Quello di Allen Ginsberg sarà ricordato come uno dei migliori poemi del Novecento, l'Urlo profetico che ha rappresentato un'intera generazione.

Sulle orme di Walt Whitman, Allen Ginsberg traccia il suo Urlo. Quando il poeta diventa un tutt’uno con la sua poesia: una lunga, inarrestabile e selvaggia descrizione del mondo di Allen, versi immortali, letti in pubblico per la prima volta il 13 ottobre del ‘55 al Six Gallery di San Francisco.

 

Ginsberg ha dedicato il suo poema – famoso in ogni parte del globo – a Carl Solomon, un amico, paziente dell’ospedale psichiatrico a Rockland, lo ha dedicato alle migliori menti della sua generazione, ai suoi amici artisti e folli, a tutti i Neal Cassady, ai Jack Kerouac e a chi per loro, è un lungo e impetuoso poema di mondo, per il mondo, per tutte le generazioni, e forse non ancora pienamente compreso e inteso nelle più profonde pieghe delle sue pagine.

 

“Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia, affamate isteriche nude

strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia

hipsters testadangelo bramare l’antico spaccia paradisiaco che connette alla dinamo stellare nel meccanismo della notte,

che povertà e stracci e occhiaie fonde e strafatti stavan lì a fumare nel sovrannaturale buio di case con acqua fredda librati su tetti di città contemplando jazz”

 

 Così – sballando gli equilibri costituiti della tradizione poetica e non solo – Allen dà inizio al suo urlo.

 

Allen Ginsberg 1

Ginsberg durante la prima lettura dell’Urlo, alla Six Gallery di San Francisco (1955)

 

 

 A quel reading alla Six Gallery si consacrò non solo un poeta ma soprattutto un profeta, che in qualche modo è riuscito a sbalordire miriadi di scheletri umani intorpiditi nella concatenante autodistruzione dell’America post-bellica, inespressiva, inadeguata, mezzo-sogno e mezzo-incubo, crudele e affamata, pronta a divorare immaginazione e libertà. E non a caso, non appena “Howl” fu pubblicato dalla piccola e intraprendente casa editrice “City Lights Books” (dell’amico poeta e scrittore Lawrence Ferlinghetti – che ricordiamo anche essere il proprietario della famigerata cabin a Big Sur dove, tra gli altri, soggiornò Kerouac)  subì un processo per oscenità: chi l’ha letto saprà che contiene numerosi riferimenti a droghe e pratiche sessuali sia etero che omosessuali, e ad una società così bieca e conservatrice non andava affatto giù; ma ad averla vinta furono i due poeti in quanto – a detta del giudice – censurare Howl avrebbe segnato un’evidente e anticostituzionale limitazione sulla libertà d’espressione.

 

Dentro quelle pagine c’è il mondo di Allen così com’era, e usare altre parole significava falsificare la realtà, ma questa lettura da sola non rende comunque giustizia alla totalità pulsante di quest’opera chiave della Beat Generation, leggere per credere.

 

“…che scomparivano nei vulcani del Messico non lasciando che l’ombra dei jeans e la lava e ceneri di poesia sparse nel focolare Chicago,

che riapparivano sulla West Coast indagando sull’ FBI, barbuti e in calzoncini con grandi occhi pacifisti sexy nella pelle scura distribuendo volantini incomprensibili,

che con sigarette si bruciavan buchi nelle braccia per protesta contro la foschia tabacco narcotica del Capitalismo,

che diffondevano manifesti Supercomunisti in Union Square piangendo e spogliandosi mentre le sirene di Los Alamos li zittivano col loro grido, ululando giù per Wall e ululava il ferry di Staten Island,

che crollavano piangendo in palestre bianche nudi e tremanti davanti al macchinario di altri scheletri,”

 

e ancora

 

 “…che copulavano estatici e insaziati con una bottiglia di birra col moroso con pacchetto di sigarette con candela e cadevano dal letto e continuavano per terra e giù nell’ingresso finendo svenuti contro il muro con una visione di superna figa e venute eludendo l’ultima sborrata della coscienza”

 

Queste ed altre avventurose, allucinanti sequenze sono incastrate tra i cunicoli di queste pagine del quotidiano, che viene come schiacciato e abbandonato sul bordo di una tortuosa strada.

 

“Urlo” è il cuore di quella generazione distrutta da follia, dal “Moloch” che si lasciava dietro morte, petrolio, povertà, pazzia e ciucciacazzi, e drammi suicidari ed eterne partenze e leggendarie storie dei protagonisti di queste favolose disfatte e idilliache allucinazioni. Dissacrante, con stile ipnotico e visionario, cementato nel suo verso lungo e spontaneo, ripreso da “zio” Walt Whitman.

 

 “Moloch il cui amore è petrolio e pietra senza fine! Moloch la cui anima è elettricità e banche! Moloch la cui povertà è lo spettro del genio! Moloch il cui fato è una nube di asessuato idrogeno! Moloch il cui nome è mente! Moloch in cui mi siedo solo! Moloch in cui sogno angeli! Pazzo in Moloch! Ciucciacazzi in Moloch! Senz’amore e senza uomo in Moloch!”

 

Il Moloch è tutto ciò che annebbia, corrompe, annulla e denigra: viviamo in un Moloch, giusto? In altre parole, Allen ha urlato il suo orgasmo al mondo intero, un grido volgare, reale, senza peli sulla lingua, un gridolino di piacere, spiattellando un disastroso avvenire, dettato da un capitalistico oblio che ingoia le qualità migliori della natura umana, e fornendoci ogni dettaglio di vita; e declamando e ricordando che ogni cosa al mondo è sacra, anche il cazzo:

 

“Il mondo è santo! L’anima è santa! La pelle è santa! Il naso è santo! La lingua e cazzo e mano e buco del culo santi!”

 

“Urlo” è una rapsodia surreale e reale al tempo stesso, un lungo assolo che si contorce all’infinito e che segna un punto di non ritorno, o quasi.

E voi, siete sicuri di non aver già visto le migliori menti della vostra generazione distrutte da pazzia?