"La bellezza salverà il mondo" (Fëdor Dostoevskij).

L’ideale di bellezza è la rappresentazione della completezza.
La sua manifestazione si compone di percezioni molto acute che godono dell’influsso totalmente variabile di forti dinamiche pulsionali e successive elaborazioni razionali.
Riguardo la bellezza non esiste una vera e propria definizione, la mutevolezza del suo significato nel corso del tempo e i mancati pluritentativi di incatenarla sono l’espressione della sua labilità e fuggevolezza che la rendono impossibile da concretizzare.
La bellezza non si materializza come oggetto ma vive nel soggetto.
L’unico modo per catturarla, senza però, purtroppo, poterla trattenere, avere un suo feticcio o una sua foto insieme, è all’interno di una percezione che si accompagna del giudizio che il soggetto muove e riflette verso l’oggetto stesso.
Pensate bene, l’unico strumento in grado di misurare e promuovere l’esistenza stessa della bellezza è in mano all’uomo, al soggetto, ed è la percezione.
Ed è proprio grazie alla percezione e ai suoi surrogati che una parte del concetto astratto di bellezza diventa esperienza umana, cosciente, quantificabile e condivisibile.
La condivisione agisce come fonte di collegamento tra gli uomini, ma funge anche da corrente alternata che riporta il concetto di bellezza da corporeo-percettivo a incorporeo-immaginativo.
Quello che si viene a creare è un circolo, un vortice irregolare in cui l’uomo sta sia fuori che dentro: egli è creatore, soggetto, e anche oggetto di qualcosa, la bellezza, che non può controllare.
Questo tentativo di immobilizzare la bellezza per illustrarne la sua essenza è frutto di una concezione puramente moderna, ma è giusto provare a disconoscere, a volte, per poter apprendere pienamente.
Voglio dire che le prospettive originarie non possono essere comprese a pieno se si guarda la bellezza solo con occhi moderni, come spesso è accaduto nelle diverse epoche che hanno assunto come autentico e originale una rappresentazione ‘classica’ della bellezza che in realtà era fittizia, ovvero prodotta dalla proiezione sul passato di una visione moderna del mondo.
È giusto sapere che, in principio, la bellezza non aveva uno statuto autonomo, anzi potremmo addirittura dire che ai greci, almeno fino all’età di Pericle, mancasse una vera e propria estetica e una teoria della bellezza. Solitamente la bellezza era associata a qualità che supportavano valori di giustizia, misura e convenienza oppure era collegata a vizi che producevano scalpore e scandalo come L’irresistibile Bellezza di Elena che assolve la stessa Elena dai lutti da essa causati:

 

“Non è vergogna che i Teucri
e gli Achei schinieri robusti,
per una donna simile soffrano
a lungo dolori: terribilmente,
a vederla, somiglia
alle dee immortali!
Ma pur così, pur essendo
sì bella, vada via sulle navi,
non ce la lascino qui,
danno per noi e pei figli anche dopo!”
Dicevano appunto così:
e Priamo chiamò Elena a voce alta:
“Vieni qui, figlia mia,
siedi vicino a me,
a vedere il tuo primo marito,
e gli alleati e gli amici:
non certo tu sei colpevole
davanti a me, gli dei son colpevoli,
essi mi hanno mosso contro
la triste guerra dei Danai; [..]”

(Omero, Iliade, III, vv.156-165)

 

ideale di bellezza (2)

Elena e Paride, cratere a campana

 

Come dicevo prima, è il periodo dell’ascesa di Atene come grande potenza militare, economica e culturale in cui si forma una percezione più chiara del Bello estetico.

L’età di Pericle, che raggiunge il suo apice con le guerre vinte contro i persiani, vede nell’esigenza estrinseca di esibire la propria potenza e nel peculiare sviluppo delle arti figurative greche le motivazioni della fioritura artistica con il richiamo alla visione soggettiva.
In questo momento perciò la Bellezza fonda i suoi criteri sulla ricerca e la realizzazione del corpo come vita.
L’ideale di bellezza si opera in una sintesi tra i corpi vivi, si esprime in un’armonia psicofisica dell’anima e del corpo, la Bellezza è la bellezza delle forme e la bontà d’animo.
Una bellezza che si esprime al meglio nelle forme della semplicità statica della scultura, nei frammenti di azione o di movimento in cui la vita trova riposo.
Nondimeno una delle più importanti sculture greche costituisce una potente violazione di questa regola: nel Laocoonte vi è una massima espressione del movimento dinamico, drammaticamente descritta e tutt’altro che semplificata dall’autore. E infatti la sua scoperta, nel 1506, suscitò scalpore e sconcerto.

 

 

ideale di bellezza (4)

Laocoonte e i suoi figli

 

 

L’elaborazione successiva del Bello che presenta criteri di armonia e proporzione, facilmente contrapponibili secondo le visioni moderne, in realtà ha origine nel mito.
Secondo la mitologia, Zeus avrebbe assegnato una misura appropriata e un giusto limite a ogni essere:
il governo del mondo coincide così con un’armonia precisa e misurabile, espressa nei quattro motti scritti sulle mura del tempio di Delfi:
“Il più giusto è il più bello”
“Osserva il limite”
“Odia la tracotanza”
“Nulla in eccesso”.
Queste regole, apparentemente divine e protette da Apollo, esplicitano i suggerimenti da onorare per mantenere l’equilibrio necessario alla sopravvivenza dell’uomo, esse si intrecciano e si confondono con l’espressione della Bellezza.
Bellezza come senso comune che interpreta l’ordine e l’armonia e argina il Caos, dalla cui gola è scaturito, secondo Esiodo, il mondo.
Ma nello stesso tempio di Delfi è raffigurato, sul frontone orientale opposto, Dioniso, dio del caos e della sfrenata infrazione di ogni regola.
Questa compresenza di due divinità antitetiche non è casuale ed esprime in generale la possibilità, sempre presente e periodicamente inverantesi, di un’irruzione del caos nella bella armonia.
Si esprimono qui alcune antitesi significative che rimangono irrisolte entro la concezione greca della Bellezza, che risulta essere ben più complessa e problematica delle semplificazioni operate dalla tradizione classica.

 

Una delle prime antitesi riguarda l’alterco tra la Bellezza e la percezione sensibile.
Infatti, la Bellezza, come dicevo prima, è percepibile ma non completamente, perché non tutto di essa si manifesta in forme sensibili.
Questo apre una pericolosa dicotomia tra Apparenza e Bellezza che spesso gli artisti hanno cercato di soffocare ma che sarà poi svelata in tutta la sua ampiezza con Eraclito:
“La bellezza armonica si palesa come casuale disordine”.

 

Una seconda antitesi è quella tra Suono e Visione (forme percettive privilegiate dalla civiltà greca) per cui, benché si riconosca alla musica il privilegio di esprimere l’anima, è solo alle forme visibili che si applica la definizione di bello (come ciò che attrae).
Disordine e musica vengono a costituire il lato oscuro della Bellezza apollinea armonica e visibile, e come tali ricadono nella sfera di Dioniso.

 

La terza antitesi è quella che predispone un ponte di collegamento con l’età moderna e consta il dualismo tra Vicinanza e Distanza.
Infatti la bellezza Greca, e in generale quasi tutta quella occidentale, prediligono una certa distanza dall’opera, con la quale non si entra in contatto, contrariamente a quella orientale con cui si interagisce proprio.
La bellezza greca viene così espressa dai sensi che lasciano mantenere una certa distanza tra l’oggetto e l’osservatore, ed è sostanzialmente questo il punto di forza della lettura di Friedrich Nietzsche dell’antitesi tra apollineo e dionisiaco.
L’armonia serena, intesa come ordine e misura, si esprime in quella che Nietzsche denomina Bellezza apollinea.
Ma questa bellezza è al tempo stesso uno schermo che cerca di cancellare la presenza di una Bellezza dionisiaca, conturbante, che non si esprime nelle forme apparenti, ma al di la’ delle apparenze.
È questa una bellezza gioiosa e pericolosa, contrapposta alla ragione e spesso raffigurata come possessione e follia.
Il subdolo scontro tra queste due forme di espressione estetica si protrae avanti nella storia mantenendo due poli contrapposti ma uniti da un punto improprio che l’uomo crea ma non sa spiegare.
La Bellezza ragionata, proporzionata nell’armonia e nella misura, identificata nel tentativo dell’uomo di imitare la natura e raggiungere la perfezione del mondo ideale piano piano perde il suo equilibrio, si sfalda nel cambiamento e nel superamento delle leggi Tolemaiche.
Il fatto che il modello del cosmo kepleriano non ricordasse più la perfezione pitagorica di un sistema di sfere concentriche e soprattutto la possibilità dell’esistenza di un cosmo infinito e della pluralità dei mondi, idea balenata a Giordano Bruno, creò dubbi potenti come onde d’urto in grado di distruggere, senza polverizzare, ma anche di incoraggiare l’umanità a spostarsi verso altre strade.
La Bellezza perciò si evolve, assume altre caratteristiche, si identifica nell’intensità del colore, del simbolo e addirittura trova nel Brutto una parte di sé mancante, in grado di essere rappresentata bella e ricongiungibile tramite l’arte.

 

ideale di bellezza (6)

Trittico del Giardino delle delizie, Hieronymus Bosch

 

Una storia, quella della Bellezza, che avanza parallela alla corsa dell’uomo per rimanere fermo e ancorarsi nel tempo.
Una storia che si fa donna amata e eroe amante, realtà inventata e imitazione, rappresentazione sensibile e sovrasensibile, e riesce, ogni volta, a spingersi oltre i propri orizzonti estetici e non.
Il Bello sfila dai canoni rigidi della sacralità religiosa al lassez-faire dell’artista disilluso che raffigura la grazia e l’inquietudine, aprendo le strade a concezioni soggettivistiche e particolaristiche della bellezza stessa.

 

“la bellezza non è altro che una grazia che
di proporzione e di convenienza nasce,
e d’armonia nelle cose”.

(Pietro Bembo)

 

Ed è proprio questo il momento in cui la perfezione inizia a essere rigettata, percepita come vuota, senza anima, ed assieme cadono i criteri di misura, ordine e proporzione e il Bello viene destinato inequivocabilmente ad essere processato da criteri di giudizio soggettivi, indefiniti.

 

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Estate, Giuseppe Arcimboldo

 

 

In particolare qui Giuseppe Arcimboldo dimostra che anche una carota può essere bella, ma al tempo stesso ritrae una bellezza che è tale non in virtù di una regola oggettiva, ma solo grazie al consenso pubblico e grazie ‘all’opinione delle corti’.

 

Ma è altamente fuorviante pensare che sia semplice e sicura la trappola per catturare la Bellezza, anzi è quasi più conveniente scommettere sulla sua fuga pur avendola vista inerme e incatenata.
La Bellezza consta la capacità di districarsi nel tempo eppure imprimere lo spazio,
di essere ricordata occupare le forme dell’oggetto e poi di tuffarsi nelle qualità, capacità e disposizioni del soggetto.
Un soggetto che vive cercando di risanare la sua ferita narcisistica inflitta dalla conoscenza, la stessa che sgomenta e trafigge dopo aver svelato verità in cui l’uomo non è più al centro dell’universo.
Ma è proprio da questa ferita, dalla perdita della sua sicurezza, che l’umanità rivela l’immensità ambivalente della mente: dietro le patine algide del trucco e parrucco si agitano passioni violente, sentimenti travolgenti, uomini e donne raffinati quanto crudeli.

 

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Barry Lindon, Stanley Kubrick

 

E la bellezza?
La Bellezza si nutre dei dissidi della mente e raggiunge il suo apice nella sua contesa con il Sublime.
Per Immanuel Kant, infatti, le caratteristiche del Bello sono: piacere senza interesse, finalità senza scopo,
universalità senza concetto e regolarità senza legge.
Egli vuole dire che si gode della cosa bella senza per questo volerla possedere, la si vede come se fosse organizzata a perfezione per un fine particolare, mentre di fatto l’unico scopo a cui quella forma tenda è la propria autosussistenza, e pertanto si gode come se essa incarnasse alla perfezione una regola, quando invece essa è regola a sé stessa.
Un fiore è un esempio tipico di cosa bella, e proprio in tal senso si capisce anche perché fa parte della bellezza l’universalità senza concetto: perché non è giudizio estetico quello che dice che tutti i fiori sono belli, ma quello che dice che quel particolare fiore è bello, e la necessità che ci porta a dire che questo fiore è bello non è dettata da un ragionamento in base a dei principi, ma dal nostro sentimento. In questo senso si ha un libero gioco dell’immaginazione e dell’intelletto.
Mentre il Sublime schiaccia questa libertà e si identifica come l’indefinito, qualcosa che i nostri sensi non riescono a tollerare e fa nascere un piacere inquieto, negativo, soffocante, in grado di farci desiderare qualcosa che non possiamo avere.

 

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Moonrise over the sea, Caspar David Friedrich

 

L’essere umano è di spalle, in modo che noi non dobbiamo guardare lui, ma attraverso di lui, metterci al suo posto, sentendoci come lui, un elemento trascurabile di fronte alla natura.

 

Il seguito della bellezza è fortemente influenzato dallo sviluppo industriale e con esso ritrova importanza la materia e la sua consumazione.
Mentre le teorie estetiche rivalutano a fondo l’importanza del lavoro “sulla”, “con la”, “nella” materia, il XX secolo rivolge a quest’ultima un’attenzione esclusiva che non è finalizzata a essere corpo di un’opera, ma anche il suo fine.

 

Infine,
questo è quello che io penso della Bellezza:

 

La bellezza è sintesi,
non antitesi,
di un tempo trascorso,
di spazi e reliquie.
C’è il fiato spezzato
di lance e di spade,
c’è il grido trucidato
di un uomo salvato,
c’è il termine di un’era
di cui è già stato il giorno.
La bellezza si nasconde,
in un corpo gentile,
magari di donna,
respira…
Toccar non puote,
se non nel pensiero imprigionata.

 

La bellezza,
che prima risaltava nelle forme
nelle gesta inconsulte,
nelle sensazioni proibite,
è morta.
Non so se sarà in grado di risorgere.
So che i principi puri di emancipazione
e lotta per pari
sono stati corrotti.
Crucciati dai fini veniali
e superficiali che hanno
il di per sé riflesso
sulla moda,
come modo di essere.
Ora,
la bellezza soffoca,
e strangola la donna
in abiti da uomo,
e conforma un androgeno
in cui muore il piacere degli occhi.
Come la bocca chiusa in un sacchetto di plastica.