La sesta puntata di Cronache dalla metro B ci dimostra come i posti a sedere siano l’elisir di sopportazione del viaggiatore metropolitano.

Hai presente quanto sono contrario a cedere spontaneamente il posto a chi ne ha più bisogno di me? Cioè, scusa, volevo dire a chi crede di averne più bisogno di me? Bè, è accaduto che per una volta l’ho ceduto volentieri.

 

Se stai pensando alla stalker incinta sei fuori strada: non l’ho più vista dall’ultima volta e con lei ho chiuso con l’altruismo verso le donne in gravidanza. Dovrebbe sentirsi in colpa per questo: se non mi avesse importunato due giorni di seguito costringendomi a cederle il posto con la sua voce acida e scortese (“per piacere, che mi farebbe gentilmente sedere?”), oggi forse sarei nei confronti del sesso debole in stato interessante più disponibile. Anche se la mia avversione verso le donne incinte in metro credo che nasca da tutte quelle volte che, prima d’incontrare la stalker maleducata (con lei ho messo un punto definitivo), ho offerto il posto a donne che con fare furbo e malizioso accarezzavano quello che io avevo scambiato per un grembo materno ma che poi si rivelava, dopo un attenta osservazione, del comunissimo lardo addominale.

 

Difatti la mia cavalleria in queste occasioni è stata sempre umiliata perché o si offendevano, o se ne approfittavano. Solo in seguito ho scoperto che in metro tutte le donne si toccano la pancia almeno una volta e credo che lo facciano deliberatamente solo per metterti alla prova. Anche qualche uomo lo fa, ma mi vedo bene dall’offrirgli il mio posto. La regola generale comunque, rimane la seguente “tra le 8:10 e le 9:15 e tra le 17:50 e le 19;00 nessuno deve entrare in metro e pretendere un posto che sia a sedere o che sia in piedi”, con nessuna eccezione. Lo so che la conosci ma ci tenevo a farti sapere che non è cambiata di una virgola. Del resto se sei riuscito ad entrare nel convoglio nella suddetta fascia oraria, superando: quelli di lotta comunista che ti vogliono regalare il loro giornale, gli alpini armati, i tornelli che non funzionano, le scale mobili sempre rotte, le comitive di Russi albini, la banchina selvaggia, gli spintoni, allora sei abile anche a viaggiare in piedi.

 

Quindi a questo punto mi chiederai: ‘perché mai hai ceduto il tuo posto?’. La risposta non è semplice e coinvolge ampi campi della psicologia nonché della filosofia, soprattutto se tieni conto di quanto brevemente ti esporrò: 1) il fatto è avvenuto alle ore 18:35; 2) il treno era il modello con finestrini e senza aria condizionata (l’MA-200); 3) il treno era in direzione Laurentina ed aveva da poco sorpassato la fermata di Cavour; 4) il soggetto destinatario del mio posto era di sesso maschile; 5) l’età era sicuramente al di sotto dei 25 anni; 6) non aveva alcun problema fisico, tant’è che viaggiava serenamente in piedi, senza doversi reggere alle sbarre per tenersi in equilibrio. “Quindi perché diavolo l’hai fatto?”, ti starai domandando?

 

Sai, talvolta la paura mi fa fare gesti incondizionati che tendono a preservare il mio corpo dalla morte, e tutto sommato ciò la ritengo una fortuna. Questo mio aspetto magari ti era ignoto, ma del resto la psicologia umana è sconosciuta ai più e, talvolta anche a se stessi. Ed è la paura, seppur irrazionale, che mi ha fatto agire. Paura che in me trae origini dalle radici filosofiche alle quali faccio continuamente ricorso. Due sono i postulati che hanno determinato, in questa occasione, la mia azione: il primo risale ad un antico filosofo di nome Murphy, e dice “se una cosa può andar male, lo farà” (dettato che ha segnato quasi tutte le azioni della mia vita); il secondo invece ha una derivazione sconosciuta ma a Roma è quasi un comandamento “mai na gioia”.

 

Detto ciò, il ragazzo destinatario del mio gesto caritatevole si trovava di fronte a me: era alto, capelli dritti e biondi, occhiali da sole, no orecchini nè tatuaggi visibili, no sudore, no puzza di alcol, no sporco, no barba, jeans integri, scarpe da ginnastica non arancioni e t-shirt. Insomma un tipo assai strano, e mi verrebbe da dire sospetto, di quelli che in metro ti saltano subito agl’occhi. Ma non è per questo che ho agito. La ragione principale è stata quella sua noncuranza con cui maneggiava un paio di forbici di ferro lucido da almeno 20 centimetri senza reggersi ad alcun sostegno; le passava da una mano all’altra con una sinistra sicurezza, a volte abbassava il braccio, le faceva scattare velocemente per poi ri-impugnarle minacciosamente.

 

Tutto ciò, oltre al mio modo di essere, mi ha fatto fare la seguente considerazione “vuoi vedè che sto cojone cade e quelle cazzo di forbici si vanno a conficcare per tutta la loro lunghezza nella mia pancia!”. L’ho guardato, aspettato che non mi stesse guardando e poi con disinvoltura mi sono alzato. Non so se ho fatto bene ma di due cose sono certo: 1) sono ancora vivo; 2) quello era popo ‘n cojone.

 

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