Da Aristotele a Freud andiamo a scoprire i legami tra la creazione artistica e la patologia.

L’arte e la creazione artistica hanno sempre avuto una posizione particolare rispetto ad altri artefatti umani. Così come l’esperienza artistica di contatto, nella nostra cultura riserva una speciale considerazione: una dimensione separata dalla vita quotidiana, prerogativa di specialisti detentori di un sapere arduamente accessibile.

 

Riportare tale dimensione a un livello di commestibilità quotidiana può essere un obiettivo della psicologia. In particolare, mostrare come la creazione artistica fa parte delle normali facoltà e modalità di espressione e assimilazione umane era già stato lo scopo di alcuni filosofi e pensatori del passato. J. Dewey, ad esempio, si dedicò allo studio dell’arte con lo scopo di cercare di “…ricostruire quella continuità tra le opere d’arte, i fatti, le azioni e le passioni di tutti i giorni, che sono universalmente costituitivi dell’esperienza”. La concezione per cui l’artista e la sua opera sono totalmente staccati dall’esperienza terrena fu aspramente criticata dall’autore, il quale propose invece come punto di partenza l’osservazione della quotidianità, alveo in cui l’artista nasce insieme alla sua opera.

 

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John Dewey si dedicò all’analisi della creazione artistica

 

L’arte si distingue tra le varie forme di comunicazione in quanto non strumentalizzata per un fine esterno rispetto al suo svolgimento, ma progenitrice di esperienze finali o “consumatorie”, il cui fine si trova nel suo stesso svolgimento. La linea di congiunzione tra la creazione artistica e il prodotto finito passa attraverso il carattere distintivo dell’esperienza consapevole dell’artista, in particolare, quando quest’ultimo crea non concede altro che l’opportunità di dare forma alla sua esperienza, lasciando trasparire la sua motivazione intrinseca. La motivazione diventa forza per canalizzare il vissuto in una creazione in grado di trasformare l’esperienza stessa. R. M. Rilke parla di ascolto dell’esperienza:

 

“Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe di un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza; questo solo si chiama vivere da artista: nel comprendere come nel creare.”

 

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Anche lo scrittore Rainer Maria Rilke si interessò al processo della creazione artistica

 

Ma che cosa si intende per voce dell’esperienza? La psicologia, in questo caso, può essere utile come strumento in grado di scomporre la griglia dimensionale soggettiva dell’esperienza in modo da semplificare in un insieme di sottoparti più comprensibili quello che è difficile da prendere in considerazione come concetto nella sua interezza.

 

Immaginazione

La dimensione che funge da riferimento per scalfire l’integrità dell’esperienza è l’immaginazione o creatività. “Non si può raggiungere la conoscenza senza attraversare l’immaginazione, senza la capacità d’inventare, di usare la fantasia; senza esercitare il pensiero creativo: l’ideare elementi che consentano l’accesso alla conoscenza della realtà”, spiega Lorenzetti, che presenta l’immaginazione come pensiero euristico artistico.

 

L’immaginazione come pensiero euristico e artistico è punto di intersezione tra arte e conoscenza. L’atteggiamento euristico abbraccia sia il mondo esterno che interno all’uomo, è il reale promotore della scienza e dell’introspezione. Cosa accade nel poeta o nell’artista nel momento in cui si sente spinto a creare? Arieti parla di creatività come Sintesi magica. Ma sintesi di che cosa? Il segreto della creazione artistica (estetica) non consiste solo nella capacità di trasformare i propri sentimenti, ma di far combaciare più elementi, che investono anche l’aspetto più razionale del pensiero. L’immaginazione può essere intesa, oltre che come modalità conoscitiva (logica e/o estetica), come facoltà autopoietica, strumento di trasformazione (guaritiva e autorealizzante). L’arte così supera l’espressione di mera forma gnoseologica e rigetta la possibilità di essere compresa attraverso l’accostamento alla sua forma in sé. La forma ha il suo effettivo significato se la si considera in rapporto a quel materiale che essa stessa trasfigura.

 

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Jackson Pollock durante la creazione artistica

 

Non esiste contagio di sentimenti o funzione edonistica dell’arte, ma è proprio il processo della creazione artistica che attua una metamorfosi dei sentimenti umani. E il senso di tale metamorfosi sta nell’innalzamento dei sentimenti stessi dalla sfera strettamente individuale a quella universale, per divenire, infine, sentimenti sociali: così il senso e la funzione di una poesia sulla felicità non stanno affatto nel trasmettere a noi la felicità dell’autore, nel contagiarci con essa, bensì nel trasformare questa felicità in modo che, agli uomini, si riveli qualcosa di nuovo, in una più alta e umana verità di vita.

 

Vissuto Corporeo

La separazione tra anima e corpo, vissuta con panico e terrore nella Storia, oggi è stata superata nella consapevolezza della loro integrazione: in particolare quando parliamo di processo creativo, il legame tra spirito e carne è ancora più evidente. Infatti, sotto il sapere oggettivo e logocentrico, l’artista ritrova una realtà più profonda fatta di sensazioni, vissuti emozioni, tremori, ritrova ancora prima il contatto col proprio corpo.

 

È proprio attraverso il vissuto corporeo che possiamo interrogarci, ponendo le sensazioni come prime testimoni di una realtà vissuta dove le immagini, i desideri, le emozioni e le parole non prendono vita, ma diventano carne. Il corpo è sorgente di esperienza e conoscenza, e nell’ascolto delle sue componenti emerge la consapevolezza dei propri vissuti. Dato che la vita scorre nella percezione automatizzata di eventi e vissuti, la consapevolezza tende a essere soffocata e risulta davvero faticoso distinguere il vissuto noto da quello non noto. Dato perciò che la mente avanza sulla base di rappresentazioni sedimentate e predominanza di automatismi, il progetto dell’artista si basa sull’immobilizzazione di questo processo facilitando un ascolto, orientando l’attenzione dove la routine macina ogni novità e visione.

 

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La creazione artistica di Bukowski

 

Vygotskij sostiene che normalmente «la cosa ci passa accanto come impacchettata: sappiamo che c’è dal posto che essa occupa, ma ne vediamo soltanto la superficie. Scopo dell’arte è dare la sensazione della cosa, come d’una cosa veduta e non già avvistata». In questo senso l’arte diventa la rieducatrice che propone una modalità particolare di relazione con l’ambiente: con la possibilità di attingere al non noto. Difficilmente viviamo in un continuum di consapevolezza, ma l’arte riesce a scomporre l’equazione della vita nel tempo, aprendo la porta a nuovi contenuti utili al processo creativo. Ma la consapevolezza dei propri vissuti non è arte; per tale trasformazione è necessario un vero e proprio atto creativo, inteso come superamento del sentire personale.

 

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Secondo Vygotskij lo scopo della creazione artistica è dare la sensazione della cosa, come d’una cosa veduta e non già avvistata

 

Allo stesso tempo trascendere la consapevolezza e sbirciare nei contenuti comporta una capacità di regolazione e assorbimento che si legano direttamente al concetto di empatia. Il confrontarsi con se stessi o con un oggetto esterno (ad esempio un’opera d’arte) può determinare una immedesimazione tanto forte da avvicinarsi al concetto di imitazione interna o isomorfismo, nocivo per l’essere umano stesso. Ecco che qui entra in gioco quella che viene chiamata catarsi. Il concetto di catarsi, introdotto anche da Freud nei suoi studi sull’arte, è stato utilizzato per la prima volta da Aristotele per designare l’effetto provocato nello spettatore dalla tragedia

 

«Tragedia è mimesi di un’azione seria e compiuta in se stessa la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni».

 

Purtroppo sono sorte non poche contraddizioni tra gli studiosi nell’esplicazione del concetto, in particolare alcuni ritengono che l’autore parlasse di purificazione delle passioni in senso etico, come se l’arte ‘sublimasse’ le stesse passioni; mentre altri hanno inteso nel termine il senso di liberazione psicologica contemporanea dalle passioni. Secondo quest’ultima direzione di studi, Aristotele con il concetto di catarsi intendeva che noi, vedendo rappresentata artisticamente una passione la contempliamo a distanza, smorzando l’effetto emotivo immediato che potrebbe suscitare. Per cui vedere oggettivati i nostri difetti può aiutarci a diventare consapevoli: guardare dall’alto le passioni negative contribuisce ad una liberazione da esse.

 

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Aristotele con il concetto di catarsi intendeva che noi, vedendo rappresentata artisticamente una passione la contempliamo a distanza

 

Breuer e Freud (che ricordiamo anche per il saggio Uber Coca) hanno ripreso questo termine per designare l’effetto atteso di una “abreazione” adeguata del trauma. È noto infatti che secondo la teoria sviluppata in Studi sull’isteria, gli affetti che non sono riusciti a trovare la via verso la scarica rimangono bloccati, esercitando così un’azione patogena. Più avanti Freud scrive:

 

«La guarigione avverrebbe con la liberazione dell’affetto malamente indirizzato e con la scarica del medesimo per la via normale (abreazione)».

 

Secondo Muret:

 

«ciò che caratterizza il processo catartico è la partecipazione emozionale del soggetto, attraverso una riattualizzazione del passato o di una realizzazione simbolica del fantasma. Questo processo si svolge spesso in clima di trance, cioè di rimozione dell’inibizione donde l’inconscio può affluire alla coscienza. Il concetto aristotelico di catarsi non contiene soltanto l’idea di espulsione dell’emozione, ma anche di elaborazione e formazione di quest’ultima: la forma scelta può essere la tragedia, la danza o il disegno. L’autentica catarsi è più di un semplice spazzare il camino psicologico, è una trasposizione, una trasformazione dalla natura all’arte (dalla pulsione alla rappresentazione)»

 

 

Esperienza artistica e patologia

Il collegamento tra esperienza e patologia deriva proprio da quel processo di immobilizzazione del vissuto quotidiano accostato al neonato impulso di sbirciare il non noto senza essere in grado di oggettivarlo, ovvero assorbirlo e non avere gli strumenti per non esserne contagiati, anche nocivamente.

 

La psicoanalisi si è occupata, da Freud in poi, dell’esperienza estetica, sia per quanto riguarda la fruizione, sia per la creazione dell’opera. L’interesse della psicoanalisi per tale esperienza nacque dal riscontro di un legame tra creatività e psicopatologia. In particolare, Freud compì degli studi sulla personalità dell’artista ne Il poeta e la fantasia. Egli trovò nella fantasia e nel gioco infantile la risposta alla curiosità relativa a dove l’artista traesse la materia per elaborare la sua opera.

La fantasia rappresenta una valvola di sfogo di tensioni inconsce che altrimenti non si potrebbero esprimere in modo adeguato, i desideri insoddisfatti divengono le forze propulsive della fantasia, la quale ha pertanto lo stesso significato dinamico del sogno e può essere posta in relazione con la patologia mentale; il poeta riesce a servirsene in modo integrato, riesce a esprimere e comunicare dei contenuti che saranno poi oggetto di fruizione. Secondo Freud, le esperienze infantili influenzano fortemente l’opera dell’artista maturo.

 

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Freud, qui ritratto da Warhol, compì degli studi sulla personalità dell’artista e la creazione artistica ne Il poeta e la fantasia

 

Per esempio egli prese in esame uno dei famosi dipinti di Leonardo da Vinci, La Vergine e Sant’Anna, in cui le due donne appaiono entrambe con Gesù Bambino, contrariamente alle rappresentazioni abituali della Sacra famiglia. Freud sostiene che Leonardo aveva il bisogno di riprodurre un ricordo infantile, infatti egli era stato allevato da due madri, la vera madre biologica e quella legale, moglie del padre.

 

Nel saggio ll Mosè di Michelangelo, Freud sostiene che l’attrazione che un’opera può esercitare sul fruitore è legata all’intenzione che l’artista riesce ad esprimere. Psicoanalisti più recenti, pur partendo dalle formulazioni freudiane, si sono concentrati maggiormente sull’analisi formale delle opere, sostenendo l’ipotesi che vi sia una innata attitudine estetica a cogliere i significati attraverso il bello. Attitudine che, secondo Fornari, ha le sue fondamenta nella capacità di sperimentare il buono (esperienza dell’allattamento) e il bello (relativo al volto della madre).

 

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Leonardo da Vinci, La Vergine e Sant’Anna

 

Altri autori hanno parlato di una innata disposizione a fare esperienze del sublime. Probabilmente vi è nella psiche una inclinazione ad essere esteticamente impressionata (preferenze per relazioni formali simmetriche, cromatiche ecc.), condizione necessaria allo sviluppo, e non conseguente.

 

«Un simile atteggiamento conoscitivo, fondato su una ricerca di qualità dell’oggetto, svincolato da pulsioni o da bisogni, può essere ritenuto il fattore estetico dei processi sublimatori, che presiede a tutte le attività esplorative e costruttive, sociali, intellettuali e artistiche».

 

Ne Il poeta e la fantasia, è Freud stesso a sottolineare l’importanza delle qualità formali di un’opera d’arte. La creazione di una forma iscrive le manifestazioni dell’inconscio, rende quest’ultimo ammissibile, liberandolo dal rigore normativo del super-io. Il linguaggio artistico offre un nuovo ordine in cui si può fare l’esperienza della realtà inconscia, senza tensioni. La sublimazione si configura in conclusione come arte dell’espressione inconscia, una sorta di retorica dell’inconscio,  di principio creativo che sottrae gli impulsi alla rimozione.

 

Perciò, secondo la prospettiva psicoanalitica, la creazione rappresenta la sublimazione. Quest’ultima intesa come sorta di conversione da uno stato (o piano di esistenza) più basso a uno più alto. E in questo processo l’unità originaria viene ripristinata; Loewald parla di “differenziazione progressiva che culmina in una nuova organizzazione sintetica di esperienza unitaria”. Freud accosta la sublimazione alla capacità difensiva dell’Io di deviare un’attività umana (che apparentemente non ha nessun rapporto con la sessualità, ma che trova la sua genesi nella pulsione sessuale) verso una nuova meta, non sessuale appunto, e socialmente pertinente.

 

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Stanley Kubrick durante la creazione artistica nel suo cinema

 

Dunque per Freud la persona creativa sarebbe un individuo frustrato che non riesce a trovare appagamento nella gratificazione sessuale o in altri aspetti della vita e che di conseguenza cerca di trovarlo nella creatività. La sublimazione avviene attraverso una trasformazione della libido oggettuale in libido narcisistica, mediante una trasformazione interiorizzante della pulsione o del desiderio. Una volta che la dimensione intrapsichica si è differenziata da quella interpersonale, avviene una trasformazione delle relazioni oggettuali in interazioni intrapsichiche. Dunque il percorso verso la sublimazione è quello dell’interiorizzazione, attraverso cui la natura degli oggetti e delle relazioni oggettuali subisce un cambiamento.

 

La creazione altalena i suoi significati tra tentativi di realizzare i propri vissuti e sublimare dei desideri inconsci che non hanno ragione di esistere in una società fondata su principi razionali: può risultare sconcertante realizzare che quasi tutta la cultura che pulsa nei nostri corpi si fondi di frustrati tentativi umani di rappresentare il valico tra il noto e il non noto, che non si adatta al sociale.

 

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