Tre racconti, tre ritorni.

TT-Torno

 

Messaggio ore 23.30 “Mi dispiace, ma non ci sarò”

Messaggio ore 23.45 “Ti avevo chiesto la presenza perché per me é importante”

Messaggio ore 00.00 “Avevo bisogno della tua presenza perché era importante, ma non te l’ho mai chiesta né mai ti ho fatto notare che non te ne sei mai accorta…”

Il treno è stracolmo e devo fare 90 km; mi ritrovo a sperare, sì, che tutta questa gente scenda o, meglio, si smaterializzi.

Questi viaggi mi devastano perché mi lasciano il tempo per pensare, anzi mi ci costringono, considerato che ogni volta che provo a dormire c’è qualcuno o qualcosa che si frappone tra me ed i miei sogni. Infilo le cuffie di routine, posto al finestrino, sguardo necessariamente altrove: davanti una simpatica cicciona che non ha smesso un minuto, dico uno, di masticare, accanto l’amica, che continua a muovere la bocca dandosi le stesse arie di un professore di diritto che tiene un convegno alla Sorbona, solo con maggiore gestualità delle mani; l’unica cosa “buona” che vedo sono le pagine sfogliate del libro vicino a me. Lui, longilineo, porta tondi occhiali spessi ed un cappello grigio. Grigio, onesto e reale; grigio come la sfumatura, che per quanto non riesca ad accettarla, pare essere l’unica via; grigio come questo cielo, questo treno e queste lunghissime rotaie.

Messaggio ore 16.00 “Se fosse stata la mia presenza ad essere importante, avresti scelto me, non un luogo”

Messaggio ore 16.30 “Non sei venuta, hai scelto e adesso smettila di costruirti alibi… Avevi un’occasione per essere migliore di me, ma non lo sei”

Messaggio ore 17.00 “L’unica possibilità che avrei avuto per essere migliore di te, sarebbe stata nascere di un’altra specie, dunque non è questo il punto… Io la odio questa tua competizione continua in cui pari volermi trascinare per forza, odio queste vostre lotte contro i mulini a vento, odio questa vostra continua ostentazione di bellezza, felicità ed importanza!”

Stazione. Zaino in spalla, scendo gli scalini e nemmeno il tempo di raggiungere il livello zero, che il mio naso si è già congelato. Devo aspettare la coincidenza! Buffa no, la frase in sé, intendo: aspettare una coincidenza. Il segreto di una vita intera, sta lì, nei treni e nelle stazioni. In quei treni che sono le tue coincidenze e che arrivano proprio quando tu sei fermo alla stazione; io sono sempre stata molto brava a perderle, le coincidenze. Invece di treni ne ho presi tanti.

Ogni volta che arrivo in stazione, rimembro la mia adolescenza da pendolare. L’amica mia, quella con cui passavo le ore di viaggio, ecco lei è una coincidenza presa, mentre ne perdevamo altre mille a chiacchierare.

Quando dovevamo correre per salirci, sulla coincidenza, mi si aggrappava allo zaino, a quel pezzo di zaino che serve per appenderlo, come per i cappotti. Noi lo usavamo per appenderci ed io avevo, ogni santo giorno, il ruolo di locomotiva, che mi spettava in quanto la natura mi ha dotato di gambe abbastanza lunghe. Il sudore che ho versato per le mie coincidenze, ancora oggi mi fa venire il dubbio che non fossero tali: le coincidenze dovrebbero succedere e basta; tu le aspetti e loro succedono.

Entro nel bar, ordino un caffè lungo e macchiato, in tazza grande, bollente.

Messaggio ore 18.00 “Ho bisogno che tu lo sappia, voglio che tu sia partecipe. Voglio dirtelo”

Messaggio ore 19.00 “ Sto venendo da te”

Messaggio ore 20.00 “ TI ASPETTO!”

Quella sera fu come se nulla fosse mai accaduto, come se il tempo non avesse scalfito le nostre memorie, come se tutto si fosse fermato a quando nient’altro esisteva oltre a me e a te, lì, in quel presente. Lo avevamo tutto negli occhi, che si abbracciavano come solo gli occhi sanno fare. Ero TORNATA. Non sappiamo mai per quanto, ma l’importante è sentire che c’è un posto dove ritornare ogni volta, una casa senza mura.