La magistrale arte creativa di David Foster Wallace apre uno spiraglio oltre la letteratura uniformata e ripetitiva, specchio di un identico modo di vedere la vita.

Questa osservazione di Zadie Smith, che conclude un suo intervento su alcuni scrittori statunitensi di oggi, mi ha dato lo spunto per una riflessione su David Foster Wallace, il «principe nero della letteratura americana», divenuto ormai un personaggio iconico:

 

«Almeno un secondo di pensiero non mediato, per favore, è questo il nuovo imperativo della letteratura occidentale. Mentre una volta infatti qualunque scrittore sognava di tornare ai verdi boschi e ai ruscelli mormoranti di Virgilio, gli scrittori di oggi desiderano solo scrivere una frase d’effetto che non sia stata già usata per vendere un deumidificatore, una Pepsi o delle supposte».

 

Mentre leggevo le sue raccolte di racconti – La ragazza dai capelli strani (minimum fax, 2003), Brevi interviste con uomini schifosi (Einaudi, 2000), Oblio (Einaudi, 2004) – mi sono chiesta spesso perché lo scrittore dell’Illinois sia così popolare, dato che leggerlo non è certo facile. David Foster Wallace è ben lontano dal rischio di far somigliare le proprie frasi a slogan pubblicitari: il suo è uno stile unico, la cui difficoltà è ormai ben nota. È un autore che, più di altri, esige impegno dal lettore, anche quando si tratta di racconti brevi e non del suo romanzo enciclopedico Infinite Jest.

 

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Infinite Jest di David Foster Wallace non è una lettura troppo facile, ma ripaga di tutto l’impegno richiesto

 

Detto questo, vale la pena di affrontare la fatica imposta dai suoi libri? Che cosa c’è dietro la complessità della scrittura di David Foster Wallace?

 

In buona parte, le caratteristiche narrative dei suoi racconti sono tipiche del cosiddetto postmodernismo (già toccato nel nostro articolo su Don DeLillo e il fascino verso l’apocalisse): ad esempio la mancanza della struttura tradizionale della storia, intesa come una successione logica di eventi nel tempo, e la rinuncia alla definizione a tutto tondo dei personaggi. Eppure, di questo c’erano tracce ben visibili già nella letteratura del Novecento: basta pensare al surrealismo, a Ulisse di Joyce o, per restare in Italia, al romanzo sperimentale La coscienza di Zeno.

Il grande elemento di distinzione tra la narrativa novecentesca e quella successiva è ben espresso dalla citazione iniziale di Zadie Smith: gli scrittori occidentali contemporanei implorano «almeno un secondo di pensiero non mediato», immersi in una società in cui i media filtrano implacabilmente i pensieri e le immagini.

 

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Zadie Smith ha scritto anche la intro per Brevi interviste con uomini schifosi

 

La forza dei racconti brevi di David Foster Wallace risiede proprio in una profonda riflessione sui meccanismi della TV e di Internet, capaci di mediare senza sosta il nostro sguardo sulla realtà. E non a caso, alcuni dei racconti più intensi delle sue raccolte sono dedicati al mondo dell’intrattenimento mediatico (Piccoli animali senza espressione e La mia apparizione in La ragazza dai capelli strani, Il canale del dolore in Oblio).

 

Wallace sembra dirci che, anche se non ce ne rendiamo conto, il nostro modo di guardare gli altri e di entrare in contatto con loro deve molto alla televisione. Quando rivolgiamo uno sguardo a qualcuno, ne individuiamo alcuni tratti salienti e lo caratterizziamo in base a quelli, senza andare in profondità; al tempo stesso, viviamo con la consapevolezza di essere continuamente guardati e, quindi, cerchiamo di esaltare certe nostre caratteristiche a scapito di altre. L’autenticità è la prima vittima di questo meccanismo:

 

‘Sono una donna che è apparsa in pubblico al talk show di David Letterman il 22 marzo del 1989.

Per dirla con mio marito Rudy, sono una donna la cui faccia e i cui modi sono noti a qualcosa come più della metà della popolazione misurabile degli Stati Uniti, il cui nome è su bocche, copertine e schermi. E il cui profondo del cuore  è invisibile, e nascosto in maniera irraggiungibile. Ed è questo che secondo Rudy mi avrebbe potuto salvare da tutto ciò che quell’apparizione comportava’.

 (La mia apparizione, in La ragazza dai capelli strani, p. 232)

 

Il rischio è che anche la letteratura contemporanea si uniformi a questo tipo di sguardo, imitando i media e raccontando un mondo che deve apparire in un certo modo, così da ottenere una storia efficace e ben costruita, esattamente come un buon programma televisivo.

 

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David Foster Wallace sembra dirci che il nostro modo di guardare gli altri e di entrare in contatto con loro deve molto alla televisione

 

Wallace evita questo pericolo: lo stile diventa l’arma con cui combattere un modo ormai radicato di vedere le cose, mostrandoci che possiamo muoverci in direzioni diverse e moltiplicare i nostri punti di vista, così da avere una conoscenza più autentica della realtà. I racconti di Wallace ci impongono di comportarci come il protagonista di Per sempre lassù, contenuto in Brevi interviste con uomini schifosi. Il giorno del suo tredicesimo compleanno, un ragazzo decide di saltare per la prima volta dal trampolino più alto della piscina che frequenta con la famiglia:

 

‘Afferrati forte alle sbarre di ferro e girati a guardare giù dietro di te, così vedi la gente in basso che compra bibite e spuntini. Guardi dentro le cose: la cima bianco pulito del berretto del venditore, le tinozze di gelato, freezer d’ottone fumanti, le vasche subacquee degli sciroppi, i tubi serpentini della soda, le scatole traboccanti di pop corn salati tenuti in caldo al sole. Ora che sei lassù vedi tutto.’

(Per sempre lassù, in Brevi interviste con uomini schifosi, pp. 14-15)

 

A questo cambio di punto di vista, segue un’intuizione, grazie a cui il protagonista raggiunge un nuovo livello di comprensione della realtà:

 

‘Due macchie nere, violenza, e scomparire in un pozzo di tempo. Il problema non è l’altezza. Quando torni giù cambia tutto. Quando colpisci, con il tuo peso.

E allora qual è la bugia? Durezza  o morbidezza? Silenzio o tempo?

La bugia è che è una cosa o l’altra.’

(Per sempre lassù, in Brevi interviste con uomini schifosi, pp. 18-19)

 

La realtà non è univoca, come può sembrarci quando vi siamo immersi. Per capirlo, però, dobbiamo adottare una nuova prospettiva. David Foster Wallace ci aiuta a salire su quel trampolino spaventoso. E lo fa con le sue interminabili note a piè di pagina, con periodi lunghi e ripetitivi, con uno stile dalla precisione estrema (ti sto parlando di quella cosa, sì, proprio quella, non c’è spazio per ambiguità o interpretazioni personali della frase). Lo fa attirando la nostra attenzione sullo scarto tra l’interiorità e l’esteriorità dei personaggi, cambiando continuamente il punto di vista del narratore.

 

Tutto questo ha l’effetto di costringerci a uno sguardo simultaneo sulla realtà, come se fossimo in cima a un trampolino: non puoi scegliere cosa guardare, perché da lassù la vista abbraccia tutto. È una prospettiva opposta a quella della televisione, in cui le immagini si susseguono una dopo l’altra e la realtà ci si presenta in modo sequenziale, non simultaneo.

 

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Wallace ci costringe a uno sguardo simultaneo sulla realtà, come se fossimo in cima a un trampolino

 

Eppure, la narrativa di Wallace non è una riflessione fredda e astratta sui meccanismi mediatici della società contemporanea. Tutti i suoi personaggi sono animati dalla tensione a esprimere se stessi, a entrare in contatto col mondo esterno in modo autentico. L’autore partecipa intensamente a questi tentativi e cerca di coinvolgervi il lettore, grazie a cambiamenti continui del punto di vista. Spesso infatti in un racconto trovano spazio due narrazioni: una ci mostra l’aspetto esteriore della vicenda, l’altra l’interiorità del protagonista; talvolta queste linee si intersecano tra loro, creando dei cortocircuiti, che si manifestano come allucinazioni o visioni improvvise:

 

‘Fu più o meno a quel punto che venni investito da una nuova ondata di smarrimento e, per così dire, di percezione sensoriale distorta o “alterata” dovuta a quasi sette mesi di gravi disturbi del sonno, […] i cui sintomi  e sensazioni non si possono quasi descrivere se non dicendo che l’avvio di queste fasi non era molto dissimile da un terremoto o “onda sismica” cerebrale […].’

 (da Oblio, in Oblio, p. 228)

 

Le lunghissime note a piè di pagina dei racconti di Wallace (soprattutto in Brevi interviste con uomini schifosi), o le parentesi incastrate l’una dentro l’altra, sono un modo per creare un piano doppio sulla pagina, per raccontare la contemporaneità di atteggiamenti esteriori e interiori dissonanti tra loro, talvolta addirittura opposti.

 

Allo stesso tempo, i diversi personaggi sembrano vivere su piani paralleli, anche quando lavorano o vivono insieme: l’incomunicabilità è talmente opprimente da rendere surreale il mondo delle storie di Wallace. La tensione tra i protagonisti risiede tutta in periodi complessi e interminabili, che fanno perdere il filo del discorso: lo sforzo per seguire le parole sulla pagina si sovrappone al dolore sottile dei personaggi, incapaci di rompere il muro che li divide dagli altri.

 

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L’incomunicabilità è talmente opprimente da rendere surreale il mondo delle storie di Wallace

 

David Foster Wallace è spesso esaltato per la sua capacità di satira della società contemporanea: è innegabile che dai suoi racconti emerga un’ironia amara nei confronti del nostro modo di vivere, ma la comicità è sempre segnata dalla sofferenza. Alla fine Wallace ha deciso di mettere fine alla sua vita, come il protagonista di Caro vecchio neon, che non sopporta la propria incapacità di esprimere sinceramente se stesso nella vita di tutti i giorni:

 

‘Per tutta la vita sono stato un impostore. E non esagero. Ho praticamente passato tutto il mio tempo a creare un’immagine di me da offrire agli altri. più che altro per piacere o per essere ammirato. Forse è un po’ più complicato di così. Ma se andiamo  a stringere il succo è quello: piacere, essere amati. Ammirati, approvati, applauditi, fa’ un po’ tu. Ci siamo capiti.’

 (da Caro vecchio neon, in Oblio, p. 169)

 

La scrittura di Wallace, però, non è un espediente per piacere, né i suoi virtuosismi sono un modo per essere ammirato. Lui stesso scrive che il valore dell’arte risiede nell’amore, o, meglio, nella «disciplina necessaria a far parlare quella parte di sé capace di amare anziché quella parte che vuole solo essere amata». La letteratura, per lui, è l’unico modo per sovvertire il vincolo della nostra società, ossia il costante bisogno di piacere, e donarci qualcosa di sé.

 

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