La distinzione tra bene e male nelle opere di Fedor Dostoevskij, in una concezione che si spinge nell’animo cattivo e crudele, addirittura perverso, dell’uomo del sottosuolo.

È forse l’essenza del confronto con l’Autore la ricerca della comprensione del suo rapportarsi ai temi esistenziali, che spesso si incarnano ripetutamente come schemi ossessivi all’interno di storie, trame, personaggi. Una caccia, una ricerca per risolvere o dimostrare le questioni che con coscienza, o spesso con istinto, ogni autore ritrova nella propria vita e proietta, inesorabilmente, all’interno delle proprie creazioni. Fedor Dostoevskij, tra i più illustri scrittori russi e, per molti versi, filosofi dell’Ottocento, è una di quelle personalità a cui vale la pena avvicinarsi proprio perché seguendo un filo tematico che si presenta nelle varie opere con diversi punti in comune, è possibile diventare partecipi di quella ricerca filosofica che lo ha reso – alla maniera di Platone – uno di quegli intellettuali caratterizzati dal pensiero dialettico.

 

Si addentra infatti nei meandri dell’animo umano non necesariamente per analizzare, quanto per riportare alla luce, da attento osservatore, la profonda dicotomia della natura umana in forma, appunto, dialettica. Ogni personaggio dell’opera di Fedor Dostoevskij è un essere umano spezzato, diviso e sempre in cerca della strada giusta che, in realtà, è identificabile solo con Dio e a cui si arriva attraverso la propria esperienza. Il Male è in Dostoevskij una forza sempre presente e attiva. Infatti, tutta la sua opera è concentrata sulla lotta dell’uomo tra bene e male e il suo riconoscimento.

 

Come si riconosce il male? Quali sono gli elementi per comprendere la sua presenza? Attraverso la pena, la colpa, il delitto, il castigo, il peccato, il dolore, la sofferenza: Fedor Dostoevskij non indaga l’uomo dominato dalla ragione o dall’armonia, concezione che si diffondeva sempre più nel XIX secolo, ma si spinge oltre, più a fondo, nell’animo cattivo e crudele, addirittura perverso “dell’uomo del sottosuolo”. Infatti nella sua opera Memorie dal sottosuolo, Dostoevskij cerca di trascendere la razionalità a cui sembra essersi sottomessa la natura umana, rendendo attore principale e fondamentale la libertà di scegliere anche l’infelicità. La differenza tra bene e male ha prerogative quanto mai personali, individualistiche, ed è marcata da una linea sottilissima che trova il suo senso attraverso il libero arbitrio. L’uomo potrebbe preferire la distruzione e la sconfitta all’armonia, perché possiede la volontà di decidere. Per Dostoevskij, niente è più falso della rappresentazione positivista ed ottimista dell’agire umano, mosso invece da pulsioni oscure e spesso irrazionali.

 

Fedor Dostoevskij 1

 

L’uomo è un doppio, e questo concetto viene espresso a pieno in una delle sue opere più controverse quale è Il sosia. Il protagonista di questa storia è Yakov Petrovich Goliadkin, un consigliere, funzionario di stato, che fin dal primo momento mostra segni evidenti di una instabilità mentale che diventerà, poco a poco, vera e propria follia. Goliadkin, in realtà, non è una vittima innocente, giacché non è condanato ad un’insanità mentale da un destino avverso, ma dalla sua libera volontà di farsi passare per quello che in realtà non è: un uomo ricco e ammirato da tutti. Goliakin si ribella contro un ordine prestabilito, è un uomo che sente frustrazione per ciò che lo circonda. In questo modo, dà vita ad un altro se stesso che, però, lo distruggerà.

 

Così, anche in questo caso, l’essere umano ha scelto, ha voluto, e questa libera scelta lo ha sconfitto, poiché invece di ricercare l’armonia tra l’essere e le circostanze, ha scelto la distruzione.

 

“Tutto il mondo è perfetto, tutto è innocente, eccetto l’uomo”.

 

Ne Il giocatore, Fedor Dostoevskij continua a mettere in luce questo aspetto proprio nel desiderio dei personaggi posseduti completamente dal demone del gioco. Il distaccamento disarmonico dalla realtà avviene stavolta tramite un male sociale, il gioco d’azzardo, che arriva a causare la disfatta umana dopo essere stato scelto, di nuovo, con le categorie del libero arbitrio.

 

La libertà di scelta si rivela lo strumento della tendenza istintiva dell’uomo a trasgredire, a trascendere la propria situazione di partenza in favore di una distorta. La trasgressione ha, come conseguenza, il male. In Delitto e castigo, Raskolnikov è un uomo buono, coerente, amorevole, rispetta tutti, soffre ma sopporta le ingiustizie: insomma è ammirevole. Ma ciò a cui anela è dimostrare la sua assoluta libertà e, per farlo, uccide. Decide deliberatamente di uccidere trasgredendo la legge morale, cercando di appagare una ricerca superomistica volta al superamento dello stato quotidiano, verso uno stato oltre il bene e il male. In effetti, lo stesso Raskolnikov afferma che gli uomini che escono dall’ordinario sono sempre e necesariamente criminali, coloro che in un certo senso alimentano l’eccezionalità, denigrando l’ordinarietà. Questo tipo di persone può fare tutto quello che desidera.

 

“Non ho ucciso per aiutare mia madre: che cosa assurda! Non ho ucciso per consacrare al bene dell’umanità la ricchezza e la potenza da me acquistate: sciocchezze! Ho ucciso semplicemente, per me stesso, per me solo!”.

 

Vediamo che Raskolnikov è spinto dall’orgoglio e dalla superbia e, in più, si rende conto di non aver ottenuto la superiorità: ha solo ucciso, non ha ricevuto la libertà assoluta, oltre il bene e il male. Accade quindi che il bene e il male sono la stessa cosa, due facce di una stessa medaglia: la libertà.

 

Anche ne I demoni emerge il libero arbitrio che spinge i personaggi a compiere una serie di delitti. A differenza di Delitto e castigo, qui ciò che spinge ad uccidere non è la volontà di sentirsi superiore, ma un vuoto interiore che sfocia in nichilismo e indifferenza etico-morale. Stavrogin, il protagonista, dimostra di aver vissuto una morte interiore ed una disgregazione così forte da fargli avere un’allucinazione in cui gli compare un demonio. Ma lui uccide per questo, perchè dentro è disintegrato, non desidera nulla e quindi è il nulla.

 

Fedor Dostoevskij 2

 

Il libero arbitrio, la possibilità di scegliere tra bene e male, è una caratteristica dell’essere umano che non lo rende mai completamente buono o completamente cattivo. La libertà quindi, secondo Fedor Dostoevskij, nonostante sia la massima aspirazione umana, non può considerarsi un concetto prettamente positivo, giacché spesso conduce al male. Ne L’idiota si evince proprio questo aspetto: chi è troppo buono prima o poi finirà per essere un idiota perché non è stato capace di dar libero sfogo alle propria superiorità e quindi il suo destino è accettarsi come un miserabile.

 

I concetti di bene e male sono stati affrontati da Dostoevskij come due capi dello stesso filo, nel cui mezzo c’è la libertà. Questa non è altro che la spinta alla scelta, alla decisione, alla affermazione del sè.

Le pagine di Fedor Dostoevskij dimostrano ancora una volta l’immortale attualità del pensiero dell’autore, raccontandoci di come non sempre ciò che ci rende liberi sia un bene, e non sempre ciò che è bene ci rende liberi. L’arbitrarietà ci spinge a interrogarci sulla nostra individualità, sciogliendo i confini di bene e male in favore di una verità difficile da discernere, e che di sicuro non va ricercata nella netta distinzione tra queste due categorie fondamentali.

 

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