La pittura di Bacon risulta essere come una fenomenologia dello spirito dell’uomo tesa ad assaporare l’essenza.

Correva l’anno 1909 e il ventotto Ottobre a Dublino nasceva un’icona mondiale della pittura contemporanea, Francis Bacon.  Se dovessimo soffermarci in modo insolito sullo spazio enorme che la figura di Francis Bacon occupa nella pittura del ‘900 si dovrebbe partire dal legame indissolubile tra il mondo interiore che era il suo Io e quel mondo esteriore che rappresentava, disegnandolo e dipingendolo sulle sue tele.

 

Quest’accostamento tra il mondo del suo io e il mondo esterno però, non deve essere frainteso perché non è un modo per far desumere, a chi si accosta alle opere di Bacon, che nei dipinti ci sia una vena ideologica con finalità di denuncia sociologica per un mondo che è stato dilaniato dai totalitarismi. Piuttosto, il mondo che lui abitava deve essere visto e interpretato come qualcosa di cui l’uomo Bacon fece esperienza nella vita reale, e di questa ne elaborò una tipologia che divenne emblematica e identificativa. Il suo modo di esprimersi divenne il frutto dell’esperienza vissuta che lo portò ad elaborare i suoi concetti sul mondo reale attraverso una particolare figurazione delle cose, astratte o fisiche che fossero, interpretate con una percezione che metteva in evidenza l’impressione prodotta dalla visione attraverso l’occhio.

 

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Francis Bacon nel suo studio

 

Partendo da alcuni suoi tratti autobiografici si può giungere a delineare un profilo antropologico del pittore, evidenziando la fenomenologia del genio che fu. Ciò si può dedurre dall’intervista di David Sylvester: il Bacon pittore, è nato tardi, verso i trent’anni.

 

“… penso che il lato analitico del mio cervello si sia sviluppato relativamente tardi, sui ventisette o ventotto anni…“.

 

Precedentemente alla manifestazione esplicita del genio vi furono tracce di quell’essere geniale. Tracce che erano già segni di ciò che in potenza era già, ovvero un “genio artistico”. Gli anni che definì come “buttati via” li passò in preda all’edonismo ritrovato nella coscienza omosessuale di sé, consumati nel lasciarsi andare ai piaceri più morbosi unendosi nell’atto sessuale con gli stallieri che lavoravano nella scuderia del padre.

 

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Francis Bacon con William Burroughs

 

Bacon aveva un rapporto contraddittorio con quest’ultimo, non lo amava ma ne era attratto sessualmente. Quest’attrazione non fu subito concreta e manifesta nel suo essere, poiché ne comprese le dinamiche soltanto attraverso l’esperienza continua che aveva con gli stallieri che circolavano all’interno della sua casa. Fu in preda a questi anni alla passione per una sessualità unicamente edonistica, amore per la sregolatezza più estrema come Sylvester fa notare, che successivamente lo fecero diventare quel pittore che fu. Anni di formazione, in cui l’ispirazione si concretizzò attraverso l’esperienza del mondo vissuto in tutte le sue morbose sfaccettature, che lo portarono a creare un linguaggio interiore unico e perciò autentico.

 

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Un autoritratto di Francis Bacon

 

Francis Bacon rappresenta quella figura che Lacan definiva “manque à etre”, mancanza d’essere, determinata da una totale concentrazione nella produzione e nella creazione di idee fuori dal comune senso estetico. Era un soggetto asmatico cronico e perciò non poteva permettersi di esporre il suo corpo a nessun eccessivo sforzo. Il prendere coscienza di tutto ciò, a partire dalla debolezza fisica, portò Bacon ad un periodo di depressione profonda e intima che lo portò a sprofondare nell’immensità di un vuoto da cui “fuoriusciva” attraverso la pittura, che rappresentò l’interesse primario della sua vita.

 

Probabilmente sarà vero che lo spirito rappresenta il luogo interiore in cui i compromessi inconsapevoli, non volontari, generano e mutano l’essere. Probabilmente la mancanza d’essere, che in Bacon assume la morfologia della mancanza della salute, catalizza nell’individuo l’intenzionalità a compensare, attraverso le inclinazioni che muovono le proprie pulsioni, quella mancanza. Questo è un processo che non deve essere frainteso, come se la produzione artistica di Bacon fosse delegata ai malesseri fisici come unico mezzo che lo portassero alla realizzazione dell’immensità delle sue opere. Bisogna piuttosto guardare la cosa da un altro punto di vista, ovvero che quella mancanza d’essere funge da forza che amplia  in modo vertiginoso la predisposizione del soggetto che vive la mancanza d’essere a creare sempre di più, in modo differente da quanto potrebbe accadere in assenza di essa.

 

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Lo sguardo di Francis Bacon

 

Questo non significa che se un artista, uno scrittore, uno scultore, presenta dei malesseri può essere allora qualitativamente superiore a chiunque altro, perché così si cadrebbe all’interno di un cattivo surrogato del giudizio. Ciò che viene qui evidenziato è l’approccio esistenziale e creativo nei confronti del malessere, che nel caso di Bacon risulta come forza che spinge il soggetto a “rompere” ancor di più la visione del reale, per compensare ciò che non può fare per causa di quel male che rappresenta per lui una mancanza d’essere.

 

Sylvester fa un’ottima analisi a riguardo, mettendo in luce come le esperienze che pian piano andavano costituendo la vita del pittore irlandese risultavano essere poi le motivazioni causali della visione della realtà che l’artista viveva. Una visione distorta, deformata, dilaniata, dilatata, una realtà fatta di impressioni scaturite dall’insieme di dati interni al suo spirito interiore. Quell’esperienza di “senso ininterrotto della morte” come lui stesso la definiva, albergava perennemente nei suoi dipinti, nelle sue opere. Una morte che come un fantasma giaceva nella tela della sua vita, basti pensare che visse in anni in cui la guerra era in atto e anche quest’ultima fece da forza catalizzatrice per gli stimoli onirici del pittore.

 

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Francis Bacon, In Memory of George Dyer, 1971

 

Bacon non venne chiamato alle armi, però per un breve periodo fece parte del servizio di sicurezza di Londra e quando una bomba esplodeva dilaniando corpi su corpi, tra le molte macerie vi era proprio lui a doverne estrarne i corpi senza vita. È come se avesse avuto esperienza diretta di ciò che successivamente, nelle tele, avrebbe assunto i caratteri peculiari di quella deformazione che Bacon produceva attraverso quello che Deleuze definiva  (in Logica della sensazione) un processo di “pulitura e levigatura” dei corpi. Nella rappresentazione dei soggetti della sua pittura Bacon, come dice lo stesso Deleuze, porta con sé tutta la violenza dell’Irlanda, l’orrore del Nazismo e la dura violenza della guerra.

 

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Francis Bacon, Triptych, 1972

 

Deleuze si sofferma in modo analitico sul concetto di violenza affrontato dalla pittura di Bacon. Viene attuato un raffronto tra la violenza incastonata nello stile della figurazione e la violenza della sensazione che l’occhio di chi scruta prova davanti ai dipinti. Bacon fa trasudare dalle sue rappresentazioni quel mondo violento, fatto di mancanze e orrori, che albergava nel suo io più recondito e che si concretizzava nell’insolita morfologia dilaniata e dilatata dei suoi corpi dipinti. Insolita morfologia da cui scaturiva una pittura “scandalosa”, provocatoria, proprio perché rappresentava una rottura con il solito, con lo scontato, una novità all’interno di un’impressione che non poteva essere riprodotta se non attraverso l’occhio “deforme” dell’autore.

 

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Francis Bacon, Crucifixion 1965

 

Il mondo interiore che Bacon tratteggiava viene espresso attraverso una sorta di potere sulla materia che assoggettava alla sua intenzionalità.  Merleau-Ponty, in Fenomenologia della percezione (1945), diceva in assonanza con Sartre, che l’uomo interiore non esiste e che l’uomo è “un soggetto votato al mondo”, nel senso che si forgia e si conosce in esso. Nel mondo e nella conoscenza di esso l’uomo e il suo corpo assumono un ruolo fondamentale. Quest’ultimo inteso come materia vivente (Leib), cioè unità di corpo e anima, che ha esperienza diretta delle cose che costituiscono la realtà e il suo mondo in cui si conosce e si progetta.

 

All’interno di questo processo di conoscenza del sé, Merleau-Ponty delega alla percezione quel ruolo di esperienza pre-discorsiva di fronte alle cose, che permette di far entrare in diretto ed immediato contatto la coscienza dell’individuo con il mondo vissuto, attraverso il corpo e la sua corporeità. Se il corpo diventa, dunque, il mezzo di comunicazione attraverso cui si attua una dialettica tra la logica della sensazione che la coscienza prova e il fattore scatenante della sensazione in sé, materiale o astratto che sia, allora dobbiamo presupporre che il rapporto che abbiamo con il corpo all’interno dell’esperienza totale del mondo in cui viviamo può essere un elemento agente nella tipologia interpretativa della realtà vissuta.

 

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Francis Bacon, Watercolour, 1929

 

Partire da questa concezione fenomenologica del corpo risulta catalizzante nel processo di interpretazione della deformazione dei corpi della pittura baconiana. L’esperienza vissuta, attraverso la propria corporeità, rafforza la propria vena creativa. Dunque, come in Merleau-Ponty, anche in Bacon il corpo diventa uno strumento per comunicare qualcosa, per far giungere un messaggio. Quei processi di pulitura e levigatura risultano essere elementi specifici di un processo che delinea la fisionomia dello stile del pittore. Sangue, carne dilaniata, orrore, tutti dati sensoriali che si sommano a questi corpi fuoriusciti dalle dita dell’autore e che riportano l’intenzionalità di fondo che muove Bacon.

 

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Francis Bacon a Londra nel 1976

 

Rappresentare ciò che non può essere visto e scrutato attraverso la sola percezione sensibile dell’uomo, rappresentare ciò che risiede nell’essenza, nello spirito dell’uomo. La pittura di Bacon risulta essere come una fenomenologia dello spirito dell’uomo tesa ad assaporare l’essenza. La sua percezione visionaria vuole portare l’uomo a vedere oltre e a comprendere che in quell’oltre, costituito da sfumature continue di colori che riempono lo spazio interno ai corpi dilaniati, risiede la verità. Una schietta fenomenologia della verità diventa la percezione di Bacon, che giunge a rappresentare lo spirito figurandolo e attribuendogli forma. All’interno di questo processo, il corpo assume un’importanza prioritaria. Tra una percezione del proprio corpo alterata attraverso la propria omosessualità e una percezione del corpo dell’altro anche attraverso l’orrore distruttivo della guerra, Bacon ha sviluppato i suoi sensi verso un orizzonte di visioni e interpretazioni dell’essere fuori dal conosciuto, in grado di sconvolgere ed influenzare dal Novecento ai giorni nostri.

 

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