre già esistenti, finché, a mascherare una semplice ma utile morte, sovviene un’altra breve vita di ricerca.
Ciò significa che nel momento in cui l’incognito si svela, l’uomo conosce, e allo stesso tempo smette di esistere come singolo e diventa tessuto integrante del filo rosso che compone la stessa cultura di cui fa parte.
Un ciclo ellissoide costituito da piccoli segmenti in cui l’uomo lavora, senza essere visto, ai bordi di un’autostrada di cui tutti fanno parte, e muore per poi rinascere.
L’uomo gode del risultato di quel piccolo sforzo di conoscere cosa ricerca in maniera individuale anche se poi il fine ultimo risulta collettivo.

 

Alla fine viene fagocitato. Un destino simile a un poligamo che dona alla natura la sua stessa vita durante l’accoppiamento per il mantenimento della specie
Il fatto che io ne parli esplica come l’uomo sia cosciente del suo percorso ma totalmente incosciente delle motivazioni e del suo destino, tuttavia questo non dissimula la mia ottemperanza nel dare una contropartita a questa guerra.
Una guerra metacognitiva che vede scontrarsi lo strutturalismo collettivo incastonato da una parte e il feroce relativismo individuale dall’altra.
Perciò, quand’è che l’uomo vive davvero?
Vive quando non conosce e ricerca.
Vive il viaggio. Si soffoca nella distanza.
E la strada che percorre è senza un preciso inizio e ha una fine ancora più incerta.
Attratto dal dubbio della lontananza e imbenzinato dalla speranza, l’uomo ascolta.
C’è una semplice musica che soggiace i suoi bisogni, eppure tutto il resto è così complicato.

 

Ecco come noi del Cartello proponiamo il venerdì della dipendenza.
Una musica di droghe che hanno sedato alcuni dei più grandi autori, rendendo il loro contributo importante sia individualmente che per ognuno di noi.
In questo caso la situazione storica è centrata nel secondo e terzo quarto del XIX secolo, ma la storia ci insegna che non esiste il presente se non si spiega il passato.
Ecco quel presente è il frutto di un insieme di restaurazioni e riforme che hanno sconfitto l’Ancien Régime e pongono la società a un punto di non ritorno.
La foresta del Romanticismo viene prematuramente disboscata dalle ruspe della Rivoluzione Industriale, e con il capitalismo anche l’arte viene scissa dalla cultura:
tutto quello che è materia (meccanica) non viene più considerato creativo e l’arte assume soltanto un’attività intellettuale.
Fortunatamente l’ideologia Romantica resiste e continuando ad agire sottosoglia riconoscibile, mantenendo una criptosignoria artistica che influenza anche il secolo successivo.
Qui nascono le prime divergenze e contrapposizioni ritenute valide con la possibilità di voto ed elezione estesa a gran parte della popolazione.
È l’Ottocento, il secolo delle ambivalenze e delle lotte tra le idee di genio e originale individuale e quelle della società di massa.
Una massa di popoli che compongono nazioni rinnovate, ottimiste, resuscitate sulle ceneri della Rivoluzione Francese.
Nazioni in grado di risvegliare Pelagio dalla tomba e trafiggerlo con la convinzione che la tecnologia fosse in grado di risolvere tutte le problematiche umane, materiali e spirituali.
Queste sono nazioni che a posteriori verranno definite già Moderne, eppure uccidono e colonizzano con la ferocia di popolazioni primitive.
Mentre la fame di potere, che si profetizzava essere stata sconfitta, continua la risalita verso la superficie, l’uomo riassaggia il sapore dell’incertezza da cui emergono i fantasmi repressi dell’inconscio.
Quale migliore momento per il genio scozzese Robert Louis Stevenson per romanzare attraverso un thriller fantascientifico la situazione individuale e collettiva umana?

 

“Sebbene io fossi intimamente doppio, non ero in nessun caso un ipocrita; questi miei due aspetti erano perfettamente in pace fra loro; ero sempre me stesso, sia quando mettevo da parte ogni ritegno e sprofondavo nel fango, che quando mi affaticavo, alla luce del giorno, per il progresso della scienza o per alleviare la sofferenza e il dolore”.

 

Robert Louis Stevenson guida le consapevolezze rimosse dell’occidente negli inferi della cattiva coscienza che si cristallizza in maniera definita nel secolo vittorioso e inquietante del 1800.
Stevenson racconta la storia di tutti, dell’uomo primordiale e di quello civilizzato, entrambe facce costituenti un’unica moneta, e lo fa mettendo in primo piano la coscienza, la sua.
La coscienza unifica ciò che la natura e la civiltà hanno reso doppio, eppure la doppiezza dell’essere umano si traduce anche nel fisico, ma non nella memoria o coscienza stessa.
Perché?
Perché la dualità è il frutto di un apprendimento successivo, perché l’uomo nella sua essenza è soltanto Hyde.
L’uomo è soltanto la bestia che viene nascosta da un sostrato di regole che si sommano ma non annullano l’animale che vive in noi.

 

“Fu esaminando l’aspetto morale, e nella mia stessa persona, che imparai a riconoscere la profonda e primitiva dualità dell’uomo; mi accorsi che, di fronte alle due nature che lottavano per il predominio della mia coscienza, anche se potevo a ragion veduta essere l’una o l’altra, ciò avveniva soltanto perché ero radicalmente tutte e due; e già dal principio, anche prima che il corso delle mie scoperte scientifiche avesse incominciato a suggerirmi la pura possibilità di tale miracolo, avevo imparato a soffermarmi con piacere, come su un bel sogno ad occhi aperti, sull’idea della separazione tra questi due elementi”.

 

Una dualità che ha come indicatore prodromico la morale.
Infatti solo Jekyll scopre la dualità, mantenendo un certo controllo sulla sua seconda parte,
e cerca di tradurre la sua consapevolezza e la sua predominanza tramite una pozione.
L’aspetto duale finisce per diventare aperto e tradursi a livello fisico tramite l’espediente della pozione finché si compie un’inversione che vede Hyde irrompere e prendere il sopravvento.
È il regresso.
È la droga.
La stessa che conduce alla spensieratezza e sospensione momentanea della coscienza.
Quella che genera piacere ma con conseguenze disastrose.
Eppure sono esperienze prese in considerazione come espediente di libertà da una vita non propria, in uniforme, che conduce a riconsiderare la natura pulsionale e malvagia.

 

La droga come pozione che risveglia la nostra essenza, la droga come eccesso nella vita reale che reclude Robert Louis Stevenson sei giorni e sei notti in una stanza senza dormire, mangiando appena, spinto a propulsione da un alcaloide psicoattivo.
In particolare l’ergotina, un estratto del fungo da cui si recuperava l’acido lisergico,
era stata prescritta a Robert Louis Stevenson come medicinale antiemorragico per i suoi problemi polmonari.
Addirittura questo parassita della segale e del frumento fu al centro delle pesanti accuse riguardanti alcuni avvelenamenti di massa nel corso di tutto il Medioevo; si dice che le vittime, mangiando il pane contaminato, soffrissero di forti convulsioni e vivide allucinazioni, talvolta scambiate per possessione demoniaca.
Lascio al lettore l’ardua sentenza sul decidere se questo Robert Louis Stevenson abbia partorito un’opera così importante come il prodotto di una scissione tra genio e sregolatezza, oppure semplicemente come un tossico che, manipolato da un effetto collaterale di un medicinale, avesse alterato la propria percezione, subendo una trasformazione spasmo-allucinatoria.
Oppure questo è un uomo, un martire che ha provato a spezzare quel ciclo che ci porta a morire per poi rinascere senza esserne coscienti.