Qual è stato il momento più duro della tua carriera d’attore?

Non ci sono stati momenti particolarmente duri…in questo sono stato fortunato. Perché anche le scelte che ho fatto, che ha volte sono state scelte che apparentemente agli occhi della gente possono avermi leso – come lo stare due mesi a Striscia la Notizia e poi decidere di interrompere la collaborazione per dedicarmi ad altro – possono essere sembrate delle zappate sui piedi…
Invece mi hanno portato ad avere piena responsabilità delle cose che faccio…e la libertà in teatro è importantissima, la libertà di scelta è fondamentale per me. Probabilmente questo mi ha precluso i grandissimi teatri, ma non mi interessa. Mi interessa la libertà, che costa perché sono capocomico di una compagnia e ci sono le compagnie a finanziamento diretto, quelle statali che prendono finanziamenti dallo Stato, mentre io faccio parte di una compagnia privata, noi siamo privati…ma privati di tutto.

Un aneddoto particolare della tua carriera?

Essere visto da Monicelli. E’ stato bellissimo. Un giorno mi chiamarono per sostituire un attore durante una serata in onore di Monicelli alla Limonaia di villa Strozzi di Firenze. Ero poco più che trentenne e l’agitazione era molta. Io da piccolo sono cresciuto a pane e Brancaleone a differenza dei miei amici che avevano come modelli di vita i supereroi della Marvel. Quella sera erano presenti tanti attori che avevano lavorato con Monicelli come Amerigo Fontani e Marco Messeri, ma io no, ero la mosca bianca – quindi me la stavo facendo sotto – e dovevo interpretare frate Cipolla. E lo feci. Mi scrollai di dosso i timori, respirai a pieni polmoni e tirai fuori tutto me stesso. Alla fine della serata mi allontanai un attimo dal coro, iniziai a fumare una sigaretta, quando ad un tratto vidi Monicelli avvicinarsi verso me. Ero in palla, non sapevo che dire. “Maestro” gli dissi. “Vaffanculo” rispose.
Mi disse che non dovevo chiamarlo maestro. Si complimentò con me per la mia performance. Fu bellissimo. Di sicuro è stato uno dei momenti più belli della mia carriera.

Accanto ad un grande uomo c’è sempre una grande donna. Come è nata la tua storia d’amore e di comunione artistica con tua moglie?

E’ nata durante uno spettacolo. E secondo me è la cosa più importante, è quella che dà il colore a tutto il resto, al percorso che fai, dà le caratteristiche al percorso che fai.
E’ abbastanza rocambolesco come io e l’attuale mia moglie ci siamo innamorati perché è successo durante una tourée negli Stati Uniti con un musical…lei faceva parte del corpo di ballo. Io ero il primo attore e il regista e durante le prove estenuanti di quell’anno lì e per tutta la durata tournée ho perso completamente la testa per la prima ballerina del musical che era appunto mia moglie.
E da lì poi gioco-forza dell’arte e la vita…l’arte si mischia per forza alla vita, non vivo l’arte come un impiegato, anzi, deploro chi lo fa, disprezzo chi vive l’arte come una funzione impiegatizia.
Quindi c’è questa combinazione fra la vita biologica e la vita artistica…è una cosa piuttosto normale che lei si occupi di danza e io di teatro e che ci si incontri spesso e volentieri nei nostri spettacoli…mi sembra scontato ecco…perché la nostra vita familiare non ha confini con l’arte, le cose si mischiano abbondantemente…se non fosse così guai. L’arte è un’esigenza, sopratutto il teatro è una non scelta, il teatro lo fai perché non puoi fare a meno di farlo. E’ una malattia che non ha medicine…quando hai sintomi devi fare di tutto per farla peggiorare.

Se guardi indietro di circa vent’anni, che uomo era Alessandro Calonaci?

L’esperienza di vita ti cambia per forza…e il teatro anche…il teatro è l’unica forma d’arte che vive in un’unità di luogo e di tempo ben precisa…e in quell’unità di luogo e di tempo ha una corrispondenza con la vita di tutti i giorni. Sono cambiato con il teatro che ho fatto. Si dice che faccio un sacco di spettacoli differenti l’uno dall’altro, ed è vero. Questo crea delle turbe in molti miei colleghi di lavoro…e io sono molto contento di questo, vuol dire che sono sulla strada giusta. Da quando ero ragazzo, ma anche da prima che mi occupassi in maniera seria di teatro, sono sempre andato a cercare e mi sono sempre specchiato con degli autori quali Molière, Shakespeare, Boccaccio, Machiavelli, Dante…la differenza è che a quei tempi ero ragazzo insieme a loro…loro erano i miei amici dell’adolescenza, con loro io giocavo, uscivo e andavo a donne…
Dante è stato il professore, il maestro di vita e fondamentalmente sono cresciuto con loro e con loro ci sono sempre. Quindi è vero che faccio tanti spettacoli differenti però comunque alla fine mi incontro sempre con loro…e sono i miei amici più fedeli, quelli che non mi hanno mai tradito…e in teatro le pugnalate e i tradimenti sono all’ordine del giorno, ma fanno parte del gioco.
Le mie scelte negli spettacoli non sono mai pura vanità d’attore che sogna grandi ruoli da protagonista…a me interessa l’universo di quell’autore…ecco che di Molière voglio sapere tutto. Mi interessa proprio il percorso di vita che corrisponde con l’arte…ecco perché Amleto, che me lo porto dietro da una vita.

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C’è un autore in particolare che ti ha cambiato la vita?

Sono due: Dante e Dostoevskij su tutti. Sono i miei due maestri di vita. Sono seminali nella mia vita, sia in quella biologica che in quella d’artista…c’è un prima e un dopo Dante e Dostoevskij.
Memorie dal sottosuolo inizia con “Sono un uomo malato”, come inizia la Bibbia “In principio era il verbo”, o come Moby Dick “Chiamatemi Ismaele”. E’ un incipit folgorante, come pochi nella storia della letteratura. Le tre opere che mi hanno cambiato la vita sono la Divina commedia, Memorie dal sottosuolo e L’idiota.

Il principe Myskin per me è il personaggio più bello e più vero presente in letteratura.

Sì, anche secondo me.

Dostoevskij prepara tutto per il gran finale, ti carica di emotività dall’inizio alla fine e poi quando hai fra le mani le ultime pagine…le sfogli lentamente perché non vorresti finissero mai…e poi ti sconvolge sempre.

Io ho cercato di riportare queste sensazioni dostoevskiane in uno spettacolo che ormai rappresento da un anno che prende il titolo da Memorie del sottosuolo che poi non è altro che un mio approccio, l’ennesimo, con un autore in cui mi rispecchio che è Dostoevskij…e mai come oggi, in questo mio particolare periodo di vita Dante, Dostoevskij e Shakespeare mi hanno parlato.
Le tre opere che sto portando avanti tra le altre che però corrispondono in maniera spaventosa al mio momento storico, sono proprio, adesso, quei canti che porto della Divina commedia, Memorie dal sottosuolo e Amleto. Senza scordarmi mai delle mie radici…la più alta forma di teatro della nostra storia d’Italia non è stata quella del teatro di regia, che io rispetto ma non mi appartiene, quella di Ronconi o di Strehler, tanto per intenderci, ma il teatro di varietà, la rivista, che ha una valenza pari o addirittura superiore a quello che è stato Brecht in Germania. Accanto ai nostri tre grandi autori del Novecento del teatro italiano che sono Pirandello, Eduardo e Dario Fo, non ci sfigura affatto Petrolini o anche gli autori sconosciuti della rivista e dell’avanspettacolo.

Mi racconti qualche incontro-scontro con qualche collega.

Quando uno compie delle scelte per forza di cose si scontra con altri; litigate ce ne sono state.
Chi fra i colleghi ha avuto da ridire con me, o sono persone che hanno lavorato con me e sono andati via in malo modo…per tanti motivi, le incomprensioni, perché le scelte non coincidevano…e io sono il capocomico della mia compagnia, quindi al di la del carattere ho delle responsabilità oggettive; o sono persone che non sono mai riuscite a lavorare con me – questa è abbastanza cattiva come risposta, me ne rendo conto, ma mi hai chiesto la verità…
Non ho collaborato con molti registi in teatro, essendo io il regista e deplorando il teatro di regia…da ragazzo ho lavorato con diversi registi però non ho mai avuto grandi scontri…perché ho cercato di imparare qualcosa da tutti…in teatro è importante perché non smetti mai di studiare, di imparare…ma non solo da quelli sopra di te, ma anche da chi inizia. Con i colleghi sì, ma sai, noi lavoriamo in un ambiente dove c’è una forte competitività. Gli attori sono per antonomasia dei vanitosi, soffrono tutti del complesso della prima donna e quindi non è facile, io richiedo a quelli che lavorano con me cose non facili…non è assolutamente facile lavorare con me, però vedo che la gente vuole lavorare con me…non passa settimana che non abbia due o tre persone che me lo chiedono.

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Vista la tua non intensa attività cinematografica raffrontata a quella teatrale, cosa ti dà il teatro rispetto al cinema?

Non è vero che ho una carriera cinematografica, perché la mia carriera cinematografica è inesistente…anche perché a me non è mai interessato coltivarla. Non l’ho mai rincorsa…le poche cose che ho fatto e che faccio le faccio per due motivi, io non dico mai di no al cinema o per i soldi o per gli amici. Mi sono ritrovato proiettato anche in cose lodevoli, di un certo valore produttivo e in altre terribili…ma perché la carriera non la curo, non mi interessa, dovrei andare a Roma e io posso fare a meno benissimo del cinema ma non posso fare a meno del teatro. Ho partecipato a due puntate di Carabinieri e dopo la messa in onda ebbi un mese di provini senza avere un agente vero. Avevo un impegno in teatro con un’edizione di Amleto da me intitolata Amleto superstar e decisi di non fare saltare niente. Era una decisione che non mi è costata e non mi costa.
Ecco perché faccio pochissimo cinema, perché i quattrini sono pochi e li prendono i grandi protagonisti e di amici ne ho pochissimi…mi interessa molto di più il mezzo televisivo…lo trovo molto di più nelle mie corde. Mi piace sposare progetti di giovani che hanno idee…non mi capita spesso perché gli impegni in teatro sono molti…ho sposato il tuo progetto prima ancora di leggerlo perché ho fatto la scelta con te come la faccio con gli autori in teatro, perché interessato dal personaggio che sei. Per questo, quando hai tirato fuori L’attesa, ho detto sì senza battere ciglio. Non importa che di uno scrittore tu legga tutto il libro per capire se vale…basta un verso della Divina commedia o pagina 62 aperta a caso dell’Idiota per capire che Dante e Dostoevskij sono Pelé e Maradona.

E Goethe?

Mi interessa il mito del Faust in tutte le su declinazioni, quindi anche Marlowe e Sokurov che ha fatto un film spaventoso.

Progetti in corso e futuri?

Il 5 e il 6 dicembre sarò al tetro Lumière di Firenze. Porto in scena Il malato immaginario di Molière. Quindi il consiglio che posso darvi è di venire numerosi. Il divertimento è assicurato.