Un ragazzo non abituato alle droghe. Una dose letale di MDMA. Un locale in Australia.

Mi chiede di non scrivere il suo nome e il nome delle altre persone coinvolte.  Mi chiede di cambiare il nome della città. Delle vie. Del paese. Di lasciar perdere le descrizioni. Vada per i nomi di persona, gli dico. Ma solo per quelli. Nonostante sia passato più di un anno da quell’esperienza, parlarne gli provoca ancora dei problemi. “Dei miei amici, non lo sa nessuno. Nemmeno quelli più stretti. È meglio così”. Di storie come la sua, se ne leggono spesso oggi. Ragazzi che si spengono, dopo una dose letale di ecstasy in discoteca. Sarebbe potuto diventare l’ennesima vittima di una notte folle. Una fine tutt’altro che dignitosa. Invece è sopravvissuto. E con lui la sua storia. Nonostante chieda di rimanere anonimo, ci tiene a raccontare la sua esperienza: “Per fortuna, i sopravvissuti delle dosi letali, sono molti di più di ciò che si racconta.  Tra i ragazzi manca una sorta di educazione allo sballo. Se ho rischiato, l’ho fatto solo a causa della mia ignoranza”.

 

Il mio esilio

Ha appena compiuto ventotto anni. È tornato da soli trentadue giorni dall’Australia, dove ha vissuto per quattro anni. L’esperienza lo ha cambiato. Oggi ha un ricordo definito di chi fosse prima di partire. E se è così definito è perché forse è tanto diverso da ora. “Circa cinque anni fa, mi sembrava che la vita stesse andando fin troppo bene. Non mi ero mai trovato nella situazione di affrontare dei veri problemi”. Era il grafico di un’importante agenzia creativa milanese. Era fidanzato da quattro anni con quella che pensava fosse la donna della sua vita. Era innamorato e soddisfatto. Così, quando la sua ragazza lo lasciò, colse l’occasione per stravolgere la calma, licenziandosi e partendo. Scelse l’Australia “non per una ragione particolare, avevo solo bisogno di un posto in cui scappare. L’Australia era la scelta migliore, sia per la facilità con cui è possibile ottenere il visto, sia per il tenore di vita”.

 

Ecstasy 1

L’Australia era la scelta migliore

 

La droga della felicità

Si trasferì in Australia, ma l’MDMA la provò per la prima volta un anno dopo, al Ministry of Sound, storica discoteca londinese, insieme ad un gruppo di amici italiani. “Ero tornato in Europa. Ho visitato Londra, per poi tornare a casa dalla mia famiglia per qualche giorno”.

 

Era curioso di provare una nuova droga. Fino a quel momento aveva fumato solo qualche spinello in compagnia. Aveva una regola: provare la sostanza andava bene, ma doveva prenderne ancora meno di chi, tra i membri del gruppo, ne assumeva poca. Era la sua prima volta. Qualcuno sciolse dei cristalli in una bottiglietta d’acqua. Dopo essere stato avvertito, venne anche messo in guardia. Stai tranquillo. Fai solo un paio di sorsi, gli raccomandò uno degli amici. Era molto nervoso. Aveva paura di rimanerci sotto. Il trip invece fu leggero e piacevole. Un’esperienza più che positiva. Oltre all’evidente dilatazione delle pupille, ciò che ricorda di quell’esperienza sono gli effetti entactogeni tipici della sostanza: aumento dell’emotività e dell’affetto verso amici e sconosciuti. Ballò fino al mattino seguente. “Mi sentivo spensierato e pieno di energie. Da quella volta ho capito perché in molti la chiamano la droga della felicità”.  Tornò in Australia dopo qualche giorno, si trovò un lavoro fisso e si dimenticò dell’ecstasy. Per almeno un altro anno.

 

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Ecstasy, la droga della felicità (?)

 

Chapel Street

La sera prima non riusciva a dormire, come sempre prima di un viaggio. Da Brisbane, dove alloggiava, doveva dirigersi a Melbourne, per festeggiare il compleanno di un’amica italiana (ci ho provato, ma niente nome). Con lei fece un giro della città, prima che si aggregassero altri amici: due australiani, un americano e un irlandese. Si fermarono nelle vie del centro e si dedicarono a due cose: alcol e divertimento.

 

Intorno alle tre di notte, stanco dal viaggio, rifiutò l’invito dell’amica, di spostarsi in Chapel Street, strada fuori dal cuore di Melbourne, dove alcuni locali rimangono aperti fino a mattina. Con lei rimasero solo i due australiani. A quanto pare, si trattava di due piccoli spacciatori. Dopo aver preso le chiavi di casa dell’appartamento dell’amica, in cui avrebbe passato la notte, cominciò ad avviarsi.

“Cazzo, sono a Melbourne! Quando mi ricapita?”. Si voltò, corse indietro e raggiunse il gruppo.

 

Ecstasy 3

Cazzo, sono a Melbourne! Quando mi ricapita?

 

La mia dose, la tua dose

Prima di entrare in uno dei tanti club di Chapel Street, aspettarono i due australiani, i quali nel frattempo si erano allontanati per rifornirsi di MDMA, a quanto pare di ottima qualità. Una volta dentro, uno dei due spacciatori, prese dalla tasca una bustina piena di polvere: all’interno, almeno tre grammi di felicità. “Questa è per te e per lei” disse uno dei due australiani.

 

“Mi sono distratto un attimo e ho perso la mia amica. Mi hanno detto che era in bagno a farsi e che aveva anche la mia parte. Allora mi dico, cazzo, non la finirà tutta”. Tornata dal bagno, l’amica gli passò la busta. Era il suo turno. In bagno, si ritrovò in una situazione vista spesso nei film, ma mai vissuta. In quel momento cadde la sua unica regola. Smise di farsi domande. Senza alcuno scrupolo, stese tutto il contenuto rimanente della busta su un banchetto di legno. Era una striscia di circa due grammi e mezzo. “Non sapevo nulla di quantità ed ero sbronzo. Ho pensato stupidamente che il rimanente fosse la mia dose. Per esagerare basta tirare un grammo, un grammo e mezzo. Io, alla mia prima pippata, ho tirato il doppio”. La botta arrivò subito alla testa e gli bruciò il naso. Uscito dal bagno assistette ad una conversazione tra i due australiani e la sua amica. Anche lei era stata vittima della stessa incomprensione:

– Ma voi avevate detto che quella nella bustina era la mia dose.

– Non l’avrai pippata tutta in un colpo, vero?!

– No, assolutamente.

I due spacciatori, al momento, tirarono un sospiro di sollievo. Quella nella busta, era una dose sì, ma per una notte intera.

 

Ecstasy 4

Non l’avrai pippata tutta in un colpo, vero?!

 

Show me the bag

“Conosco molte persone che fanno uso di droghe, ma non ho mai incontrato nessuno che ha fatto una cazzata del genere”. Me lo dice ridendo.

Un piccolo passo indietro. I due spacciatori australiani non erano stati assolutamente chiari sulla quantità di ecstasy da assumere al momento. Nella bustina era rimasta solo qualche briciola. Se la mise in tasca. “La botta, dal naso, mi è salita velocemente. Mi sono lavato la faccia e già sentivo che c’era qualcosa di strano. Mi girava la testa. Il cuore andava a mille. Sono uscito dal bagno barcollando. Il mondo, intorno a me, cominciava ad accelerare. Le persone si muovevano a scatti. Ho preso da parte uno dei due tizi e gli ho chiesto cosa cazzo mi avessero fatto pippare”.

 

Dopo averlo rassicurato che fosse MDMA, i due spacciatori cominciarono seriamente a preoccuparsi. “Mi chiesero subito quanto avessi tirato. La mia dose, risposi. Loro insistettero. Volevano sapere se mi fossi fatto tutta la busta. Iniziai a capire in che casino mi fossi cacciato. Gli risposi che no, non me l’ero fatta tutta, ripensando a quelle briciole lasciate sul fondo. Cercavo di convincermi di non aver fatto quello che avevo appena fatto. Show me the bag, esclamò uno dei due”. Tirò fuori la busta. I due australiani la guardarono. Poi si guardarono. Impallidirono.

 

Ecstasy 5

Show me the bag

 

La nuvola bianca

“Era come stare in autostrada in contromano. Tutto si muoveva in stop motion, ma a mille frame rate al secondo. Sempre più veloce. Sempre più veloce. Il cuore batteva così forte fino a uscirmi dal petto”. Da questo momento un pensiero si era fissato nella sua testa: stava per morire. Inizialmente giocò con questo pensiero: “Ero vagamente spaventato, facevo ragionamenti strani: finisce così? Steso da un’overdose in un club sudicio a Melbourne. E rovinerò pure il compleanno a un’amica. Poi la polizia. Che rottura di coglioni. Ad un certo punto non ho più visto nulla. Era tutto bianco. È come se fossi scivolato dentro a una nuvola.

 

Continuavo a ripetermi: non devi morire. Non devi morire. Non devi morire. Non devi morire. Concentrati sulla voce dentro di te che ti esorta a non morire. Ho pensato a mia mamma e a mia nipote. Non volevo morire perché non volevo deluderle. Mi sentivo come se qualcuno mi stesse tendendo per il collo, con i piedi sollevati da terra, finché non mi sono sentito rilasciare, di colpo. Sono tornato improvvisamente a terra. O almeno, questo è quello che ho sentito”. Intanto, nel mondo reale, uno degli australiani lo teneva in piedi per una spalla. Erano passati solo dieci minuti.

 

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Non devi morire

 

Lo spaventapasseri

La serata continuò. I due australiani, per aiutarlo a combattere la disidratazione, gli fecero bere acqua a piccoli sorsi. Necessariamente a piccoli sorsi. “Introdurre liquidi in un corpo a una temperatura alta, può provocare uno sbalzo termico, portando a una congestione dell’intestino”. Dopo essersi scusato più volte, seguì il gruppo in un altro club. “Nel frattempo continuavo ad avere allucinazioni. Ricordo di aver preso il portafogli dalla tasca. Era enorme e nero. Il mio invece era piccolino e marrone. Ero convinto di averlo perso.”

 

In un altro locale a Chapel Street: “Il Dj era dentro una gabbia. Ero circondato da eroinomani e spacciatori. Avevo i sensi di colpa in loop. Ero convinto di aver rovinato il compleanno della mia amica. Così decisi di allontanarmi per starmene un po’ da solo”.In realtà, nessuno ce l’aveva con lui. “Poi sono ricominciate le visioni: dal fondo della sala, uno spaventapasseri, vestito da mummia, mi veniva incontro, minaccioso. Dei pezzi di carne gli dondolavano dal viso. Indossava un cappello di paglia a falde larghe, con un secchio stretto in mano. Quando arrivò vicino quella visione si rivelò per quello che era. Si trattava semplicemente del tizio che raccoglie i bicchieri vuoti”. Il fatto lo divertì. Da quel momento si concentrò su ciò che aveva intorno per creare le sue visioni. “Stavo guardando un tizio con la barba. Se mi concentravo potevo fargli crescere i baffi, a forma di spirale. Potevo cambiare il colore della faccia delle persone. Era divertente”.

 

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Avevo i sensi di colpa in loop

 

Slo mo guy

Ancora convinto di aver rovinato la festa al gruppo di amici, si sentiva in dovere di rifornirli d’acqua per farsi perdonare. Il bancone era colmo di bicchieri d’acqua, tenuti costantemente pieni dai baristi. “Andavo al bancone. Prendevo i bicchieri e li portavo ai miei amici. Così per un’infinità di volte. Dentro di me mi ripetevo: vai piano. Stai attento. Non versare acqua addosso a nessuno. Finché, uno sconosciuto, guardandomi, disse: “Here comes again”. The slo mo guy (il ragazzo in slow motion). Allora ho capito. Nella mia testa camminavo a una velocità normale, stando semplicemente attento a non fare casini. In realtà stavo andando lentissimo”.

 

The Pink Flamingo Team – quello che ha vissuto

Uscirono dalla discoteca, quando il sole era alto, intorno alle undici del mattino. Le disavventure però non erano ancora finite: “La mia amica mi disse che, prima di tornare a casa, dovevamo seguire gli altri due che avevano una partita a cricket contro dei giocatori professionisti. Dopo di che li avremmo pagati per la dose di qualche ora prima. Il messaggio era chiaro. Si trattava di un linguaggio in codice. La “partita di cricket”, in realtà era una copertura per una partita di droga. I “professionisti”erano dei pezzi grossi del giro della droga.

 

Raggiungemmo un parco nelle vicinanze. Intanto si erano aggiunti alcuni giocatori. Gli australiani si cambiarono e indossarono una camicia con dei fenicotteri rosa disegnati sul tessuto. Arrivarono anche i professionisti. Prima che cominciasse la partita si accorsero che mancava un uomo. Mi chiesero se avessi voglia di giocare. Altro messaggio in codice: la classica offerta che non puoi rifiutare. Ero terrorizzato. Guardai la mia amica. Lei cercò di fermarmi parlandomi a bassa voce. No. No. Io ormai non posso tirarmi indietro. Giocai la partita, credendo di entrare nel giro. Uno dei due australiani mi disse: “Hei, welcome to the Pink Flamingo Team!”.

 

Ecstasy 8

Welcome to the Pink Flamingo Team!

 

The Pink FlamingoTeam – quello che è accaduto realmente

“In realtà era una semplice partita di cricket tra amici. I professionisti erano solo dei giocatori molto bravi. Nessuna copertura. Nessun’offerta segreta di entrare nel giro della droga. Ho giocato quella partita ancora fatto e disidratato. Non ho preso una palla. Ero lento e spesso abbandonavo il campo alla ricerca d’acqua, mentre gli altri giocatori mi guardavano allibiti”.

 

Finale

Mi confessa che, per rimettersi perfettamente in sesto, dopo quella botta di quasi tre grammi, ci sono volute almeno tre settimane. Per tutto questo tempo è stato vittima di incubi, tremori e attacchi di panico. In quei momenti terribili vissuti nel club a Chapel street, in sottofondo c’era una canzone calda e frizzante. Ancora oggi, quando gli capita di sentirla, non riesce a dissociarla da quell’esperienza, provando una strana sensazione di sconforto. È un pezzo di Robin Schulz, con la voce di Jasmine Thompson. Si chiama Sun Goes Down.

 

Mi dice che il testo della canzone, in qualche modo, gli parla di quel trip. La prima parte fa così:

 

Nothings ever what we expect But they keep asking where I go next
Oh,were chasing the sunset
Go mind on you
It doesn’t matter where were on,on,on
It doesn’t matter where were on, on,on
It doesn’t matter, no

 

 

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