L'Ammazzatoio è il romanzo di Emile Zola che ci getta dritti nella miseria delle classi più povere della Parigi del diciannovesimo secolo.

Accontentarsi di poco, riuscire a sopravvivere, avere a disposizione un tozzo di pane e un buco un po’ più decente per dormire, solo questo cerca Gervaise. Eppure, per un gioco sadico del destino ogni qual volta è vicina o, nelle migliori circostanze, riesce ad attuare il suo proposito, questi s’infrange innanzi ai suoi occhi. Si dissolve come la rugiada di primo mattino che si deposita sui tetti lasciando solamente un esile traccia del suo passaggio. Giunge a Parigi ancora ragazzina, ancora innocente, con sogni e progetti ma la città la trasforma in donna. Vivere o morire, lottare o soccombere questo è il romanzo di Emile Zola.

 

L’Assommoir (L’Ammazzatoio in italiano) è un romanzo crudo, grigio, tetro e a tratti disgustoso. In esso Emile Zola rappresenta il degrado dell’operaio, dell’abietto, dello sconfitto non per sua scelta ma condizionato e costretto a soccombere alla realtà, a rifugiarsi nell’alcolismo per sfuggire a una vita misera e a un lavoro sempre più opprimente e mal pagato. Tutto il romanzo può essere paragonato metaforicamente alle maglie d’oro di una collana. Proprio come le maglie d’oro, messe insieme, compongono la collana, a tal modo il romanzo cresce e si allunga trascinando e imbrigliando dentro di se i personaggi ai quali non resta possibilità di salvezza. Senza dubbio l’Assommoir è il romanzo dell’operaio ma ciò è solo apparente, sta alla superficie e fa da cornice al grande dramma esistenziale di una donna. È di una donna, infatti, che il romanzo parla. Come una sorta di percorso a zig zag, Emile Zola narra la lotta per la vita di una lavandaia, Gervaise, piccola, bionda, graziosa, un po’ zoppicante. Una donna che esprime il sogno della piccola media borghesia, ambisce a una posizione ma la strada è irta d’insidie:  presto quando il successo sembra ormai arrivato ecco che l’animo si affievolisce e lo spirito focoso e ambizioso lascia spazio alla rassegnazione, e allora inizia una lenta e inesorabile deriva verso il baratro.

 

Emile Zola

Un’illustrazione de L’ammazzatoio

 

 Il romanzo di Zola è per certi versi anomalo e si può iscrivere almeno in parte a quel filone che oggi normalmente chiamo narrativa d’inchiesta. Non si dimentichi che Emile Zola prima di essere scrittore era giornalista.  Come tale era sua abitudine studiare la materia dei suoi romanzi. Egli è innovatore in questo senso, perché nell’ottica di Zola lo scrittore non deve essere osservatore passivo della realtà per poi  riportarla attraverso un sacrale rigore scientifico, ma dovrà fare esperienza diretta della situazione e dell’ambiente. Alla base di ciò contribuisce anche un altro fattore: Zola soffriva di una scarsa vena inventiva;

 

“Ecco come faccio il romanzo. Non lo faccio affatto. Lascio che si faccia da sé. Io non so inventare dei fatti; mi manca assolutamente questo genere d’immaginazione. Se mi metto a tavolino a cercare un intreccio, una tela qualsiasi di romanzo, sto lì anche tre giorni a stillarmi il cervello, colla testa fra le mani, ci perdo la bussola e non riesco a nulla”.

 

Zola colma questa mancanza inventiva nella maniera più semplice, ovvero ricorre alla realtà: realtà che diventa il baule dal quale attingere le idee. Lavora con logica più che con l’immaginazione. Scelto il personaggio di Gervaise, Zola decide di calarla in un contesto ben definito, in questo caso quello del mondo operaio, e vedere come reagisce. Per lunghi mesi Emile Zola raccoglie materiale per il suo libro. Con assiduità inizia a frequentare di persona quelle bettole malfamate; ne fa esperienza diretta prendendo contatto con quel mondo di ubriaconi e perditempo. Li studia, ne prende nota nei taccuini, a volte ne fa addirittura dei bozzetti. Solve et coagula recita una famosa formula alchemica, separa e riassembla, ed è quello che sembra fare Emile Zola dopo aver scavato affondo nelle miserie di Parigi, dopo averle sezionate e sviscerate le rimette insieme trasformandole nell’impalcatura su cui nascerà la trama del romanzo.

 

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Emile Zola prima di essere scrittore era giornalista

 

Peculiarità della scrittura di Zola riguarda il suo raccontare attraverso le immagini, è lo scrittore che mostra, descrive l’ambiente in ogni singolo dettaglio. Ogni elemento, perfino il più rivoltante e volgare, trova il suo giusto posto tra le pagine. Tutto nell’Assommoir è descritto nei minimi dettagli. Zola non trascura di mostrare il sudiciume delle strade, la decadenza dei palazzi, la camera stretta e densa di fumo nero dei Lorilleux, la vineria di papa Colombe infestata dal fumo di pipa, la muffa alle pareti, la camera all’albergo Boncoeur di Gervaise, misera, spoglia ma mai sporca. Come l’occhio di una cinepresa Emile Zola conduce il lettore sin dalle prime pagine nella dimora della giovane, mostrando la povertà attraverso gli occhi di lei;

 

“E lentamente i suoi occhi velati di lacrime facevano il giro della misera camera ammobiliata; un cassettone di noce cui mancava un cassetto, tre sedie di paglia e un tavolino bisunto, su cui languiva una brocca slabbrata. Era stato aggiunto per i bambini un lettino di ferro che bloccava il cassettone e occupava i due terzi della stanza. Il baule di Gervaise e Lantier, spalancato in un angolo, mostrava i suoi fianchi vuoti e sul fondo, un vecchio cappello da uomo, nascosto sotto un mucchio di camicie e di calzini sporchi. Lungo le pareti, sulle spalliere dei mobili, pendevano uno scialle bucato, un paio di pantaloni mangiati dal fango, gli ultimi stracci rifiutati persino dai rigattieri. Al centro del camino, fra due candelieri di zinco spaiato, c’era un pacchetto di bollette del Monte dei pegni, d’un rosa tenue. Era la camera migliore della locanda, la camera del primo piano, che dava sul boulevard”.

 

La grande attenzione per i dettagli, per quelle singole minuzie emerge in maniera vivida in uno dei passi più celebri dell’Assommoir, la lotta delle lavandaie. Recatasi al lavatoio Gervaise incontra Virginia, la sorella della donna con la quale il marito ha passato la notte. Dopo l’ennesima provocazione da parte di Virginia le due giovani prima s’insultano a vicenda poi si riversano secchiate d’acqua e infine vengono alle mani. È un duello che entusiasma il pubblico. È interessante fermarsi a rileggere la descrizione fatta da Zola il quale non si limita a descrivere lo scontro ma passa in rassegna il vestiario delle donne descritto nei vari momenti dello scontro:

 

“Alla fine andarono a riempire i secchi ai rubinetti. E mentre aspettavano che si riempissero, continuavano a scambiarsi sconcezze. I primi secchi, lanciati male, le sfioravano appena, ma ben presto ci fecero la mano. Fu Virginia la prima a riceverne uno in piena faccia: entrandole dal collo, l’acqua le colò lungo la schiena e il petto, sgocciolò sotto il vestito. Ne era ancora stordita quando un secondo secchio la colse di striscio, colpendola forte sull’’orecchio sinistro e infradiciandole la crocchia, che si sciolse come una cordicella. Gervaise fu dapprima raggiunta alle gambe, un secchio le riempì d’acqua le scarpe, schizzandola fino alle cosce: altri due la inondarono ai fianchi. Alla fine non fu più possibile valutare i colpi. Erano entrambe sgocciolanti dalla testa ai piedi, i corsetti appiccicati alle spalle, le sottane incollate sulle reni, stecchite, intirizzite, tremanti di freddo, colando da tutte le parti come ombrelli durante un acquazzone”.

 

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Le lavandaie de L’ammazzatoio

 

Da vero fustigatore della corruzione Zola non poteva esimersi dal mostrare che l’ambiente, la perenne condizione di povertà esercita un potere forte sull’individuo tirando il più delle volte sempre il peggio dalle persone. Emile Zola sosteneva fermamente che non c’è storia umana, non c’è azione che l’uomo possa compiere che non sia condizionata dall’ambiente. In questa concezione si avverte molto la presenza delle teorie Darwiniane. Darwin nel celebre saggio L’origine della specie sosteneva che per progredire e sopravvivere all’organismo deve adattarsi all’ambiente in cui vive. L’ambiente quindi opera sugli individui, ne condiziona i comportamenti e influenza il corso della loro vita. Emile Zola non fa nient’altro che seguire questa intuizione di evoluzionistica.

 

Dell’Assommoir ne fu realizzato nel 1956 un film in bianco e nero dal titolo ispirato alla piccola lavandaia Gervaise

 

Parigi non offre divertimenti e svaghi per operai e lavandaie. Il lavoro duro, i pochi soldi, gli stenti per risparmiare, la classe politica sempre più distante dal popolo e il lavoro nell’industria influiscono inesorabilmente su di essi. Le scelte non sono molte, i Lorilleux per esempio dedicano la loro intera esistenza al lavoro. Non si concedono grandi lussi, per di più passano le giornate, i mesi in quel buco nero e fumoso a lavorare l’oro. In compenso però il pane e il bicchiere di vino a tavola non mancano mai. Una vita così monotona, passata a spettegolare sui vicini, triste ma sicura e priva di rischi gli basta. Il lettore è calato completamente nella quotidianità dell’operaio. Lì tra le strade semideserte, le vinerie che si affollano sempre più al calar della sera, le botteghe, le mercerie e il via vai delle carrozze si consumano i destini degli umili. In un mondo già di per sé triste avviene che vite diverse, distanti, si intersechino tra loro. Persone diverse si trovano tutto d’un tratto a dove interagire e – volendo o no – condividono le gioie e i drammi della vita, godendo e beandosi il più delle volte delle disgrazie altrui.

 

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I destini degli umili si intersecano nel romanzo di Emile Zola

 

La misera si sa, non sempre tira fuori il meglio dagli uomini, e pur versando nella medesima condizione i poveri continuano a farsi la guerra. L’uomo è sempre in lotta contro il suo simile. Il quartiere si mostra bene a rappresentare questo dissestato terreno di scontro dove si è costretti continuamente a guardarsi le spalle, dove l’amico può diventare il nemico, dove si dice ciò che in realtà non si pensa. La lotta per la sopravvivenza trasuda da ogni singola pagina. Ognuno in fondo, a modo suo, non fa altro che tentare di sopravvivere anche a discapito del prossimo. Lantier ne è un valido esempio; tradisce Gervaise, non si preoccupa di lavorare o di badare al mantenimento dei figli eppure, come un parassita, sfrutta la situazione. Vive alle spalle della donna, la costringe a impegnare al Monte i pochi stracci che ancora possiede.

 

Il cinismo, l’avidità e la non curanza verso la sofferenza sono costanti nel mondo di Gervaise. Ecco dunque che la coppia dei Lorilleux, cognati di Gervaise, non perde occasione per denigrarla. Sembra che non possano far a meno di guardarla dall’alto in basso, sentendosi nauseati dalla sua presenza nelle loro vite. Anche nel giorno delle nozze la signora Lorilleux sembra non poter far a meno di inveire e schernire in maniera sadica e crudele la novella sposa dinanzi agli invitati. Persino nel momento del bisogno la guardano con disprezzo mentre tremante e ricoperta di vergogna, con le pantofole bucate ai piedi, chiede loro aiuto:

 

“Aveva il cuore gonfio, non volendo confessare che aveva lo stomaco vuoto dal giorno prima. Poi sentì che le gambe le si spezzavano. Aveva paura di mettersi a piangere, e ancora balbettava;

<<Sarete così buoni … Non potete sapere … Oh! Sono a un punto, mio Dio sono a un punto >>

Allora i Lorilleux strinsero le labbra e si scambiarono una breve occhiata. Ormai la zoppa mendicava! La sua vergogna era insomma completata! Ma questo a loro non andava a genio! Se l’avessero saputo si sarebbero barricati dentro casa”.

 

I Lorilleux non esitano a voltarle le spalle nel momento di massima necessità, anzi sembrano quasi assaporare la sua disfatta e godere nel pensare che quello sia il destino che merita la povera zoppa. Sincerità e bontà sono un lusso per pochi. La bontà sembra essere un valore assente nel mondo dell’Assommoir l’unica forse che conserva sino alla fine dei suoi giorni un barlume di umanità è proprio Gervaise.

 

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L’unica che mantiene un barlume di umanità è Gervaise

 

Motivo di scandalo presente nel romanzo è la disinvoltura e la naturalezza con cui Zola tratta la dolorosa patologia che affligge la gran parte del popolo parigino; l’alcolismo. Parlare di alcolismo e di ubriaconi non è materia nuova alla letteratura, basta ricordare il personaggio Semen Marmeladov in Delitto e castigo, ubriacone cronico che in preda ad una sbornia finisce i suoi giorni travolto da una carrozza. Oppure Andreas Kartak, il minatore di La leggenda del santo bevitore, romanzo pubblicato negli anni successivi da Roth. Ciononostante è proprio il tono dissacrante del romanzo e il modo in cui Emile Zola vi pone la figura dell’ubriaco che scatena la riluttanza del lettore colto. A ogni angolo di strada, fin dalle prime pagine, si vede gente ubriaca. Zola ad ogni descrizione, quasi improvvisamente ci pone dinanzi la figura di un povero disgraziato che vaga per le strade cercando di smaltire la sbornia. Li vedi in lontananza mentre escono dalle bettole. Te li trovi dinanzi e non sai da dove vengano;

 

“Proprio nel momento in cui Coupeau spingeva le due donne l’una nelle braccia dell’altra, trattandole da sciocche, un ubriaco, che pareva voler passare a destra, fece un’improvvisa diversione a sinistra e venne a gettarsi fra loro [..] Gervaise s’era spaventata e se ne stava adesso quasi incollata contro la porta della locanda”.

 

Gervaise cerca in ogni modo di sfuggire a questa realtà, rifiuta nella maniera più assoluta che si faccia uso di alcool. Sa bene, infatti, cosa ciò comporta: l’ha imparato a sue spese, vittima di un padre violento e alcolizzato, ne porta i segni sul corpo. Proprio quelle percosse che hanno rovinato un corpo grazioso come il suo rendendola zoppa. L’alcool è un buon rimedio nel quale annegare gli affanni, ma a quale prezzo. Ti distrugge lentamente, ti priva della gioia di vivere, ti assale e ti tormenta fin quando non ne puoi fare a meno ed ecco che l’acquavite diventa il tuo unico bisogno. Per lei ubriacarsi è l’ultimo stadio, il punto di non ritorno. Differentemente da Marmeladov, il quale beve più per suo diletto, gli ubriaconi dell’Assommoir, sono tutti operai: per loro l’alcol non è altro che l’elisir per affrontare la vita.

 

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Gervaise nella locanda dell’Assommoir

 

Ecco che la locanda dell’Assommoir – che dà il titolo al romanzo – diventa, come giustamente fa notare De Sanctis, il perno intorno al quale ruota l’intera narrazione. Il dramma del romanzo si consuma tutto lì nella vineria di papà Colombe. Lì Gervaise andava per riportare a casa il marito, li finisce tempo dopo a spendersi i pochi soldi che le restano. È un lento percorso, una sorta d’iniziazione che si compie nel momento in cui Gervaise prende il bicchiere di acquavite tra le mani e finisce con ritornare essa stessa a casa ubriaca. Ecco dunque che ciò si ricollega a quanto detto più sopra; l’ambiente influenza le persone.

 

Ma qui entra in gioco anche un altro fattore, anche questo ripreso da Darwin, e cioè la teoria dell’ereditarietà. Zola dice:

 

” quello che un uomo è, in gran parte lo è stato nei genitori”.

 

Questa frase traccia in maniera chiara la visione di Emle Zola. Il ciclo di venti romanzi dei Rougon-Macquart, di cui l’Assommoir fa parte, esprime proprio questa idea. Due famiglie, diverse tra loro per sangue e nascita. La prima forte, intelligente, capace di farsi strada nel mondo affrontando con successo le difficoltà. I Macquart invece sono deboli, e nonostante gli sforzi, destinati a scendere nei più bassi strati sociali. Gervaise è una Macquart e come tale in lei dimorano caratteri ereditari che prima o tardi la condurranno alla rovina. Calata in quell’ambiente di miseria, costretta alla fame e al sacrificio, messa a dura prova oppone un’eroica resistenza, una battaglia contro il fato che sembra vinta solo in apparenza.

 

Zola in maniera implicita mostra al lettore il graduale degrado di Gervaise, un’evoluzione in discesa perché l’ambiente non fa altro che far emergere le reali inclinazioni preesistenti nell’indole di Gervaise. È una sorta di predestinazione che in qualche modo determina i destini di tutti i personaggi dell’Assommoir, e più in generale dei romanzi di Emile Zola. Acclamato dalla massa parigina per il suo stile sobrio, la sua facile lettura – introduce per la prima volta l’argot, il dialetto – riuscì a nauseare il raffinato pubblico borghese abituato dai romanzieri precedenti ad una visione superficiale dell’uomo parigino di terza categoria.

 

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Gli operai di ritorno dal lavoro si radunano nella vineria di papa Colombe

 

Quel romanzo che lo stesso Victor Hugo definì brutto sarà rivalutato da Francesco De Sanctis, l’unico autore ad aver preso le difese di Zola definendo l’Assommoir ‘un’evoluzione a rovescio, dall’uomo all’animale’. Forte delle sue convinzioni Emile Zola non si tira indietro, la sua denuncia non ammette remore e fustiga, come ha sempre fatto, il pragmatismo, la corruzione e la degenerazione morale e spirituale della Francia del II° Impero. La lunga discesa nel baratro dell’alcolismo non è imputabile agli operai ma alla società parigina, quella  stessa società che predica giustizia e uguaglianza, ma poi, di fatto, finisce per prendere le distanze provando ripugnanza per il degrado dei bassifondi e delle periferie.

 

L’autore scrisse in una lettera del 13 febbraio per difendersi dalle numerose accuse che gli erano mosse in merito alla pubblicazione del romanzo:  

 

“Chiudete le bettole, aprite le scuole. L’alcool divora il popolo. L’uomo che saprà eliminare la piaga dell’alcolismo, farà per la Francia più di Carlo Magno o di Napoleone”.

 

 Fu definito il Balzac degli ubriaconi e dei degenerati, ma lui era fiducioso. ‘La mia opera mi difenderà’ disse, e indubbiamente aveva ragione, il tempo è stato dalla sua parte. Con il personaggio di Gervaise, Zola dà voce al mondo operaio, ai muratori, lavandaie, zincatori e piccoli artigiani, e fa di essi, per usare un’espressione di Henri Mitterand, il soggetto della storia e della Storia.

 

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