Una storia di ordinaria follia.

Lo ammetto, inutile che ci giri intorno (e poi forse è il primo dei 12-step per il recupero della mia dipendenza), la MDMA mi fa impazzire. Ogni volta che apro una di quelle buste impacchettate alla buona con l’angolo di un sacchetto del supermercato o del pakistano sotto casa, il cui odore acido sa di ‘nuoce gravemente alla salute’, un po’ mi emoziono.

 

La sapeva lunga l’ormai defunto Alexander ‘Sasha’ Shulgin, la cui sintetizzazione della magica sostanza a fine anni 70 lo ha reso l’involontario creatore dell’amore sintetico, che ha passato la vita a testare droghe: la sua affascinante storia lo ha visto abbandonare la Dow Chemical Company, per darsi all’università, alla consulenza e a collaborazioni con la DEA, mentre somministrava le nuove invenzioni ad amici invitati ai suoi house party.

 

La marrone sostanza di Shulgin ha creato più amori di Cupido e ha riempito sudate discoteche e rave degenerati. Io, da amante del genere, l’ho provata in tutti i posti in cui son stato e devo dire che di Molly buona e a buon prezzo come a Berlino non ne ho mai trovata.

 

Tra le tante città dove ho vissuto, ho lavorato per 3 mesi per un centro di ricerca tedesco, situato proprio nella fredda e hipster capitale tedesca. Una sera più calda delle altre, il mio pusher ebreo mi chiama dicendo: “fai un salto da me, ho una sorpresa”.

 

Arrivato a casa sua, che sembrava fatta di parquet anche sul soffitto e sulle pareti, ci sediamo al tavolo mentre Magdalena dalle lunghe e bianche gambe, sedeva sensuale e provocante sul rientro del termosifone. Zeev, tira fuori il nuovo prodotto, stende due linee sul vetro e sorride mentre dice: “prima gli ospiti”. Quando sono uscito da casa sua avevo fatto incetta della magica medicina. Era giovedì.

 

Mi dirigo all’ormai defunto Kater Holzig con la banda di amici expat. Superato l’ingresso, e le paranoie per il non sapere mai se il buttafuori ti farà entrare o no, seguiamo il manuale: shot, birra e colpo in bagno. Io, Teresa e Fritz, ci buttiamo nella fila e occupiamo un bagno. Teresa, l’amica di Fritz, mi guarda in modo strano in coda, così, mentre Fritz stende tre grossi colpi su un flyer del club, colgo l’occasione per pomiciarla. Fritz ci avvisa che le righe sono pronte e, non ricevendo risposta, esclama: “embè a me che fate mi escludete?!”, prima di iniziare a toccare le grosse tette di Teresa.

 

La serata si evolve, sono felice, il cuore che batte di un amore innaturale, e la porta del cesso come scudo dietro al quale nascondersi a ricaricare le batterie – che noto ricaricarsi più in fretta, quando Teresa mi afferra il cazzo in mano e poi se lo infila in bocca, approfittando dell’assenza di Fritz e facendo andare su tutte le furie le due crucche in fila dopo di noi.

 

È in mezzo a questo, passatemi il termine, schifo, che incontro casualmente Charlotte, una ragazza svizzera che avevo conosciuto a Kreuzberg la sera prima. Ci ballo, ovviamente innamorandomene, e quando mi dice che se ne deve andare fissiamo per andare al Wilde Renate il giorno dopo.

 

Déjà-vu. Stessa ora, stessa casa di Zeev, stessa Magdalena dalle lunghe e bianche gambe che mi imprigiona in pensieri a sfondo sessuale, il pub, gli expat, e poi finalmente incontriamo Charlotte prima di entrare dentro al club. Andiamo in bagno che, per chi non si fosse mai perso nelle acide notti berlinesi, è una sorta di zona franca all’interno della quale tutto è più o meno ammesso. Siamo io, Fritz e un paio di amiche. Fuori una riduzione, stendiamo qualche colpo, e prepariamo delle ‘bombette’ – geniale invenzione ottenuta racchiudendo uno 0.1 della magica MDMA, all’interno di una morbida cartina da sigarette.

 

Abbastanza carico, vado a recuperare Charlotte prima che qualche stronzo arrapato me la rubi. Balliamo, la bacio, beviamo. Fino a che non mi vede palesemente scosso di, diciamo, amore (sintetico). Mi chiede se sto bene, e al mio risponderle di si, mi dice: “senti ma perché non ce ne andiamo in un posto più tranquillo?”.

 

Un’erezione precede la mia accondiscendente risposta. E quindi via dal club, ci tuffiamo in un taxi che ci porta a casa sua, rischiando di esserne cacciati fuori perché “stavamo esagerando”. Una volta saliti nell’appartamento estremamente radical chic della ricca Charlotte finiamo a letto, e ci restiamo per le due ore successive. La lecco ovunque, e lei fa lo stesso, sono talmente fatto che durante il rapporto ho bisogno di alzarmi e di rollarmi una canna. Fumiamo nudi, e poi riiniziamo a scopare, cosa che va avanti fino al terzo preservativo rotto e al suo flebile tentativo di confessarmi che “crede di essere lesbica”, momento in cui guardo l’orologio rendendomi conto che è tardissimo: sono le 6 e ho un aereo che parte da Tegel alle 9:30. La bacio, l’abbraccio, e tutto contento mi vesto di fretta e me ne vado a cazzo duro.

 

In realtà la storia che vi volevo narrare prima che mi perdessi nei ricordi è racchiusa nei 20 minuti che hanno seguito il chiudersi della porta dietro alle mie spalle. Scese le scale condominiali, mi trovo in un labirinto (mentale): due cortili, uno alla mia destra e uno alla mia sinistra. Vado a destra e apro una porta che è l’anticamera di un incubo. Una scala scende in una cantina buia degna del miglior film horror, la paura mi pervade, e elimino dalla mia mappa mentale il cortile di destra. Ripiego su quello di sinistra e, non trovando l’uscita ma solo l’ingresso ad altri appartamenti, continuo a rimbalzare tra scalinate e cortile – mentre inarrestabile il tempo scorre, facendo contestualmente aumentare la distanza tra me e l’aeroporto.

 

6:20. Disperato. Tiro fuori l’asso dalla manica: inizio a suonare i campanelli. Cinque minuti dopo una ragazza terrorizzata apre la porta, rivolgendomi un nervoso: “Che c’è?”. “Ehm, è un po’ difficile da spiegare ma, mi sono perso nel tuo palazzo!”. L’assonnata e impaurita ragazza mi guarda negli occhi, capisce il mio stato e mentre scoppia in una risata mi rivela che l’uscita è a destra, devo solo aprire il grande portone accanto alla porta della cantina, è impossibile che non lo abbia visto. Già… impossibile…

 

Corro al club. Per fortuna gli altri hanno finito pure la mia parte di M, così abbandono l’idea di farmi ancora. Saluto Fritz e gli altri, e alle 9:45, 15 minuti dopo la partenza, una goccia di saliva mi pende dal labbro destro mentre la Ryanair mi porta in Italia.