Costretto alla professione di "scalda sedia", un uomo con un "potere" speciale decide di prendersi la sua rivincita a un convegno gremito di onorevoli.

La piccola sala esterna, situata alle spalle dell’edificio principale, aveva un solo muro in comune con questo ed era delimitata sugli altri tre lati da pannelli di vetro che all’occorrenza potevano scorrere, attraverso l’azionamento di un semplice bottone, lungo piccoli binari di metallo zincato e sparire all’interno di una fessura nella parete. La pavimentazione era in simil-teck e proseguiva all’esterno formando una grande “c” circoscritta da una spalletta alta circa un metro e mezzo sulla quale un Plumbago con i suoi fiori azzurri ornava una ringhiera ormai arrugginita.

All’interno della sala erano disposte 7 sedie, tutte di nylon bianco, su sei file, rivolte verso un piccolo palco: al centro era posizionato un leggio di plexiglass e dietro a questo un ampio cartellone blu con il logo della società promuovente il convegno.

 

Il posizionamento del cartellone non era questione di poca importanza, difatti doveva essere collocato in modo tale che il logo apparisse, all’occhio della telecamera posizionata su un treppiedi dalla parte opposta, precisamente sopra la testa di colui che si fosse trovato nel corso del convegno dietro al leggio. Operazione questa che richiese quattro persone: due che spostavano il cartellone su indicazione di una terza che agiva da tramite con il macchinista dietro la cinepresa.

Sulla prima fila c’erano dei rettangoli di carta con un nome scritto sopra; sulla seconda fila invece gli stessi ritagli di carta riportavano più semplicemente la scritta “riservato”.

Erano le 9:30 e prima delle 10:30 non sarebbero arrivati ospiti.

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Seduto sullo sgabello della sua cucina, davanti al punto snack, con le gambe a penzolare Matteo si accingeva a portare il cucchiaio alla bocca di quella che doveva essere la sua cena. Un sorriso arcigno intervallato dai momenti fisiologici della deglutizione spiegava la portata della sua vendetta.

Trentacinquenne, robusto sia di gambe che di pancia, aveva sempre sofferto di un problema che nessun medico era riuscito a risolvere completamente. Psicologi e psichiatri ai quale, in via residuale, si era rivolto non l’avevano aiutato. L’unico consiglio che però aveva deciso di accettare fu quello di farne una virtù: una caratteristica solo sua, un tratto distintivo.

 

I suoi capelli negli anni si erano diradati, le guance un tempo incavate ora erano rigogliose: il suo fisico oltre che appesantito sembrava rassegnato al tempo. Spesso gli veniva da pensare che un giorno sarebbe finito in uno di quei parchi giochi per bimbi a fare il “gonfiabile”, oggetto che sembrava calzargli a pennello. S’immaginava sdraiato dentro al parco con decine di bimbi a saltargli sulla grande pancia con tutte le mamme intorno ad urlare ai propri bambini frasi del tipo: “non saltare così che poi sudi”. Forse sarebbe stato meglio così, forse quel lavoro gli avrebbe dato più gratificazioni del suo. Dopo dieci anni infatti aveva intuito che tutto quel darsi da fare sul posto di lavoro non lo avrebbe portato a nulla, ne da un punto di vista economico ne da un punto di vista sociale.

Ingoiava cucchiaio dopo cucchiaio facendo attenzione a masticare il meno possibile.

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All’interno della sala tre persone si erano sedute sulle sedie in seconda fila. Sembravano conoscersi. L’argomento dei loro discorsi dava l’impressione di animarli vistosamente. Dei tre, uno aveva meno di quarant’anni e gli altri due chiaramente erano sopra i cinquanta. Quello sotto i quaranta pareva però estraneo e distaccato. Non parlava ne era mosso dall’entusiasmo che muoveva gli altri due. Di tanto in tanto si volgevano verso di lui ma la risposta era un semplice cenno con la testa o un timido sorriso. Erano le 9:50 e oltre alle tre persone sedute, la sala era popolata soltanto da fotografi e cameramen.

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“Dovete semplicemente alzarvi quando arriva l’onorevole. Vi avvisiamo noi. Vi sedete dove c’è scritto riservato e non vi alzate finché non ve lo diciamo noi. Mi sembra facile. Non dovete prendere iniziative. Anche se dovesse arrivare una novantenne incinta non vi alzate. Vi alzate invece al nostro cenno, fate mettere sedute le persone con fare molto cortese e andate immediatamente a sedervi su un’altra sedia dove c’è la scritta riservato. Se per caso le sedie dovessero essere tutte occupate dovete stare in piedi e aspettare: aspettare, perché uno degli onorevoli potrebbe alzarsi e andare sul palco e voi lì dovete immediatamente occupare il suo posto per riconsegnarglielo alla fine dell’intervento. Tutto chiaro? Non mi guardate così, tutti noi l’abbiamo fatto in passato, tutti i giovani ci sono passati”.

 

Chiarissimo. Per Matteo era stato tutto molto chiaro, limpido. Dieci anni di lavoro, due infiammazioni al gomito, un decimo di vista perso e venti chili presi davanti al computer: per poi, ritrovarsi a fare il ferma posti vivente per onorevoli e deputati. Senza contare l’impossibilità di avere o di farsi o anche semplicemente di sognarsi una famiglia con gli orari che era costretto a fare. E quelle parole, e quel dirigente…Quali erano i giovani ai quali si riferiva? I suoi interlocutori erano tutti ben sopra i trentacinque. Bella fine, scaldare la sedia a qualcun altro e rubare tempo prezioso al suo vero lavoro che lo avrebbe costretto a recuperare ben oltre l’orario contrattuale.

Le sue gambe dallo sgabello ciondolavano spensierate mentre lui con tutto l’impegno metteva in atto la sua premeditata ed ingegnosa rappresaglia.

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Verso le dieci e un quarto iniziarono ad entrare dentro l’Acquario (nome della sala convegni) i vari ospiti. Alcuni erano accolti dai dirigenti dell’azienda e accompagnati ai posti assegnati, altri sapevano dove sedersi e autonomamente vi si dirigevano. I posti lentamente andavano ad esaurirsi, ad eccezione delle prime due file. Una giornalista con un grande microfono rosso andava qua e là un po’ spaesata cercando una faccia nota da intervistare. Un messo portava plichi e depliant agli astanti. I tre seduti in seconda fila avevano smesso di parlare e si guardavano spesso intorno, come a cercare qualcuno.

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Piselli, fagioli, fagiolini, lenticchie, ceci broccoli e cavoli. Ingoiati senza masticare.

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Alle dieci e quaranta i posti erano ormai tutti occupati, tranne un paio ancora liberi in seconda fila. I tre, che prima erano seduti uno accanto all’altro, avevano man mano percorso quasi tutte le sedie della loro fila; arrivava qualcuno, in genere vestito con completi da tremila euro, e loro gli cedevano il posto. Il più attivo era il ragazzo taciturno che in poco tempo aveva ceduto il proprio posto ben quattro volte.

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“Deve fare attenzione a due cose: evitare legumi e alcuni tipi di verdure e masticare bene. Oltre a questo del suo problema ne deve fare una virtù. Non tutti sono in grado di produrre tanta aria come fa lei e credo che nessuno, o, forse pochi al mondo, siano in grado di rilasciarla a comando. Se non sbaglio lei mi ha confermato di essere in grado di emettere gas in qualsiasi momento…bene, quindi se io adesso le chiedessi di scorreggiare lei non avrebbe problemi a farlo…Bene, poteva evitare di dimostrarmelo ma al punto ci arriviamo comunque: la sua è una caratteristica e un tratto distintivo. Un giorno vedrà che le tornerà utile”.

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Alle dieci e quarantacinque l’Acquario iniziò rapidamente a svuotarsi. Alcuni uscirono con fazzoletti che gli coprivano il naso, altri cercavano con la mano di mandare via qualcosa da davanti alle narici. Due Ministri in prima fila si tenevano per il colletto della giacca. Alcuni onorevoli in seconda fila stavano urlando frasi sconnesse del tipo: “sei stato tu!” oppure :“il primo che l’ha sentita l’ha fatta” e ancora :“è stato il Deputato laggiù, come si è seduto ho sentito la puzza” qualcuno anche disse: “questo convegno è una merda”. Due Senatori avevano avuto un malore e li avevano dovuti portare fuori in spalla. Una ragazza aveva vomitato sulla vetrata laterale.

Alle dieci e cinquanta il convegno era finito.