Da dietro la porta.

Claude spuntava solo con la testa, sorrideva e faceva “ciao” con la mano; Jennifer mentre chiudeva la porta salutava allegra: “Alla prossima Henry! Margareth, non dimenticarti di dare un bacio ai tuoi due tesori. C’è dispiaciuto molto (Claude annuiva) che non li abbiate portati, la prossima volta non venite a cena se non vengono anche loro! (Claude annuiva nuovamente)”. La porta poi si richiuse.

Henry era già nell’ascensore con il dito posato sul tasto “0” quando entrò Margareth: spinse il tasto. Le porte automatiche si sarebbero chiuse se Margareth con un gesto improvviso non avesse passato la mano davanti alla fotocellula. Le porte si riaprirono. Margareth guardò il marito e avvicinandosi al suo orecchio gli sussurrò: “Non fiatare” accostando l’indice alla bocca. Lui in prima battuta pensò che la moglie si fosse dimenticata qualcosa ma quel “non fiatare” lo metteva in confusione. La situazione divenne per lui del tutto anomala quando vide la moglie appoggiarsi con la guancia destra alla porta dalla quale erano appena usciti e dove all’interno si trovavano quei cordialissimi amici con cui avevano senza dubbio passato una piacevole serata. Con lo stesso indice con il quale lo azzittì, Margareth gli fece cenno di avvicinarsi. In genere, anche se borbottando, acconsentiva ad ogni stramberia della moglie ma questa superava di gran lunga tutte le precedenti. Fece un secco cenno di no con la testa. Si aspettava di essere rimbrottato, invece quello che vide fu un cambiamento repentino nel volto della moglie che non poteva essere collegato al suo rifiuto e poi, vide una lacrima scendere sul viso della moglie. Si avvicinò ed appoggiò la guancia sinistra alla porta così da guardare negli occhi la moglie. Quello che ascoltò Henry fu molto doloroso: risate per una battuta che doveva essere stata molto divertente. Silenzio. Voce di Jennifer: “Era davvero bella prima dei due figli ma la peggio l’ha avuta Henry”. Risate. Rumore di stoviglie. Claude: “Non se ne andavano più, ho pensato rimanessero qui a dormire”. Risate. Jennifer: “E perché credi che nell’ultimo quarto d’ora ho iniziato a punzecchiarli con i poveri figli da soli a casa?”. Silenzio. Claude: “Ha funzionato, io avevo pensato di presentarmi in salone col pigiama”. Risate. Una finestra che si chiude. Claude: “Devi però capirli, non hanno tante occasioni per uscire e quando gli capita, forse, non vorrebbero che finisse più”. Silenzio. Voci ovattate incomprensibili. Passi. Claude: “Senti, secondo me se la sono cercata, pure il cane si sono presi, sai che calcio gli davo io”. Jennifer: “Claude! Non esagerare, era della mamma di Henry. Che dovevano fare portarlo al canile?”. Claude: “No, non dovevano permettere ad una paraplegica ottantenne di farsi il cane. A chi vuoi che andasse poi? Non dirmi che pensavano che campasse più del cane?”. Voci ovattate. Silenzio. Passi. Acqua che scorre. Rumore di stoviglie. Passi. Silenzio. Quello che non ascoltò Henry ma che invece ascoltò Jennifer fu molto crudele: Claude: “Con i figli? Spero che scherzassi? Sembrano ritardati! L’ultima volta si sono tuffati dal bracciolo del divano, con le scarpe, e l’unico commento che ha fatto Jennifer è stato – sono un po’ vivaci”. Jennifer: “Certo che scherzavo, anche se con i figli sono molto meno pesanti. Mi è sembrato di stare insieme per un mese”. Risate.

In macchina, nei pochi chilometri che li distanziavano da casa, non scambiarono una sola parola. Claude e Jennifer li conoscevano dai tempi dell’università, avevano passato tantissimi momenti insieme e, forse, proprio a quelli stavano pensando nel loro silenzio. Forse, sarà baluginato nella mente dei due, anche in altre occasioni, e forse anche con altri amici, saranno stati oggetto di scherno e di offese.

Dopo aver parcheggiato la macchina nel viale entrarono in casa. Lula si avvicinò scodinzolando mettendosi a pancia all’aria. Margareth senza prestarle tanta attenzione si avvicinò al divano e diede un piccolo colpo, quasi una carezza, a Giuly, la ragazza che da due anni si occupava dei loro figli nelle rarissime occasioni in cui Margareth ed Henry si prendevano del tempo per loro. La ragazza che dormivegliava, di scatto si destò e con un po’ d’imbarazzo, che sempre provava quando veniva svegliata, si stropicciò la faccia e si mise in piedi; poco dopo andò via. Margareth ed Henry andarono ancora con i cappotti indosso in camera dai loro bimbi, Lucas e Agnes, e rimasero per un certo tempo in piedi con Lula in mezzo alle gambe, a fissarli; poi, si abbracciarono e sorrisero. Margareth iniziò a ridere in modo scomposto ed Henry senza conoscerne il motivo le andava appresso. Si baciarono, lì in piedi, e in quella stanza c’era tutto quello di cui avevano bisogno, il loro mondo, le loro vite. Lì fuori sarebbe potuta bruciare ogni cosa e non li avrebbe toccati, neppure sfiorati. Si avvicinarono e a turno baciarono i piccoli e, con tenerezza, mettendosi in ginocchio, accarezzarono anche Lula.

Poi, Margareth guardò il marito, e avvicinandosi al suo orecchio gli sussurrò: “Guarda che faccio”. Andò velocemente in salone, prese il cordless e compose un numero: Henry rimase ad osservare.

-Pronto?

-Sì, chi è?

-Ciao Jennifer, spero di non avervi svegliato?

-Ohi Margareth, no, eravamo sveglissimi, ti sei scordata qualcosa?

-No, no, era per dirvi che questa serata è stata davvero stupenda.

-Grazie mille siamo stati benissimo anche noi.

-Sì, be, proprio per questo vi chiamavo. Io ed Henry ci siamo sentiti un po’ in colpa di non aver portato Lucas ed Agnes e visto le vostre insistenze dobbiamo per forza rifarci. Perché non ci vediamo domani sera?

-…Domani?

-Se non potete anche dopo domani? Pure da noi?

-E…lo sai però che Claude è allergico ai peli.

-Ma sempre da voi mi dispiace! Vabbè! Se non si può fare altrimenti allora facciamo per dopo domani da voi?

-Veramente…

-Avete altri impegni?

-…eee…Dai…Va bene…

-Grazie, siete proprio degli amici speciali. Da oggi in poi mai più senza Lucas ed Agnes, promesso. Buona notte.

-Buonanotte.