Le ragioni dietro la dipendenza dal gioco d'azzardo: il gioco umano per antonomasia che affonda nella notte dei tempi.
Il fascino del gioco d’azzardo, che è stato definito come il gioco umano per antonomasia, affonda nella notte dei tempi e ha attratto tutti i popoli del mondo.
Le sue origini risalgono all’incirca al 2300 a. C. in Cina dove si scommetteva sul vincitore del gioco Wei ch’i: una scacchiera e due eserciti rappresentati da dischi bianchi e neri che si combattevano per conquistare il campo di battaglia.
Nella Roma antica il gioco d’azzardo era severamente proibito, sanzionato con pene che andavano dalla contravvenzione in denaro all’esilio. Il permesso di poter giocare era determinato solo nel mese di dicembre, durante i saturnali, il carnevale romano.
Ma la proibizione non prendeva in considerazione le scommesse su gare sportive e la passione per il gioco annessa all’attrazione veniale per il denaro si diffuse così velocemente da destare l’attenzione di scrittori e personaggi famosi sull’argomentare quanto l’azzardo incideva sul malcostume sociale:
“quando mai la pienezza di vizi si è manifestata con più abbondanza? Quando mai si è ceduto tanto alla avidità? Quando mai è stata forte la mania del gioco? Ormai non si va più al tavolo da gioco solo col borsellino, no! Ci si porta dietro tutti i propri averi” (Decimo Giunio Giovenale, Satire, Libro I)
La passione sfrenata per il gioco d’azzardo raggiunse anche il medioevo e fu causa di non pochi disastri economici. Il gioco preferito era quello dei dadi; si scommetteva tutto, dalle monete d’oro alla casa, e la sconfitta era genesi di pene legali, spesso soppiantate da sanguinarie rese dei conti.
“Puote omo avere in sé man violenta “Detestabile cosa el giuoco! Vita inquietissima
e ne’ suoi beni; e però nel secondo quella del giocatore, sentina di vizi abominevoli”
giron conviene che sanza pro si penta [Leon Battista Alberti, De Iciarchia ]
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultate,
e piange là dov’esser de’ giocondo”
(Dante Alighieri, Inferno, Canto XI)
Anche il Rinascimento ebbe le sue testimonianze di viltà e vizio pidocchioso:
“Mangiato che ho, ritorno nell’hosteria: quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un
mugnaio, due fornaciai. Con questi io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a trich-
trac, e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose;
e il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano”(Niccolò Machiavelli, lettera a Francesco Vettori)
Il gioco d’azzardo raggiunse una popolarità così inaspettata e inarrestabile che in Europa, nel XVI secolo, i governi stessi pensarono bene di iniziare a utilizzare le lotterie per scopi finanziari.
La capacità attrattiva del gioco si legava soprattutto al fattore ludico che lo presentava solo come un divertimento superficiale, subornando gli altri aspetti più profondi che incatenavano l’abusatore in modo persistente.
Pur continuando a far parte della vita delle persone, la popolarità e l’accettabilità del gioco d’azzardo sono cambiate nel corso del tempo, probabilmente in risposta a cambiamenti culturali e ambientali.
Gli interrogativi su cui si basano i nostri interessi sono proprio legati ai motivi di evoluzione e differente risposta che gli individui offrono di fronte al contatto con questa patologia dalle radici arcaiche, misteriose e molto affini con le vicende religiose.
In effetti la stessa parola azzardo ha origini francesi hasard, con derivazioni arabe az-zhar cioè dado, un oggetto particolare che rappresenta uno dei più semplici fenomeni aleatori cui l’uomo tenta di dare una risposta; un oggetto artigianale di poli-manifattura che si ritrova anche nelle vicende religiose… si racconta infatti che fu proprio con un dado che i soldati romani si giocarono la tunica di Gesù:
“I soldati, quand’ebbero crocifisso gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e anche la tuica. Ma la tunica era senza cucitura, tessuta dalla parte superiore tutta d’un pezzo. Dissero dunque fra di loro: Non dividiamola, ma tiriamo a sorte di chi sarà. È così che si compì la Scrittura che aveva detto: si sono spartite fra loro le mie vesti. E per il mio vestito hanno tirato la sorte” (Giov. 19, 23-24)
Per distinguere il termine play, ovvero il gioco determinato da regole in cui il giocatore vince grazie alla sua abilità, dal gambling, si prende in considerazione una delle categorie della classificazione predisposta da Caillois nel 2000, che divide i giochi in quattro categorie: giochi di competizione, di travestimento, di vertigine e di Alea.
In particolare Alea sono i giochi ove la vincita o la perdita non dipendono da una decisione del giocatore, bensì sono esclusivamente affidati al caso.
Se al gioco di Alea aggiungiamo la circolazione del denaro siamo in presenza di un gioco d’azzardo, e la sua capacità di attecchire nel processo storico negli anni è stato grazie soprattutto alle numerose tipologie di gioco offerte in modo legalizzato dagli Stati, che per la loro eterogeneità sono riuscite ad attirare le simpatie di un numero maggiore di persone, e di tutte le età.
Le caratteristiche fondamentali che rendono il gioco d’azzardo una patologia sono insite nella persistenza che genera maladattività e influenza in maniera negativa i domini personali, professionali, familiari e sociali, e soprattutto è accompagnato da perdite finanziarie e problemi legali, oltre alla presenza di altri disturbi medici e psichiatrici in comorbilità.
Ma le vere curiosità del GAP derivano dalle differenti concettualizzazioni che hanno cercato di spiegare la sua intricata natura.
All’inizio, infatti, fu classificato tra i disturbi del controllo degli impulsi in cui la focalizzazione era selettiva sull’incapacità, da parte del gambler, di resistere a una spinta o a una tentazione (impulso), anche se potenzialmente nociva per sé stessi o per gli altri.
Il problema fu riscontrato nel riuscire a ubicare precisamente il GAP (Gambling Awarness Program) nello spettro impulsivo-compulsivo della nosografia psichiatrica che vedeva un continuum dei comportamenti impulsivi guidati rispettivamente dalla ricerca del piacere oppure volti alla riduzione dell’ansia.
Il fatto che il GAP fosse composto da pensieri ossessivi e azioni conseguenti, finalizzate a ridurre gli stessi pensieri incoercibili, lo avvicinò molto allo spazio dei Disturbi Ossessivi-Compulsivi senza però mai entrare a farne parte dato che hanno una processualità patologica molto simile ma coinvolgono circuiti cerebrali diversi.
La modalità con cui il gioco d’azzardo agisce sulla persona è molto più simile a quella di una sostanza stupefacente: entrambe hanno una disfunzione dei circuiti di gratificazione, coinvolti nel rinforzo dei comportamenti, nella produzione dei ricordi e responsabili della sensazione di piacere indicata con il termine high.
Si parla perciò di Addiction quando ci sono una serie di richiami allo stimolo, che può essere indifferentemente il gioco o una sostanza stupefacente, seguiti da una ricerca incessante e ardente detta craving che palesa la presenza di una situazione critica che comporta una nuova ricerca dopo l’aver appagato i propri stimoli maladattivi.
Più specificatamente nel caso del gioco d’azzardo patologico, il funzionamento anomalo si manifesta con un’alterata sensibilità alla ricompensa da vincita e alla perdita, o ad una combinazione di queste due variabili.
Si è potuto dimostrare ad esempio che i soggetti con gioco d’azzardo patologico esprimono una preferenza per una ricompensa minore ma immediata rispetto ad una ricompensa maggiore ma successiva. In altre parole, i soggetti con gioco d’azzardo patologico ricercano gratificazioni immediate al contrario di soggetti normali che preferiscono ricercare ricompense più elevate anche se successive.
Va ricordato che l’individuo ottimizza costantemente il suo adattamento alle condizioni socio-ambientali attraverso lo sviluppo di credenze che sono in grado di orientare fortemente e velocemente le scelte ed i comportamenti della persona, producendo anche modificazioni a livello biochimico. Queste credenze, che spesso nelle persone affette da gioco d’azzardo patologico sconfinano in vere e proprie distorsioni cognitive, rendono più difficoltosa e refrattaria la successiva modifica del comportamento.
Non è tutto; purtroppo queste distorsioni agiscono attivamente anche sul livello emozionale che risente di burrascosi altalenamenti derivati dall’amplificazione delle reazioni agli avvenimenti del gioco.
Purtroppo il gioco d’azzardo ha accompagnato nei secoli la storia dell’umanità sino ad oggi, avvinghiandosi come una piovra alla vita del giocatore, sia esso artista o contadino, principe o schiavo, soffocando la sua esistenza e quella dei suoi familiari:
“Tesoro mio, amico mio eterno, angelo mio celeste, tu naturalmente capisci, ho perduto al gioco tutto […] vi sono sventure che portano in se stesse anche la punizione […]. E se tu hai pietà di me, non aver pietà, perché non lo merito! […]. Ma quando ho ricevuto oggi trenta talleri, io non volevo giocare per due ragioni […]. Ma arrivato alla stazione, mi sono messo vicino al tavolo da gioco e nel pensiero ho incominciato a indovinare [i numeri] […]. Ne sono stato così sbalordito che ho incominciato a giocare […] Anja, salvai per l’ultima volta, mandami trenta talleri. Anja, io sto ai tuoi piedi e te li bacio e so che tu hai pieno diritto di disprezzarmi e di pensare ancora: “Giocherà anche questi!”. Su cosa posso giurarti che non li giocherò? Ti ho ingannata!”
[Fëdor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, 1950]
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